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L’Impero che non conoscevamo: le strade fantasma riemergono e mandano in crisi la mappa ufficiale di Roma

Un nuovo atlante digitale svela una rete viaria ben più vasta del previsto: quasi trecentomila chilometri, con un motore di calcolo capace di simulare itinerari e tempi di viaggio. E cambia come raccontiamo il mondo romano.

L’Impero che non conoscevamo

L’Impero che non conoscevamo: le strade fantasma riemergono e mandano in crisi la mappa ufficiale di Roma

Una curva di terra color miele che taglia una collina del Peloponneso, visibile solo dall’alto come un’ombra più chiara che si perde e ricompare tra ulivi e muretti a secco, è diventata il simbolo di un cambio di paradigma. Nessuna lastra, nessun basolato, nessuna colonna a indicarne l’esistenza. Eppure quella traccia è una strada romana, una delle migliaia tornate leggibili grazie a un lavoro di mappatura che sta costringendo la comunità scientifica a rivedere l’intera geografia della mobilità antica: da 190.000 a 300.000 chilometri, un salto del 60% che ribalta ciò che si credeva di conoscere sulla rete viaria dell’Impero. Non solo le grandi arterie, ma soprattutto la fitta trama di percorsi secondari che univano ville, cave, fattorie e piccoli porti, il tessuto circolatorio dell’economia quotidiana, oggi finalmente visibile con una nitidezza inedita.

Questo cambio di scala prende forma in Itiner-e, un atlante digitale sviluppato da un’équipe internazionale guidata da Tom Brughmans, Pau de Soto e Adam Pažout, un progetto che intreccia fonti antiche, ricognizioni aeree della Seconda guerra mondiale, immagini satellitari e modelli topografici moderni. L’atlante non si limita a mostrare linee su una mappa: integra un motore di calcolo capace di simulare tempi e percorsi di viaggio a piedi, con asino o carro a buoi, lungo fiumi e — in versione sperimentale — tratti marittimi. Il dataset contiene 14.769 segmenti, organizzati tra arterie principali e strade minori, ma la cifra più onesta è un’altra: solo il 2,7% dei tracciati ha una localizzazione certa, l’89,8% è ricostruito con livelli variabili di congettura. L’incertezza non è un difetto, è l’architrave metodologica del progetto: tutto viene mostrato, tutto è verificabile, tutto è correggibile. È scienza che espone i propri margini.

Itiner-e fotografa l’Impero alla sua massima estensione — attorno al 150 d.C. — includendo vie romane e percorsi più antichi rimasti in uso. Una “istantanea larga” che abbraccia secoli di adattamenti, riparazioni, riusi. Non dice quali tratti fossero attivi simultaneamente, ma offre la cartografia più completa del potenziale viario romano mai costruita. Un riferimento che cambia radicalmente il modo di leggere la storia: ciò che sembrava periferia diventa centrale, ciò che sembrava vicino risulta improvvisamente lontano se misurato su pendenze reali anziché su linee rette tracciate da atlanti precedenti come il Barrington Atlas o il DARMC. È qui che l’aumento di lunghezza diventa decisivo. Dove la montagna obbligava a curve e tornanti, i vecchi atlanti semplificavano. Itiner-e no: segue la topografia, curva, si infila tra rilievi e gole, “densificando” la rete e riportando la misura alla realtà fisica.

Il lavoro degli autori è stato un esercizio estenuante di ricostruzione: incrociare 8.000 miliari, carte militari, ricognizioni del programma Corona, immagini satellitari moderne e letteratura archeologica. In molti casi è sembrato un gigantesco “unire i puntini”, dove i punti erano siti antichi e le linee, deduzioni plausibili da verificare con ogni indizio disponibile. È questo rigore a rendere Itiner-e non un poster, ma un laboratorio. Il suo routing tool apre scenari impensabili: simulare movimenti di legioni, percorsi di approvvigionamento, diffusione di religioni o epidemie. È un salto verso modelli predittivi più solidi, soprattutto se integrati con piattaforme come ORBIS, che da anni calcola costi e tempi su reti terrestri, fluviali e marittime.

Gli effetti per la ricerca sono dirompenti. La connettività reale — non quella dedotta da mappe schematiche — cambia la gerarchia degli insediamenti. Le ville rustiche, le cave, i piccoli porti risultano più integrati nei sistemi economici regionali. Le dinamiche di salute e malattia trovano nuovi corridoi di interpretazione, così come quelle del controllo amministrativo e militare: più strade significano più capacità di penetrazione, ma anche più fronti da mantenere e sorvegliare. La metodologia trasparente, basata su open data, porta la ricerca su un terreno più maturo: ogni segmento ha una URI collegata ai gazetteer come Pleiades e a progetti come TIR-FOR. L’integrazione con l’ecosistema delle humanities digitali è già in atto e promette modelli sempre più complessi e replicabili.

Le zone dove la mappa cresce di più — Penisola Iberica, Grecia, Nord Africa — mostrano quanto fosse distorta l’immagine precedente. Ma emergono anche vuoti: Inghilterra settentrionale, Cornovaglia, alto Danubio, Toscana, Corsica, Anatolia centrale. Non sono fallimenti: sono indirizzi di lavoro per future campagne sul campo. Perché Itiner-e dichiara ciò che non sa, e indica dove cercare.

Il limite principale è temporale. Itiner-e non può ancora restituire la dimensione dinamica della rete. Non può dire quando un tratto è stato abbandonato, riparato, spostato, né sovrapporre cronologie precise all’intero continente romano. Ma questo limite, reso esplicito, è anche un invito: la prossima rivoluzione sarà costruire la mappa come un organismo vivo, che cambia nel tempo come cambia un territorio reale.

L’eredità romana, riletta così, smette di essere un mosaico monumentale. Diventa una rete viva, elastica, attraversata da scelte politiche, esigenze economiche, adattamenti locali. Non più l’idea di “una strada per Roma”, ma una pluralità di itinerari alternativi, ciascuno con costi, tempi, limiti. È un ribaltamento narrativo che restituisce agli antichi la complessità che era loro, non nostra.

Il lavoro è appena cominciato. Ma sapere che quasi 300.000 chilometri di vie possano stillare dalla superficie del paesaggio europeo e mediterraneo grazie a una differenza di vegetazione, a un taglio di quota, a un’ombra rivelata da un volo del 1943, costringe a guardare i territori con occhi nuovi. Ogni filare di alberi, ogni linea di drenaggio, ogni dislivello potrebbe essere il fantasma di un bivio romano. Una prova che la storia, quando cambia mappa, cambia anche la maniera in cui guardiamo il mondo.

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