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La Conferenza dei Sindaci dell'Asl To4 si sveglia. Dopo anni di silenzi, disastri

Chiantore scrive alla Regione, ma i poteri li aveva già: bastava un voto per far tremare l’ASL. In passato mandarono a casa Ardissone senza neppure accorgersene. Ora scoprono di avere le chiavi del sistema

Matteo Chiantore

Matteo Chiantore

Alla fine qualcosa si muove, anche se non si direbbe guardando lo stato in cui si trova la sanità. A muoversi non è certo il sistema, che continua a incepparsi tra attese interminabili, reparti in affanno e cittadini che non sanno più a chi rivolgersi. A muoversi è lui, Matteo Chiantore, il sindaco di Ivrea e presidente della Conferenza dei Sindaci dell’ASL TO4, che dopo settimane di silenzio tombale – lo stesso silenzio che avevamo già denunciato come grottesco, quasi scandaloso – prende finalmente la parola, e lo fa con una lunga lettera indirizzata all'assessore regionale Federico Riboldi e al direttore generale Luigi Vercellino.

È una lettera che sembra voler ricucire anni di assenze, anni in cui la Conferenza dei Sindaci è stata più una cornice istituzionale che un organo politico, più un luogo di passaggi formali che il contrappeso previsto dalla legge.

Chiantore lo ammette, per la prima volta, con un’onestà che sorprende.

Scrive: «Le recenti vicende emerse nell’ambito dell’inchiesta giudiziaria in corso sulla nostra Azienda Sanitaria Locale hanno messo in evidenza, con chiarezza e con una certa urgenza, un nervo scoperto da tempo: il ruolo dei Sindaci, e della Conferenza che li rappresenta, all’interno dei processi decisionali e delle strategie sanitarie del territorio.»

È un’accusa rivolta al sistema, certo, ma inevitabilmente anche a sé stesso, perché la Conferenza dei Sindaci negli ultimi anni ha assistito ai cambiamenti senza mai davvero intervenire.

Chiantore insiste, giustificando l’immobilità. «È evidente – dice – come, in più occasioni, ai Sindaci sia stato richiesto di esprimere pareri o assumere posizioni su questioni rilevanti per l’organizzazione e la gestione dei servizi sanitari, pur in assenza della piena applicazione degli strumenti e delle prerogative formalmente previste dalla normativa vigente.»

Parole ponderate, precise, che fotografano un problema reale, ma che non cancellano la questione centrale: la Conferenza dei Sindaci i poteri li ha, e li ha avuti sempre.

La legge regionale parla chiaro. Lo stesso Chiantore lo ricorda: «L’art. 7 della L.R. 18/2007 ha rivisto le competenze delle Conferenze dei Sindaci delle Aziende Sanitarie Locali, rafforzandone la partecipazione attiva.»

E più avanti elenca tutto ciò che i Sindaci possono fare: «esaminare ed esprimere pareri sul bilancio pluriennale e sul bilancio di esercizio, esprimere i pareri previsti sull’operato del Direttore Generale, designare un componente del collegio sindacale, svolgere funzioni di indirizzo, verifica e partecipazione alla programmazione…»

L’elenco è lungo, dettagliato, inequivocabile: i Sindaci non sono comparse, non sono figure decorative, non sono spettatori.

Eppure, negli anni, hanno scelto di comportarsi come se lo fossero. Hanno fatto credere a se stessi, e ai cittadini, di non avere strumenti, quando invece ne avevano addirittura di esplosivi. Perché basta un gesto, uno soltanto, per cambiare tutto: se la Conferenza non approva il bilancio, il Direttore Generale va a casa.
Fine del mandato. Uffici svuotati. Scrivania liberata.

E non è una teoria. È successo davvero. Alcuni anni fa, quasi per caso, un direttore generale – Lorenzo Ardissone – fu mandato a casa proprio così: per un’astensione dei Sindaci sul bilancio. Un atto di forza clamoroso. Talmente clamoroso da cogliere di sorpresa gli stessi protagonisti. La scena, ancora oggi, è raccontata con imbarazzo da chi c’era: Sindaci che, davanti ai giornalisti, provavano a giustificarsi dicendo che «non immaginavano potesse finire così».

Una specie di colpo di Stato “a loro insaputa”, un ribaltone inconsapevole che dimostra meglio di ogni altra cosa quanto fosse grande il potere che avevano e quanto fosse altrettanto grande la loro inconsapevolezza.

Ecco la verità: la Conferenza dei Sindaci non è stata spogliata dei poteri. Non è stata esclusa. Non è stata ridotta al silenzio da altri. Si è auto-silenziata, auto-marginalizzata, auto-impoverita. Ha smesso di esercitare gli strumenti che la legge le metteva in mano. Ha lasciato che altri decidessero al suo posto.

E si arriva così a oggi, con Chiantore che, in un passaggio chiave della sua lettera, ammette: «Tali disposizioni non hanno trovato nella prassi una concreta e sistematica attuazione, generando uno scollamento tra responsabilità attribuite e strumenti effettivamente disponibili.»

Una frase raffinata per dire una cosa brutale: avevano i poteri, ma non li hanno mai usati.

E sarebbe bastato davvero poco. Davvero pochissimo. Sarebbe bastato dire: “Occhio, se sul bilancio non concordiamo insieme, noi ci asteniamo.” E il direttore avrebbe iniziato a preparare gli scatoloni.

Oppure: “Se gli obiettivi non sono i tempi d’attesa, noi non approviamo i risultati.”

E i direttori, quello generale, quello sanitario e quello amministrativo, avrebbero visto svanire in un attimo i premi di risultato. Basterebbe un semplice voto, un gesto politico, una presa di posizione. Il genere di gesto che qualsiasi cittadino farebbe con brutale chiarezza, dicendo le cose come stanno: “Non ti sta bene? Peggio per te.”

O, per dirla in modo ancora più diretto: “Non ti sta bene? Fanculo.”

L'assessore regionale alla sanità Federico Riboldi e il Governatore Alberto Cirio

E invece, per anni, si è preferito stare zitti. Zitti tutti. Zitti come chi non vede, non sente e soprattutto non vuole disturbare. In molti sostengono che il silenzio possa essere stato dettato dalla questione del nuovo ospedale nell’area ex Montefibre per Chiantore, dalla nuova Casa della Salute per qualcun altro. Tutti convinti di ottenere qualcosa se non disturbano.

Poveretti, se davvero ci han creduto. Ma è così che funziona: per addomesticare un amministratore locale basta convincerlo che è “quasi arrivato”.

Oggi, però, all’improvviso, Chiantore ha deciso di alzare la voce.

Chiede un incontro urgente: «Mi rendo disponibile, insieme alla Rappresentanza dei Sindaci dell’ASLTO4, a partecipare a un incontro dedicato alla definizione di un percorso condiviso.»

Parole importanti, necessarie, ma drammaticamente tardive. E soprattutto, a ben guardarle, parole che non reggono sul piano politico. Perché un conto è chiedere un confronto quando non si hanno strumenti; un altro è farlo quando gli strumenti già si possiedono, e sono strumenti pesanti, incisivi, perfino dirompenti. La Conferenza dei Sindaci non deve “chiedere” un percorso condiviso alla Regione o all’ASL: ce l’ha già per legge. Il suo ruolo non è quello di un ospite al tavolo, ma di un soggetto che può spostare equilibri, cambiare direzioni, ribaltare vertici.

E allora che senso ha questa richiesta? A cosa serve invocare un tavolo quando si potrebbero usare voti, atti, poteri concreti? Perché chiedere alla Regione Piemonte e all’ASL TO4 di “condividere un percorso” quando la legge prevede – chiaramente – che quel percorso lo si decide insieme, certo, ma non su concessione altrui? È come se un sindaco, improvvisamente, si svegliasse e chiedesse un incontro urgente per capire se può ancora svolgere il mestiere di sindaco.

La verità è che la sanità del territorio non ha più margini, non ha più fiato, non ha più tempo da concedere a chi si accorge della sua esistenza con anni di ritardo. Il territorio non ha bisogno di ulteriori analisi, né di nuovi tavoli di lavoro: ha bisogno che chi possiede il potere lo usi. Ha bisogno di Sindaci che sappiano votare, non solo commentare. Ha bisogno che la Conferenza torni a essere quello che la legge prevede: un organismo capace di incidere davvero. Ha bisogno che, quando un direttore sbaglia, si alzino le mani. Che, quando le liste d’attesa esplodono, si dica chiaramente che il premio di risultato non è un diritto, ma una conseguenza. Che, quando le strategie non funzionano, si bocci il bilancio e si cambi guida.

Insomma, la lettera va bene. Arriva tardi, ma va bene. Ma ora servono i gesti, quelli veri. Perché la sanità può resistere a tanti ritardi, ma non sopravvive a chi ha il potere e sceglie di non usarlo.

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