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Siria senz’acqua: l’Oronte muore, la fame avanza

Fiumi asciutti, dighe al collasso, grano crollato: un Paese travolto da siccità, geopolitica e fame, mentre 14 milioni di persone scivolano nel baratro

Siria senz’acqua: l’Oronte muore, la fame avanza

All’alba, tra i canneti rinsecchiti a nord di Hama, si sente ancora il rumore metallico di un secchio che raschia il fondo: è acqua, ma ferma, verdognola, intrappolata in una pozza dell’Oronte. Poco più in là, il letto del fiume è una cicatrice: polvere, pietre nude, carcasse di pesci. Chi pesca da generazioni ci guarda dentro come in un pozzo senza fondo, perché quest’anno la pioggia in Siria è scesa a circa il 30% delle medie stagionali, il livello più basso registrato dal 1956. L’Oronte – i suoi 571 chilometri che nascono in Libano, attraversano Homs e Hama, poi piegano verso la Turchia – mostra tratti prosciugati, acquitrini stagnanti, vegetazione bruciata. Il bacino della diga di Rastan si abbassa a vista d’occhio, e con lui il reddito di migliaia di famiglie che campano di pesca. Dalla valle della Beqaa fino alla foce, il Nahr al-‘Asi non è mai stato un gigante d’acqua, ma una linfa costante: irriga i campi fra Homs e Hama, attraversa l’antica depressione dell’al-Ghab, si getta nel Mediterraneo all’altezza di Samandağ, nella provincia turca di Hatay. Oggi i tratti in secca e le pozze isolate sono il nuovo paesaggio, mentre l’importanza agricola del fiume rimane strutturale, specialmente nei territori dove i sistemi di canali vivono o muoiono a seconda della portata dell’Oronte e dei suoi affluenti.

In più punti dell’al-Ghab, autorità locali e media siriani hanno documentato per la prima volta dopo decenni il letto completamente asciutto, le morie di pesci e pescatori ridotti a recuperare i pochi esemplari intrappolati nelle buche residue. Le testimonianze convergono sulle stesse cause: precipitazioni scese a una frazione della norma, evaporazione estrema, riserve idriche in caduta libera. Sul fiume insistono bacini come Qattinah e i sistemi di Rastan e Mhardeh, progettati per contenere le piene e distribuire acqua agricola: quando i livelli rimangono bassi per mesi, l’intera catena idrica perde elasticità, si inceppa, e le finestre d’irrigazione si trasformano in corse contro il tempo.

La diga di Rastan, con i suoi oltre 200 milioni di metri cubi di capacità, è ormai il barometro del collasso idrico. Nella stagione più secca degli ultimi decenni, tecnici locali hanno riferito rilasci straordinari per salvare frutteti e ripulire i canali, seguiti da una contrazione dello stoccaggio a quote definite “critiche”, con conseguenze dirette su irrigazione e pesca. In alcune settimane estive, le scorte sono scese a poche decine di milioni di metri cubi, un livello talmente basso da costringere a scegliere cosa sacrificare: l’acqua per i campi, la sicurezza dell’invaso o il fragile equilibrio ambientale dei tratti a valle. Funzionari provinciali parlano di una piovosità inferiore di circa il 30% alla norma, con l’invaso che opera a una frazione minima della sua capacità per evitare danni strutturali. L’effetto domino è inevitabile: giornate di pesca perse, costi di pompaggio alle stelle, piccoli agricoltori spinti oltre il limite della sopravvivenza economica.

Che l’annata 2024–2025 sia fuori scala lo confermano anche dati raccolti da organismi umanitari e agenzie tecniche: precipitazioni nazionali scese al 25–30% del normale, deficit oltre il 30% nei governatorati di Idlib, Aleppo e al-Hasakeh, livelli minimi dagli anni Cinquanta. La cornice climatica è un’accusa senza attenuanti: meno piogge, inverni brevi, ondate di calore prolungate, falde esauste. La cosiddetta baseflow, il deflusso garantito dalle acque sotterranee, è crollata fino all’80% su scala regionale. Il risultato è un sistema che non respira più: fiumi non sostenuti da sorgenti estive, laghi che arretrano, pozzi che si approfondiscono mese dopo mese.

Il colpo più visibile riguarda il grano. Secondo la FAO, la campagna 2025 è tra le peggiori mai registrate: produzione stimata tra 900.000 e 1,1 milioni di tonnellate, a fronte di un fabbisogno nazionale di circa 4 milioni. Prima della guerra, la Siria era spesso autosufficiente; oggi il deficit supera i 2,5 milioni di tonnellate. Le rese sono crollate fino al 95% nelle aree a secco, 30–40% in quelle irrigue. Oltre metà della popolazione vive già in insicurezza alimentare, con circa 3 milioni di persone a rischio grave. Prezzi del pane e dei mangimi in salita, importazioni come unica ancora di salvezza, ma gli acquisti richiedono valuta, crediti, navi, assicurazioni e corridoi marittimi sicuri. La nuova leadership di Damasco ha avviato acquisti di grano all’estero – soprattutto dalla Russia e da altri produttori del Mar Nero – con arrivi scaglionati nei porti di Tartus e Latakia. Operazioni vitali, ma esposte alle scosse geopolitiche della regione.

Nel bacino dell’Oronte l’economia si sbriciola: orti di Idlib, frutteti di Hama, pianure di Homs. Campi lasciati a maggese, serre ferme, barche tirate in secco. Stime convergenti parlano di oltre 200.000 posti a rischio tra agricoltura, trasporti, mulini, pesca, irrigazione, trasformazione alimentare. La pesca d’acqua dolce, che un tempo garantiva un reddito minimo, oggi si restringe a finestre brevissime: acqua calda, ossigeno a zero, mortalità ittica alle stelle. Nel frattempo, i costi di pompaggio dalle falde – gasolio carissimo, pompe più potenti, profondità maggiori – divorano i margini restanti.

Nel nord-est, l’Amministrazione autonoma della Siria del Nord e dell’Est (AANES) denuncia afflussi dell’Eufrateben sotto le intese storiche, accusando la Turchia di tagli unilaterali. I livelli del lago Assad e di altri bacini sono scesi sotto le soglie operative, con impatti su irrigazione, potabilizzazione ed energia. Le autorità turche respingono le accuse, richiamando la siccità regionale. Quel che è certo è che la penuria dell’Eufrate, pur distinta da quella dell’Oronte, aggrava la sete complessiva della Siria e spinge ancora più in basso i livelli delle falde.

La crisi idrica si intreccia così con quella politica. Dopo il cambio di regime di fine 2024, il governo del presidente ad interim Ahmed al-Sharaa si trova a gestire la questione più sensibile: il pane quotidiano. Con produzione dimezzata e sussidi allo stremo, la stabilità dipende da un difficile equilibrio tra aiuti, crediti e prezzi. Secondo Reuters, oltre metà dei siriani è in insicurezza alimentare e il gap di grano tocca 2,73 milioni di tonnellate. Anche i finanziamenti umanitari oscillano: il WFP indica esigenze da centinaia di milioni di dollari per mantenere reti di assistenza e distribuire pane fortificato, mentre la domanda cresce e i contributi internazionali calano.

Si è arrivati a questo punto attraverso una miscela tossica di siccità crescente, infrastrutture logorate da 14 anni di guerra, uso insostenibile delle falde, reti colabrodo. Perdite oltre il 30–40%, impianti di pompaggio obsoleti, dighe senza manutenzione, elettricità intermittente, gasolio fuori portata. L’irrigazione a scorrimento, inefficiente e dispendiosa, prosciuga campi e pozzi; quella a pressione rimane un privilegio di pochi con accesso a energia e tecnologie.

L’emergenza richiede misure immediate – rilasci coordinati da Rastan e Mhardeh, irrigazione a finestre, micro-sussidi per tecnologie di risparmio idrico, voucher carburante, tutela della pesca interna – e riforme strutturali: ridurre le perdite di rete, passare a sistemi irrigui efficienti, creare piani di siccità con regole trasparenti, riattivare i protocolli transfrontalieri sull’Eufrate, armonizzare la gestione dell’Oronte. Senza un quadro condiviso, il conflitto per l’acqua si sposta direttamente nei campi.

siccità Siria

La suggestione delle antiche norie di Hama non deve ingannare: la Siria del 2025 sta riscrivendo la propria geografia economica attorno all’acqua che non c’è. L’arretramento dell’Oronte, la diga di Rastan in affanno, la campagna del grano crollata e l’insicurezza alimentare che colpisce 12–14 milioni di persone formano un’unica fotografia. La soluzione non sta in una singola mossa – una nave di grano, un rilascio straordinario, una pioggia fortunata – ma in un mosaico di interventi: efficienza, manutenzione, regole chiare, diplomazia idrica e un’alleanza stabile con chi, come FAO e WFP, può tenere in piedi reti di protezione minime. Senza una politica dell’acqua che resista agli anni magri, il prossimo inverno corto ci ritroverà ancora qui, davanti a una pozza tiepida nel letto asciutto dell’Oronte, a misurare la distanza fra ciò che scorreva e ciò che resta.

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