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Fontana demolisce Mosca e spacca la Lega: “La Russia ha fallito, non è una potenza”

Il presidente della Camera prende le distanze da Salvini e riscrive la linea sulla guerra

Fontana demolisce Mosca

Fontana demolisce Mosca

Parole nette, pesanti, che segnano una distanza politica evidente dentro la Lega e nel centrodestra. Lorenzo Fontana, presidente della Camera, interviene sul conflitto in Ucraina e smonta l’immagine di una Russia invincibile, prendendo di fatto le distanze dalla linea del leader del partito, Matteo Salvini. Lo fa nel tradizionale scambio di auguri con la stampa parlamentare, evitando riferimenti diretti al segretario ma lasciando emergere una posizione autonoma e difficilmente equivocabile.

Per Fontana, «la Russia ha fallito completamente» nella guerra e non può più essere considerata una grande potenza militare. Un’affermazione che arriva mentre le parole di Salvini«Se Hitler e Napoleone non sono riusciti a mettere in ginocchio Mosca, è improbabile che abbiano successo Kaya Kallas, Macron, Starmer e Merz» – vengono rilanciate dalla portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova. A quel punto, la precisazione del presidente della Camera diventa ancora più significativa: «È vero che Hitler e Napoleone fallirono le loro campagne, ma è altrettanto vero che dal 2022 la Russia non ha dimostrato grandissime capacità, anzi».

Una valutazione che non attenua, secondo Fontana, la spinta verso una soluzione diplomatica. Sul fronte della pace si dice infatti «un po’ più fiducioso» rispetto allo scorso anno, pur senza minimizzare il quadro geopolitico. Sul Medio Oriente, il presidente della Camera si dichiara favorevole «al riconoscimento dello Stato palestinese», precisando però che ciò deve avvenire con «interlocutori credibili» come Abu Mazen e «non affiliati a forme di terrorismo», all’interno di un sistema di garanzie internazionali.

Nessuna presa di posizione diretta, invece, sulle critiche di Salvini all’Europa e al decreto armi. Fontana si limita a osservare che «nelle aule parlamentari l’unità della maggioranza c’è sempre stata fino a questo momento». Più prudente anche il giudizio sull’ipotesi di un esercito e di una politica estera comuni europei, definiti «molto complicati se non impossibili», mentre resta fondamentale, a suo avviso, «una maggiore cooperazione».

MATTEO SALVINI

Sul rapporto tra Bruxelles e gli Stati Uniti di Donald Trump, Fontana sottolinea che «gli Usa chiedono all’Europa che si prenda maggiori responsabilità», aggiungendo però che «con l’incremento al 5% della spesa militare secondo me siamo andati oltre le aspettative» e che «non credo si ritireranno».

Passando alla politica interna, il presidente della Camera non vede di buon occhio un cambio della legge elettorale e lo dice con ironia: «Per scaramanzia eviterei, perché a chi l’ha cambiata non mi sembra che sia andata particolarmente bene…». Annuncia poi che il premierato potrebbe arrivare in Aula all’inizio del 2026 e si dice favorevole al referendum sulla giustizia, affermando: «Sono felice di quanto avverrà a marzo» e «penso che sarebbe sbagliato interpretarne il risultato come voto a favore o contro del governo».

Proprio il riferimento al mese di marzo scatena la reazione del Pd. Debora Serracchiani, responsabile giustizia dei dem, attacca: «La data è tutt’altro che pacifica ed è oggetto, in queste settimane, di un evidente interventismo del governo che spinge per un’anticipazione forzata». Alla replica provvede il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè di Forza Italia: «La collega ha frainteso, il presidente si è limitato a riportare un’ipotesi».

DEBORA SERRACCHIANI

Nel corso della conferenza, Fontana affronta anche il tema della riforma del regolamento di Montecitorio, annunciando l’introduzione di «un’alternativa ai decreti legge, come il voto a data certa». Il problema, spiega, è l’eccesso di decretazione: «Quest’anno c’è stato un decremento dei decreti e speriamo si vada avanti così».

In chiusura, un passaggio anche sulla possibile cessione del gruppo Gedi. L’auspicio del presidente della Camera è che «i quotidiani italiani, specie di tradizione importante, possano rimanere in Italia».

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