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15 Dicembre 2025 - 11:42
Addio ai ghiacciai alpini: anche salvando il clima ne resterà solo una manciata
C’è una soglia oltre la quale non si torna indietro. E per le Alpi quella soglia è già stata superata. I nuovi dati scientifici consegnano un quadro netto, difficile da edulcorare: anche nello scenario più ottimistico, quello che rispetta gli Accordi di Parigi e limita l’aumento delle temperature globali a +1,5 gradi, entro il 2100 sopravvivrà appena il 12% dei ghiacciai alpini. In numeri assoluti significa circa 430 ghiacciai su 3.000. Tutti gli altri sono destinati a scomparire.
Se il riscaldamento globale seguirà invece la traiettoria attuale, molto più vicina a un aumento di +2,7 gradi, la percentuale crollerà al 3%: poco più di 100 ghiacciai. E nello scenario estremo di +4 gradi, alla fine del secolo ne resterà in vita appena l’1%, una ventina di ghiacciai in tutto. Reliquie climatiche, più che ecosistemi.
Sono i risultati di uno studio pubblicato su Nature Climate Change, guidato da Lander Van Tricht del Politecnico federale di Zurigo (ETH), che per la prima volta non si limita a stimare la perdita di volume o superficie, ma calcola quanti ghiacciai scompariranno e quando. Una sorta di calendario dell’estinzione del ghiaccio.
Il dato più inquietante non è solo la fine del secolo, ma ciò che accadrà molto prima. Secondo lo studio, le Alpi rientrano tra le regioni più vulnerabili del pianeta, insieme al Caucaso, alle Montagne Rocciose del Nord America, a parte delle Ande e alle catene montuose africane. Zone accomunate da una caratteristica: un’elevata presenza di piccoli ghiacciai, molto più sensibili alle variazioni di temperatura.
“In queste regioni – spiega Van Tricht – si prevede che più della metà dei ghiacciai scomparirà entro i prossimi 10 o 20 anni”. Non tra un secolo, non in un futuro astratto. Nella scala temporale di una generazione.
Il lavoro dei ricercatori si basa su proiezioni climatiche multiple, incrociando diversi scenari di emissioni e modelli glaciologici. Il risultato è una mappa globale della perdita di ghiaccio che non lascia spazio a interpretazioni ottimistiche. A livello mondiale, con +1,5 gradi, alla fine del secolo resterebbero circa 100.000 ghiacciai. Con +4 gradi, ne sopravvivrebbero solo 18.000, poco più di un decimo di quelli attuali.

Ma il cuore simbolico della crisi resta l’arco alpino. Qui il ghiacciaio non è solo una massa di ghiaccio: è risorsa idrica, regolatore climatico, archivio naturale, paesaggio identitario. La sua scomparsa non è neutra. Cambia i fiumi, altera gli equilibri idrogeologici, aumenta il rischio di frane e crolli, colpisce l’economia turistica e agricola, modifica per sempre il volto della montagna.
Lo studio individua anche un concetto nuovo e potente: il “picco di estinzione dei ghiacciai”, cioè l’anno in cui il numero di ghiacciai che scompaiono raggiunge il massimo. Anche qui, i numeri sono impressionanti. Nello scenario migliore, quello di +1,5 gradi, il picco si verificherebbe attorno al 2041, con la scomparsa di circa 2.000 ghiacciai in un solo anno. In uno scenario di +4 gradi, il picco slitterebbe al 2055, ma con una perdita annua che salirebbe a 4.000 ghiacciai in dodici mesi.
Tradotto: anche se il mondo imboccasse subito la strada più virtuosa, la perdita accelerata è ormai incorporata nel sistema climatico. Le scelte dei prossimi anni non serviranno a salvare la maggior parte dei ghiacciai alpini, ma a decidere quanto totale sarà la loro scomparsa e quanto rapidamente avverrà.
Per l’Italia, questo significa un cambiamento strutturale. I ghiacciai delle Alpi alimentano bacini idrici cruciali, soprattutto nei mesi estivi. La loro riduzione comporta minore disponibilità d’acqua, maggiore competizione tra usi agricoli, civili ed energetici, e una crescente instabilità dei versanti montani. Non è un problema ambientale astratto: è una questione economica, sociale e di sicurezza.
Negli ultimi decenni il ritiro dei ghiacciai è stato visibile a occhio nudo. Lingue di ghiaccio che si accorciano, fronti che arretrano di decine di metri ogni anno, ghiacciai che si frammentano in corpi più piccoli, destinati a sparire ancora più in fretta. Ora la scienza mette un numero a ciò che già si vede: la fine di un sistema millenario.
C’è poi un elemento culturale, spesso sottovalutato. I ghiacciai sono memoria climatica: raccontano migliaia di anni di storia del pianeta, conservano tracce atmosferiche, biologiche, persino antropiche. La loro scomparsa è una perdita irreversibile di conoscenza, oltre che di paesaggio.
Il dato forse più amaro è che tutto questo avviene mentre il dibattito pubblico fatica ancora a misurare la portata della crisi climatica. La soglia di 1,5 gradi, presentata spesso come un obiettivo salvifico, in realtà rappresenta solo il male minore. Anche rispettandola, le Alpi perderanno quasi tutto il loro ghiaccio.
La differenza tra +1,5, +2,7 o +4 gradi non è quindi tra “salvare” o “non salvare” i ghiacciai, ma tra conservarne pochi o cancellarli quasi del tutto. Tra lasciare tracce riconoscibili o ridurli a capitoli di libri di geologia.
Il futuro delle Alpi è già scritto in gran parte. Ma la velocità della loro trasformazione, e l’impatto sulle società che vivono a valle, dipendono ancora dalle scelte politiche, economiche ed energetiche dei prossimi anni. La finestra per evitare lo scenario peggiore è stretta. E il ghiaccio, a differenza delle parole, non aspetta.
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