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04 Dicembre 2025 - 20:20
Il riallestimento della sala dedicata al corredo funerario di Kha e Merit è completato
Il Museo Egizio di Torino compie un salto decisivo nella sua storia recente e riallestisce la sala dedicata al corredo funebre di Kha e Merit, l’unico corredo intatto del Nuovo Regno conservato fuori dall’Egitto. Un patrimonio irripetibile, che oggi si presenta in una veste completamente nuova, grazie a tecnologie avanzate, soluzioni espositive mai sperimentate prima e a un sostegno economico sorprendente: oltre 500 donatori, insieme a Fondazione Crt e grandi mecenati, hanno reso possibile un progetto che lo stesso direttore Christian Greco definisce cruciale.
Il nuovo spazio è un percorso immersivo costruito su luce, ricerca e narrazione. «Ieri pomeriggio vagavo tra le vetrine assieme a Paolo Del Vesco e anche lui diceva che alcuni oggetti sembra di non averli mai visti», racconta Greco, sottolineando come il riallestimento abbia rivelato dettagli sfuggiti persino agli studiosi. L’idea è quella di mostrare non solo gli oggetti, ma le vite, le pratiche quotidiane, la complessità sociale della coppia di scribi vissuta 3.500 anni fa a Deir el-Medina, il villaggio degli artigiani dei faraoni.
L’innovazione più impressionante è la teca anossica da 14 metri, prima al mondo progettata esclusivamente per papiri, pensata per conservare in condizioni ottimali il Libro dei Morti. «La tecnologia diventa strumento di narrazione», spiegano Greco e la presidente del Museo, Evelina Christillin, convinti che il modello costruito qui rappresenti un riferimento per i musei del futuro. La teca, inclinata a 45 gradi, è affiancata da una infografica di 19 metri dedicata alle 33 formule magiche del manoscritto, un modo per guidare il pubblico dentro i codici religiosi e simbolici dell’Antico Egitto.
Sotto gli occhi dei visitatori arrivano 460 reperti, tra sarcofagi, arredi, tessuti, strumenti quotidiani e boccette per unguenti e profumi in vetro e alabastro. Per la prima volta escono dai depositi oltre 100 tessuti funerari, restaurati e catalogati in anni di lavoro. «L’aspetto più rivoluzionario è l’approccio: non mostriamo solo oggetti, ma raccontiamo vite, processi e scoperte in corso», ribadisce la direzione.
Il progetto è anche il risultato di una comunità che ha creduto nella trasformazione del museo: «La collaborazione tra istituzioni, sostenitori privati e pubblico può generare progetti di portata internazionale», affermano Greco e Christillin. L’intervento diventa così un manifesto del nuovo Egizio: un luogo dove il sapere si costruisce e si condivide, non solo si osserva.
E il cantiere non è chiuso. «Stiamo anche trattando per un ultimo oggetto che vogliamo assolutamente avere: è il pyramidion di Kha, che si trova al Louvre. Stiamo cercando di farlo arrivare», rivela Greco. Un tassello simbolico che, se ottenuto, completarebbe l’opera restituendo alla sala l’unità storica del suo corredo.
Con il nuovo allestimento, Torino rafforza il ruolo del suo museo come uno dei poli egittologici più autorevoli al mondo, capace di unire rigore scientifico e visione contemporanea, tecnologia e racconto, patrimonio e partecipazione.
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