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27 Novembre 2025 - 08:19
Federico Riboldi, Matteo Chiantore, Luigi Vercellino
A sentire il ministro Orazio Schillaci, in Piemonte “le liste d’attesa stanno migliorando”, “i dati sono confortanti”, “la situazione sta finalmente cambiando”. Dateci un pizzicotto. Diteci che non è vero. Massì, tant’è: forse al ministro non gliel’hanno raccontata giusta e lui ci ha abboccato come un pesce. La verità infatti è un’altra. C’è che il Piemonte reale — quello dell’Asl To4 diretta da Luigi Vercellino — è una coda infinita che non migliora, non si accorcia, non scende: esplode. E grida vendetta a ogni riga dei report ufficiali, freschi di stampa e appena pubblicati sul sito dell’azienda sanitaria.
E non servono mille numeri per capirlo. Ne bastano una manciata, scelti a caso, come estratti dal tombolone dell’orrore. Per una visita oculistica, corridoi interi superano i 300 giorni, con il record nazionale — e forse europeo — dei 743 giorni a Gassino Torinese. Due anni e rotti. Per una ortopedica, in alcune sedi si arriva a quasi 400 giorni, abbastanza per imparare da autodidatta l’arte dell’autodiagnosi. Se invece ti serve una dermatologica, a Lanzo ti danno appuntamento direttamente all’anno prossimo: 368 giorni.
Una neurologica arriva a 367 giorni, che detta così sembra un calendario liturgico. Una TC del torace varia dai 7 ai 92 giorni, a seconda che si cada sul privato convenzionato o sull’ospedale pubblico. Una risonanza magnetica dell’encefalo è inchiodata a 221.
Ma potremmo fermarci qui? Certo che no. Questo sistema sanitario è un pozzo senza fondo, basta infilare la mano tra le pagine del report per estrarre un altro numero da incubo. Per esempio una visita endocrinologica, che in varie sedi supera tranquillamente i 200 giorni. Oppure una visita gastroenterologica, che a seconda della sede oscilla tra un ottimistico 70 e un più realistico 120 giorni: perfetta per digerire tutto il tempo perso. Una visita urologica, in diversi ambulatori, tocca picchi di 148 giorni, mentre per una otorinolaringoiatrica si può superare quota 140 senza che nessuno batta ciglio.
E vogliamo parlare delle ecografie? Una ecografia ostetrica sfonda i 127 giorni. Una ecografia mammaria viaggia serena verso i 120 giorni. Per una ecografia addome completo si registrano punte di 101 giorni, sempre che la macchina non sia rotta o che non manchi l’operatore — eventualità frequenti, raccontate dai report in modo impietoso: “guasto macchina”, “pensionamento”, “indisp. personale”.
Poi, certo, c’è il campionato del mondo delle endoscopie: una colonscopia arriva a 203 giorni, una sigmoidoscopia trionfa con 365 giorni, un anno esatto per capire se il problema è serio. E se hai un sospetto di trombosi? Il doppler venoso degli arti inferiori a Cirié ti invita alla meditazione profonda: 520 giorni. Un anno e mezzo per vedere se ti si sta formando un coagulo. Una tempistica da film comico, se non fosse tragica.
Ma non finisce qui. Una spirometria globale supera i 200 giorni, mentre una semplice spirometria semplice in alcuni distretti tocca anch’essa picchi oltre i 150. Una prova da sforzo? 203 giorni ad Ivrea, 365 in altre sedi. A forza di aspettare, lo sforzo diventa già quello di restare vivi.
Anche le visite ginecologiche non scherzano: in varie sedi la prima data utile plana verso i 150 giorni, mentre una semplice RM del rachide — cervicale, dorsale, lombare, scegli tu — si adagia tra i 128 e i 140 giorni, con la solita incrollabile certezza che qualunque cosa cerchi, ti toccherà aspettare più del dovuto.
E allora parliamo pure dei ricoveri: una colecistectomia in classe B richiede 256 giorni, una ernia inguinale 272, l’intervento alla prostata 97, quello al polmone 39, ma nel frattempo tutti gli esami pre-operatori hanno impiegato mesi a materializzarsi, dilatando il percorso fino a renderlo quasi inutile. Se poi hai una patologia classificata B o C, le attese diventano semplicemente una presa in giro: 336 giorni per una colecisti in classe B, 318 per un’ernia in classe C. E noi dovremmo credere ai “risultati”?
Tutto questo mentre nei report scorrono parole come “pensionamento”, “indisp. personale”, “fine convenzione”, “guasto macchina”, “inagibilità struttura”. In certe giornate si ha l’impressione che l’unica cosa davvero efficiente dell’Asl To4 sia il "teatro".
E allora sì: davanti a questo mare di numeri che rasenta il surreale, è quasi tenero ascoltare Schillaci e Riboldi dire che “la situazione sta migliorando”. Sta migliorando talmente tanto che per una visita oculistica puoi prenotare oggi e presentarti quando nel frattempo avrai cambiato auto, lavoro, vita e forse anche continente. I numeri non mentono. I comunicati stampa sì. E in Piemonte, oggi, i numeri sono un atto d’accusa più potente di qualunque editoriale.
A rendere tutto ancora più grottesco, quasi scandaloso, è il silenzio tombale della Conferenza dei Sindaci, quella che dovrebbe essere la voce dei territori, il contrappeso democratico, il cuscinetto politico tra cittadini disperati e burocrazie immobili. Invece niente. Zero. Il deserto. Nemmeno un “beh”. Nemmeno un colpo di tosse. Nemmeno un sussulto d’orgoglio istituzionale. Il presidente di quella Conferenza, il sindaco di Ivrea Matteo Chiantore, assiste alla disfatta come se stesse guardando la coda al supermercato e non il collasso della sanità pubblica del suo territorio. Dicono che non parla perchè c'è in gioco il nuovo ospedale nell'area ex Montefibre. Si sarà convinto - o gli avran fatto credere che lo inaugurerà lui, poveretto.
Eppure sarebbe semplice: basterebbe prendere in mano quei numeri e dire alla Direzione Generale ciò che qualsiasi cittadino direbbe con brutalità cristallina: che il premio di risultato, quest’anno, si può dare solo guardando ai tempi d’attesa.
"Non ti sta bene? Fanculo!”.
E invece stanno zitti. Zitti come chi non vede, non sente e soprattutto non vuole disturbare....
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