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Una rete salvavita sulle Alpi: 72 defibrillatori ai rifugi piemontesi

La mappatura delle Unioni Montane individua settantadue strutture ammissibili

Una rete salvavita sulle Alpi

Una rete salvavita sulle Alpi: 72 defibrillatori ai rifugi piemontesi (foto di repertorio)

La decisione della Regione Piemonte di assegnare 72 defibrillatori semiautomatici e automatici ai rifugi alpini ed escursionistici rappresenta uno degli interventi più estesi mai realizzati per migliorare la sicurezza in montagna. Il provvedimento, che rientra nella Misura 3 del Fondo per lo Sviluppo delle Montagne Italiane (Fosmit), annualità 2023, introduce una dotazione capillare di dispositivi salvavita e un percorso di formazione rivolto a 61 gestori, con l’obiettivo di ridurre drasticamente i tempi di intervento in caso di arresto cardiaco, una delle emergenze più critiche anche in ambiente alpino dove i soccorsi possono richiedere tempi lunghi.

Il progetto nasce dalla collaborazione tra la Direzione Sanità e la Direzione Ambiente, Energia e Territorio, un lavoro congiunto volto a portare strumenti essenziali nelle zone più esposte e difficilmente raggiungibili. L’iniziativa interessa tutte le province alpine – Cuneo, Torino, Vercelli, Verbano-Cusio-Ossola – e si estende anche alle aree montane di Asti, Biella e Alessandria, seguendo un criterio prioritario: dotare prima di tutto i rifugi più lontani dai presidi sanitari e situati a quote elevate. La mappa risultante restituisce un quadro di intervento diffuso, che tocca territori profondi delle Alpi Marittime, delle Cozie, delle Graie, e dell’arco ossolano, senza trascurare i presidi di media montagna frequentati da escursionisti e famiglie.

Le candidature sono state raccolte tramite le Unioni Montane, che hanno svolto un ruolo decisivo nella ricognizione dei bisogni e nella selezione delle strutture ammissibili. Il risultato è un elenco che abbraccia contesti molto diversi tra loro, dai rifugi storici delle Alpi occidentali ai presidi in alta quota oltre i 2.500 metri, dove un arresto cardiaco può essere fatale nel giro di pochi minuti. Tra questi rientrano il Rifugio 3A di Formazza, a 2.960 metri, il rifugio Luigi Vaccarone a Giaglione, posto a 2.747 metri, e diversi presidi della Valsesia e dell’Ossola che operano in aree dove l’intervento sanitario è spesso subordinato alle condizioni meteorologiche e alla disponibilità dei mezzi di soccorso.

La distribuzione dei dispositivi interessa inoltre rifugi di grande rilevanza escursionistica come il Don Barbera a Briga Alta, il Piero Garelli a Chiusa Pesio, il Daniele Arlaud a Salbertrand, il Balma a Frabosa Soprana, il Quintino Sella al Lago Grande di Viso a Crissolo, l’Ospizio Sottile ad Alagna, il Pontese a Locana, il Massimo Mila e Le Fonti Minerali a Ceresole Reale. Una rete che va dai 650 ai quasi 3.000 metri di altitudine, a dimostrazione della volontà regionale di intervenire su ogni livello della montagna, senza concentrare gli sforzi unicamente sulle località più note o più frequentate.

Accanto alla distribuzione dei defibrillatori, la Regione attiverà – tramite Azienda Sanitaria Zero – percorsi di formazione per i gestori, affinché le dotazioni non restino strumenti isolati ma parte integrante di una capacità di risposta strutturata. L’obiettivo è duplice: migliorare l’efficacia dell’intervento immediato e contribuire alla diffusione di una cultura della prevenzione, un elemento che nelle aree montane assume un valore ancora più determinante per la tutela di residenti, lavoratori e visitatori.

Il progetto si inserisce nella strategia complessiva della Regione per le aree interne, che mira a rafforzare la presenza dei servizi essenziali, valorizzare il ruolo dei rifugi come presidi di comunità, e promuovere un turismo outdoor che coniughi attrattività e sicurezza. Le nuove dotazioni non incidono soltanto sulla capacità di gestione dell’emergenza cardiaca, ma rappresentano un passo nella costruzione di un sistema alpino moderno, capillare e orientato alla cura delle persone che vivono o attraversano territori spesso fragili e complessi.

Con l’attivazione dei defibrillatori e l’avvio dei percorsi formativi, la montagna piemontese si dota di una rete di protezione più solida, in grado di ridurre distanze, tempi e rischi in contesti dove ogni minuto può essere decisivo.

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