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10 Dicembre 2025 - 11:10
All’inizio sembra il solito sfottò da social: qualche emoji buttata lì, due hashtag sgangherati, una clip che evapora in ventiquattr’ore. E invece no. In una manciata di Storie su Instagram, alcuni ragazzi della squadra maschile del Don Guanella puntano il bersaglio sulle calciatrici Under 17 del Napoli, infilandoci volgarità e frasi sessiste — «#tornateafareleballerine», «#vogliamoireggiseni» — che col calcio non hanno nulla a che vedere. Il resto è una scia prevedibile: familiari indignati, dirigenti che chiedono provvedimenti, un parlamentare — Francesco Emilio Borrelli — che interviene pubblicamente, e un interrogativo che resta nell’aria come un odore di spogliatoio che non va via: fin dove arriva la responsabilità del calcio, quando il campo si sposta online?
Secondo le segnalazioni raccolte, alcuni giocatori della formazione maschile del Don Guanella hanno diffuso su Instagram contenuti esplicitamente offensivi nei confronti delle ragazze del Napoli Under 17, accompagnandoli con allusioni ai corpi e hashtag costruiti per ridicolizzare lo sport femminile, quasi fosse un passatempo improprio. Le famiglie delle atlete lo notano subito, lo denunciano, chiedono sanzioni e percorsi educativi per evitare l’ennesimo caso archiviato sotto il tappeto dell’imbarazzo. Entra in scena anche il deputato Borrelli, che sollecita verifiche e misure esemplari.
Ridurre tutto a goliardia significa non vedere la frattura: qui non c’è l’ironia sghemba di un gruppo di adolescenti, ma contenuti sessisti che degradano le atlete in quanto donne. Ed è esattamente quel confine che l’articolo 28 del Codice di Giustizia Sportiva FIGC delimita con precisione: c’è una differenza netta tra l’insulto generico e la condotta discriminatoria fondata sul sesso. Nel secondo caso scattano sanzioni più dure, e la giurisprudenza della Corte Federale d’Appello lo ha ribadito più volte distinguendo tra linguaggio ostile e lesione della dignità.
Sul fronte delle piattaforme, Instagram vieta espressamente contenuti che incitano all’odio o degradano sulla base del sesso o del genere, oltre al bullismo e alla richiesta di contenuti sessuali. La rimozione dei post e la disattivazione degli account sono possibilità concrete, anche se il recente allentamento degli standard di enforcement rischia di lasciare online, più a lungo, una quota di messaggi ostili. È un contesto che rende ancora più essenziale l’azione di società sportive, famiglie e scuole nel segnalare, documentare, intervenire.
Il caso napoletano non è un incidente isolato ma un tassello di una tendenza internazionale. L’UEFA, monitorando gli Europei femminili, ha registrato nel 2022 una forte incidenza di contenuti sessisti, ridotti progressivamente grazie al lavoro con le piattaforme; nel 2025, sul torneo, sono stati individuati 1.901 post abusivi, con il 66,6% rimosso o “actioned”. La FIFA, alla Coppa del Mondo femminile 2023, ha rilevato che una calciatrice su cinque è bersaglio di messaggi discriminatori o minacciosi, e che la componente sessista, omofoba o sessualizzata rappresenta circa la metà dei contenuti d’odio; nel 2025 ha annunciato nuove misure di protezione e la segnalazione di undici individui alle autorità, con relative blacklist per gli eventi internazionali. Questi dati non servono a drammatizzare un episodio locale, ma a collocarlo: lo sport femminile è, troppo spesso, un bersaglio strutturale di abusi online destinati a riversarsi poi nella vita reale delle atlete.
Per le società coinvolte, Don Guanella e Napoli Under 17, il nodo non è solo punire ma soprattutto educare. Significa combinare sanzioni proporzionate con percorsi riparativi su rispetto e pari opportunità, adottare linee guida interne sui social per i tesserati, formare i genitori come parte attiva nel riconoscimento degli abusi, tutelare le atlete con supporto psicologico e protocolli di privacy. È lo spirito dello stesso art. 28: reprimere, sì, ma dentro una cornice preventiva e consapevole.
Per famiglie e ragazze, la prima regola è non rispondere con altre offese, perché amplifica la visibilità dei contenuti. Su Instagram gli strumenti ci sono: “Parole Nascoste”, limitazioni ai DM, impostazioni per i “Teen Accounts”, percorsi di School Partnership per segnalazioni rapide. In ambito sportivo la strada passa dai dirigenti e, se necessario, dal Comitato Regionale LND o dalla Procura Federale FIGC, richiamando esplicitamente la natura discriminatoria delle condotte.
Il precedente culturale, purtroppo, esiste già: il calcio giovanile italiano conosce casi di insulti a direttrici di gara, minacce gravissime a calciatrici, derive sessiste che sono lo specchio della società più che dello sport. Ecco perché non basta la squalifica: la cultura si costruisce e si allena, proprio come la tecnica.
Questa storia riguarda tutti perché parla di minorenni che vivono il campo — reale e digitale — come luogo di apprendimento; perché tocca l’equità nel calcio, e dire a una ragazza «torna a fare la ballerina» non è un’opinione tecnica ma un tentativo di esclusione; perché incrocia la responsabilità delle piattaforme, che funzionano solo sotto pressione pubblica e con standard chiari. I progetti UEFA e FIFA dimostrano che contrastare l’odio è possibile quando istituzioni sportive e tech company lavorano insieme.
La domanda finale è semplice e scomoda: cosa imparano i ragazzi del Don Guanella? E cosa imparano le ragazze del Napoli Under 17? Se tutto finisce con una squalifica, resterà poco. Se invece da qui nasce un percorso concreto — scuse, formazione, incontri nelle scuole e in spogliatoio — allora il danno potrà tradursi in qualcosa di collettivo: la consapevolezza che i corpi delle atlete non sono contenuti da consumare in ventiquattr’ore, ma persone, compagne, avversarie. Calciatrici.
Ora ci si aspetta un’inchiesta interna delle società per identificare con chiarezza gli autori dei post, la possibile trasmissione degli atti alla Procura Federale per valutare l’art. 28 (discriminazione) e l’art. 4 (lealtà e correttezza), una posizione del Settore Giovanile e della Lega Nazionale Dilettanti – Campania che non sia solo punitiva ma educativa, e infine un segnale da Instagram: rimozione delle Storie offensive, avvisi agli account coinvolti, supporto alle atlete nel contenimento della diffusione. Se accadrà, questa vicenda potrà diventare un modello: il giorno in cui una Storia che svaluta lo sport di una ragazza si trasforma in una storia che alza gli standard di tutti.
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