Cerca

Attualità

“Attendiamo garanzie occupazionali e di pluralismo”: la redazione di Repubblica si mobilita sulla cessione del gruppo Gedi

Dopo lo sciopero, il Cdr alza la voce: “Non bastano le promesse, servono clausole contrattuali chiare”.

“Attendiamo garanzie occupazionali e di pluralismo”: la redazione di Repubblica si mobilita sulla cessione del gruppo Gedi

«La redazione di Repubblica, dopo la giornata di sciopero di venerdì, prosegue il proprio stato di agitazione. Accogliamo positivamente l'incontro avvenuto con il sottosegretario all'Editoria Alberto Barachini, ma ora attendiamo risposte certe e celeri dall'attuale editore di Gedi: cioè l'inserimento delle piene garanzie occupazionali e di pluralismo, col rispetto della linea politico-editoriale, nella trattativa. Non a parole, ma nei fatti.»

Con queste parole, il Comitato di redazione di Repubblica ha aperto una delle giornate più tese e simboliche della storia recente del giornalismo italiano. Il comunicato, diffuso sabato 13 dicembre, arriva nel pieno della trattativa per la cessione del gruppo Gedi al colosso greco Antenna, e dà voce a una redazione che non intende restare spettatrice di un passaggio cruciale per il futuro dell’informazione nazionale.

Il Cdr si riferisce alla vendita del gruppo editoriale Gedi, controllato da Exor, la holding della famiglia Agnelli-Elkann, che nei giorni scorsi ha confermato l’avvio delle trattative esclusive con il gruppo Antenna, società mediatica internazionale guidata da Theodore Kyriakou. Un passaggio che, se andrà in porto, segnerà la fine di oltre un secolo di storia editoriale sotto il controllo della dinastia Agnelli e l’ingresso di un nuovo attore straniero in uno dei settori più strategici del Paese: l’informazione.

Il comunicato dei giornalisti di Repubblica non si limita a una dichiarazione d’intenti. È un atto politico, civile e professionale, che reclama garanzie precise: “Non bastano le promesse, vogliamo clausole contrattuali che tutelino il lavoro e l’identità del giornale”. La redazione, spiegano, non si oppone a priori al cambiamento di proprietà, ma chiede che nel contratto di vendita siano inserite garanzie vincolanti a tutela dei 1.300 posti di lavoro del gruppo e del pluralismo informativo, pilastro della democrazia italiana.

Il riferimento è a quelle dichiarazioni, rimbalzate nelle agenzie di stampa, in cui fonti vicine al compratore parlavano di “continuità con la tradizione storica e culturale di Repubblica”. Ma per i giornalisti non basta: «Se davvero le cose stanno così, sia per chi vende che per chi compra non ci saranno difficoltà a tradurre tutto questo in clausole contrattuali».

Nel comunicato, la redazione ringrazia anche la Cgil, che ha dato spazio alla vertenza durante lo sciopero generale, e i colleghi di decine di testate che hanno espresso solidarietà: Tg3, Corriere della Sera, La7, Il Sole 24 Ore, L’Espresso, Avvenire, Domani, Il Fatto Quotidiano, Fanpage, Secolo XIX, Scarp de’ Tenis. Un elenco che fotografa un sentimento comune: la preoccupazione per il futuro dell’editoria, stretto tra crisi economica, concentrazioni societarie e perdita di indipendenza.

Il Cdr ringrazia anche la Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi), gli Ordini dei giornalisti regionali, le associazioni sindacali territoriali e le forze politiche che hanno espresso sostegno. E mette in chiaro che la protesta non si ferma: «La mobilitazione della nostra redazione continua, sul piano sindacale e anche mediatico. In questo siamo a fianco anche de La Stampa, storico quotidiano che rappresenta un pezzo di storia del Paese, un altro bene comune da tutelare».

Dietro queste parole c’è molto più di una vertenza sindacale. C’è la difesa dell’autonomia editoriale in un momento in cui i confini tra capitale industriale e informazione appaiono sempre più sfumati. C’è il timore che il passaggio di proprietà a un gruppo straniero possa minare la tradizione pluralista e critica che Repubblica e le altre testate del gruppo Gedi hanno rappresentato per decenni.

Il gruppo, oggi tra i più importanti d’Europa, comprende testate come La Stampa, Il Secolo XIX, L’Espresso, oltre a diverse emittenti radiofoniche e piattaforme digitali. La decisione di Exor di mettere in vendita il polo editoriale arriva in un momento delicato per la holding, impegnata su più fronti internazionali, e segna la volontà di uscire definitivamente dal settore dell’informazione dopo un periodo di difficoltà economica e trasformazione tecnologica.

Sul fronte politico, il sottosegretario all’Editoria Alberto Barachini ha cercato di mediare, incontrando i rappresentanti del Cdr e i vertici di Gedi per ottenere garanzie su occupazione, continuità aziendale e indipendenza editoriale. Una mossa che riflette la consapevolezza che non si tratta solo di un affare economico, ma di una questione che tocca direttamente l’equilibrio democratico e culturale del Paese.

Il gruppo Antenna, che potrebbe rilevare Gedi, è un conglomerato con sede ad Atene e attività in diversi Paesi, specializzato in media, intrattenimento e produzione televisiva, ma senza una tradizione giornalistica paragonabile a quella delle testate italiane coinvolte. E questo alimenta ulteriori timori sul futuro delle linee editoriali e delle redazioni.

Il Cdr di Repubblica, in questo contesto, non parla solo a nome di un giornale, ma di un’intera categoria che vede nel pluralismo informativo un argine contro la disinformazione e l’omologazione. «In ballo non c’è solo il nostro lavoro – si legge nel comunicato – ma il mantenimento dell’assetto pluralista e quindi democratico del nostro Paese, ormai da troppi anni minacciato da più fattori, non ultimo la mancanza di visione industriale degli editori».

La mobilitazione, dunque, non si fermerà. I giornalisti annunciano una protesta permanente, “sul piano sindacale e anche mediatico”, mentre la trattativa tra Exor e Antenna prosegue nelle stanze riservate della finanza. Ma fuori da quelle stanze, cresce la consapevolezza che questa non è solo una questione di bilanci: è una battaglia di civiltà.

Perché, come ricorda il Cdr, un giornale non si compra e non si vende come un bene qualunque. È un presidio di libertà, un servizio pubblico, un frammento di storia collettiva. Ed è proprio questo che i giornalisti di Repubblica intendono difendere, anche a costo di restare in sciopero ancora a lungo.

John Elkan

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori