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La nevicata del 1990 che travolse il Nordovest e riscrisse la storia

Oltre un metro in 24 ore, città paralizzate e record frantumati in un giorno entrato nella storia

La nevicata del 1990

La nevicata del 1990 che travolse il Nordovest e riscrisse la storia (foto archivio)

Il 9 dicembre 1990 resta una data scolpita nella memoria meteorologica del Nordovest. Trentacinque anni fa, in quelle ore, Valle d’Aosta e Piemonte vennero investiti da una delle nevicate più imponenti e rapide dell’ultimo secolo, un fenomeno che superò in alcune aree perfino gli storici eventi del triennio 1985-1987. In appena ventiquattr’ore caddero accumuli tali da riscrivere record centenari, paralizzare città e paesi e modificare per giorni la vita quotidiana di un’intera regione.

L’episodio fu il risultato di una combinazione atmosferica quasi perfetta per generare una “nevicata da manuale”. Nei giorni precedenti, una ondata di freddo severa aveva fatto scendere le minime fino a -10°C in pianura, creando il classico “cuscino freddo” nei bassi strati. Su questa massa d’aria gelida si innestò una saccatura atlantica carica di aria polare-marittima: una struttura dinamica che favorì la formazione di un minimo depressionario fra il Golfo del Leone e il Mar Ligure, sceso fino a 995 hPa. L’aria umida e più mite proveniente dai quadranti meridionali, scorrendo sopra lo strato gelido al suolo, trasformò la perturbazione in una macchina implacabile capace di nevicare senza sosta e a tutte le quote.

Il dato più clamoroso arrivò dalla Valle d’Aosta, dove l’aeroporto di Aosta–Saint-Christophe registrò 100 centimetri di neve fresca in 24 ore, la nevicata giornaliera più abbondante mai misurata dal 1891. Un accumulo superiore perfino alla media nivometrica annuale dell’intera città, che nel trentennio 1961-1990 si attestava sui 92 centimetri.

Ma l’apice dell’ondata nevosa si registrò sulle Alpi piemontesi. Nella fascia delle Alpi Pennine gli accumuli superarono abbondantemente i due metri: 222 centimetri a Carcoforo, in Valsesia, e 209 a Macugnaga, in Valle Anzasca. Due località a quota 1.300 metri che nell’arco di una sola giornata videro cadere la neve di un intero inverno.

Le città e le zone collinari del Piemonte non furono risparmiate. Cuneo registrò uno degli episodi più straordinari della sua storia meteorologica: 120 centimetri complessivi, di cui 105 in 24 ore, nuovo record assoluto dal 1877. La città rimase per ore praticamente isolata, con le strade sommerse e i mezzi spalaneve costretti a lavorare senza sosta. In provincia di Alessandria si toccarono 85 centimetri in città, 72 a Tortona, 65 tra Novi Ligure e Ovada, 55 a Casale Monferrato. L’Astigiano oscillò fra i 40 centimetri di Villanova, i 55 di Canelli e il metro raggiunto a Roccaverano, nelle alte Langhe.

Meno imponente ma comunque significativa la nevicata sul Piemonte centro-settentrionale: 22 centimetri a Torino, con oltre 30 nei quartieri settentrionali e occidentali, 28 a Vercelli, 31 a Novara, 20 a Verbania.

La portata dell’evento non si limitò alle sole 24 ore di precipitazioni. L’imponente manto nevoso al suolo generò, nei giorni successivi, una persistente inversione termica che trasformò la seconda decade di dicembre 1990 in una delle più fredde degli ultimi decenni. Le temperature scesero fino a -18°C ad Aosta e -15°C in pianura nel basso Piemonte, con intere notti dominate da un gelo intenso e continuo.

Il paesaggio, congelato nel silenzio dell’inverno pieno, rimase immobile per giorni. Nei piccoli centri le automobili sparirono sotto cumuli di neve, le scuole chiusero, i collegamenti vennero rallentati e i camion rimasero bloccati sulle principali arterie. Anche gli impianti sportivi risentirono pesantemente dell’ondata: in diverse città gli stadi restarono impraticabili per giorni, con rinvii a catena che modificarono i calendari delle competizioni locali.

La nevicata del 9 dicembre 1990 rimane, ancora oggi, un riferimento assoluto nella climatologia del Nordovest. Un episodio capace di unire memoria collettiva e rigore scientifico, perché misurò non solo l’intensità della perturbazione, ma anche la vulnerabilità del territorio quando atmosfere rare, quasi perfette, riportano l’inverno più vero e severo. Trentacinque anni dopo, quelle immagini – tetti scomparsi sotto metri di neve, strade trasformate in corridoi bianchi, il fruscio dei fiocchi che non smettono mai – continuano a raccontare un fatto storico che ha segnato un’epoca climatica ormai lontana.

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