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26 Novembre 2025 - 17:17
Lai Ching‑te
Una carovana di camion mimetici svolta all’alba su una provinciale a nord di Taipei. Sopra i teloni, casse numerate: componenti radar, lanciatori, batterie antidrone. Gli autisti non si fermano ai semafori: la colonna è scortata. È la coreografia discreta di un Paese che ha deciso di fare sul serio. Il 26 novembre 2025 il presidente Lai Ching-teannuncia una spinta senza precedenti: altri 40 miliardi di dollari in una manovra speciale pluriennale per armare Taiwan, portare la spesa oltre il 3% del PIL nel 2026 e verso il 5% entro il 2030, e cucire sull’isola una cupola difensiva, la T-Dome. Non un simbolo, ma una rete a più strati per tenere a distanza droni, missili da crociera e vettori balistici. È la scelta di una democrazia che sente il fiato sul collo e che oggi vuole mostrare, con numeri e sistemi, che la deterrenza non è più un’ipotesi teorica ma un progetto industriale e politico.

Taipei
Secondo i dettagli resi noti nella capitale, i 40 miliardi di dollari saranno distribuiti tra il 2026 e il 2033, sommati al bilancio già previsto per l’anno prossimo: NT$ 949,5 miliardi, circa 31 miliardi di dollari, pari al 3,32% del PIL se si utilizza il conteggio “alla NATO”, che comprende Guardia Costiera e veterani. Con questa accelerazione, l’obiettivo è evidente: consolidare il superamento della soglia del 3% già nel 2026 e alzare l’asticella al 5% entro il 2030. Per Lai, si tratta di una linea rossa morale prima che contabile, un imperativo che il presidente riassume in una sola formula: difendere sovranità e democrazia, senza rinviare più le scelte costose. L’urgenza nasce da minacce considerate “in crescita” da Pechino, che rivendica l’isola e moltiplica esercitazioni, sortite e pressioni ibride. Per Washington, principale fornitore d’armi di Taipei, il piano è il segnale di una volontà concreta di farsi carico del proprio deterrente, un messaggio politico che viaggia in entrambe le direzioni dello Stretto.
Il pacchetto straordinario mette al centro gli acquisti statunitensi e il cantiere della T-Dome, con una triangolazione che lega capacità d’attacco di precisione, difesa multilivello e integrazioni di AI, sensori passivi, guerra elettronica e sistemi antidrone. Nel 2025 Taipei ha firmato contratti per i sistemi NASAMS, con consegne e messa in servizio scaglionate fino al 2030, mentre avanzano — tra anticipi e ritardi — i programmi HIMARS, Harpoon costieri, M1A2T Abrams e F-16V. Il quadro è intricato: i lanciatori HIMARS corrono, con parte del secondo lotto attesa nel 2026 in anticipo, ma alcuni componenti degli F-16V, come le bombe plananti AGM-154C/JSOW, slittano al 2027-2028 per il riavvio delle linee e vari colli di bottiglia della Difesa americana. Il governo vuole usare la manovra per ridurre i ritardi più critici, aumentare le scorte di munizioni e blindare i contratti già aperti con DSCA e DoD.
La T-Dome, come spiegano le ricostruzioni tecniche circolate a Taipei, non è un’arma ma un’architettura. Nei livelli alti prevede il triangolo Patriot PAC-3 MSE, Tien Kung III/IV (Sky Bow) e un nuovo intercettore “indigeno” a due stadi con radar AESA, pensato per minacce balistiche e da crociera ad alta quota. Nel medio raggio entra in gioco la mobilità dei NASAMS con missili AMRAAM-ER, utili a coprire infrastrutture critiche e aree urbane con una rete distribuita di sensori e tiratori. Nello strato più basso, sistemi come Antelope/TC-1, Skyguard da 35 mm con munizionamento AHEAD e piattaforme C-UAS dovranno assorbire l’urto di droni, razzi e velivoli a bassissima quota. Il collante è un comando-controllo più serrato che automatizza la logica “shoot-look-shoot”, riduce lo spreco di fuoco e integra radar a lunga portata, nodi ridondanti e dummy emitters per confondere le operazioni di soppressione avversaria. Il 10 ottobre 2025 il presidente ha formalizzato l’idea: una “rete rigorosa” a difesa multilivello, “alta capacità di scoperta” e “intercettazione efficace”. Il nome richiama l’Iron Dome israeliano, ma a Taipei il raggio operativo è più ampio: non solo razzi, ma anche missili da crociera, UAV e minacce balistiche di quota medio-alta, con lo scopo di aumentare il costo di un attacco, rendendo più complessa la pianificazione cinese e attenuando l’effetto “saturazione”.
Il governo DPP di Lai non controlla da solo la Legislatura e dovrà convincere un Parlamento dove il KMT chiede più trasparenza su costi e priorità e parla apertamente di rischi macroeconomici in una fase di crescita contenuta. L’Esecutivo ha avviato consultazioni per garantire la tenuta della T-Dome e dei contratti FMS con gli USA, promettendo una governance più rigorosa sugli acquisti e un’accelerazione delle tecnologie “dual use” domestiche, dai droni all’intelligenza artificiale, fino alle piattaforme software-hardware che dovranno sostenere la rete. In parallelo rivendica la scelta di includere Guardia Costiera e veterani nel perimetro della spesa, in linea con gli standard NATO, spiegando che la scommessa riguarda la resilienza dello Stato nella sua interezza: energia, comunicazioni, filiere industriali.
Gli Stati Uniti hanno applaudito la decisione di Taipei, vedendo nella mossa la conferma di un principio che a Washington ripetono da anni: senza un forte sforzo di autodifesa, nessun ombrello esterno regge davvero. Ma proprio l’esperienza recente mostra quanto i tempi delle linee americane siano vulnerabili a strozzature e priorità concorrenti: NATO, Ucraina, backlog industriali. Da qui la scelta taiwanese della doppia pista: contratti FMS più rapidi, ma più produzione “indigena”, dalle munizioni ai sistemi sensoristici, fino a una rete di fornitori meno esposta a shock geopolitici. Le ultime approvazioni statunitensi per le loitering munitions e gli UAS armati si collocano proprio in questo quadro. Il programma HIMARS è emblematico: nel 2025 il Ministero della Difesa conferma la consegna anticipata della seconda tranche al 2026, mentre il dossier F-16V, cruciale per la superiorità tattica, sconta ritardi sia sui velivoli sia sui sistemi di nuova generazione. I 40 miliardi extra servono a colmare buchi, assicurare pezzi di ricambio, addestramento, scorte GMLRS/ATACMS, protezione delle basi e hardening delle infrastrutture.
Pechino non si discosta dal copione: accusa Lai Ching-te di “sprecare risorse” e “provocare tensioni”. Ma dietro la retorica, gli strateghi dell’EPL devono ora contemplare un’isola coperta da un mosaico di Patriot, Sky Bow, NASAMS e difese C-UAS, con più lanciatori HIMARS sul terreno e una rete di sensori più fitta. Tokyo osserva: i segnali incrociati tra Giappone e Cina su un eventuale ruolo nipponico in caso di crisi hanno già aumentato la temperatura diplomatica. In questo contesto, la disponibilità taiwanese a investire fino al 5% del PIL è un messaggio di credibilità agli alleati regionali, un indicatore di impegno e di stabilità.
Il salto al 5% in cinque anni è un obiettivo che pochi Paesi hanno centrato senza contraccolpi. I vantaggi sono chiari: deterrenza più solida, maggiore sopravvivenza del potere aereo e navale, resilienza della catena di comando. I rischi sono altrettanto concreti: colli di bottiglia industriali che diluiscono l’effetto degli stanziamenti, opposizione parlamentare capace di rallentare il percorso, scenari di pressione ibrida da parte di Pechino su una rete ancora incompleta. Il governo risponde con una pianificazione “a più bilanci” e un’inedita attenzione alla logistica: munizioni, manutenzione, addestramento, protezione fisica degli asset sparsi sul territorio. È qui che la T-Dome mostra il suo significato più profondo: non una barriera impenetrabile, ma un meccanismo per sopravvivere al primo colpo, rispondere al secondo e dissuadere il terzo.
In termini operativi, una rete T-Dome matura dovrebbe funzionare in sequenza: early warning dai radar a lunga portata, cueing sui sensori regionali, ingaggi prioritari con gli intercettori ad alta quota o PAC-3 MSE, hand-off automatico ai NASAMS per i missili che sfondano i primi livelli, protezione finale con sistemi C-UAS e artiglierie a munizionamento programmabile. Il tutto governato da software capaci di bilanciare costo per colpo e probabilità di kill, evitando missili da un milione di dollari contro droni da poche centinaia. È in questa logica che entrano AI, fusione dati e ridondanza: elementi meno appariscenti di un caccia, ma decisivi per trasformare una catena di nodi vulnerabili in un network resiliente.
Una spesa difensiva intorno al 5% del PIL genera effetti che superano la sfera militare. Aumenta la domanda di ingegneri, tecnici radar, data scientist, esperti cyber. Rafforza la filiera della NCSIST e l’indotto elettronico-software, con possibili ricadute civili. Sul fronte sociale, apre il capitolo più sensibile: la resilienza a campagne di psy-ops e disinformazione, già citate a Taipei come minacce prioritarie da contrastare con investimenti in alfabetizzazione digitale e protezione dei processi elettorali. La manovra straordinaria, non a caso, dedica una voce anche alla difesa “non cinetica”, un terreno dove si gioca la vulnerabilità più invisibile dell’isola.
Domani non comparirà una cupola metallica sopra Taipei. Compariranno cantieri: shelter protetti per le batterie SAM, reti in fibra e backup satellitari, droni ricognitivi, nuove classi di munizioni, procedure d’acquisto più rapide. Comparirà soprattutto un costo più alto e meno prevedibile per chiunque volesse colpire l’isola. Non cambierà la geografia — Taiwan resta a pochi chilometri dal continente, dentro il raggio dell’A2/AD cinese — e non cambierà la matematica: nessuna T-Dome garantisce invulnerabilità. Il salto va misurato in modo più concreto: quante ore, quanti giorni in più di comando e operatività potrebbe comprare l’isola in caso di crisi. È lì, in quella finestra temporale, che si colloca il valore dei 40 miliardi: comprare tempo, e con esso margini politici per la de-escalation.
Per l’UE e per l’Italia, profondamente interconnesse con la filiera dei semiconductors, la traiettoria di Taipei è un segnale da leggere con attenzione. L’Indo-Pacifico si riarma, l’Europa discute nuovi strumenti finanziari e molte capitali ritoccano verso l’alto i propri bilanci difesa. Il “modello Taiwan” — spesa mirata, architettura a strati, enfasi su munizioni e integrazione — entrerà nel dibattito europeo, non per essere copiato ma per comprenderne la logica: la deterrenza del 2025 si costruisce con reti, non solo con piattaforme. E la domanda che aleggia su Taipei riguarda tutti: quanto siamo disposti a pagare per rendere meno probabile la guerra senza renderla inevitabile? La risposta del presidente Lai Ching-te è arrivata in cifre, date e sistemi. Il resto — diplomazia, stabilità regionale, equilibrio tra fermezza e dialogo — sarà il vero stress test della T-Dome.
AI – Artificial Intelligence: intelligenza artificiale, insieme di tecnologie che consentono a un sistema informatico di analizzare dati, riconoscere schemi, prendere decisioni o supportare attività operative.
A2/AD – Anti-Access/Area Denial: insieme di capacità militari progettate per impedire o complicare l’ingresso e le operazioni di forze avversarie in una determinata area (es. missili antinave, sistemi aerei, radar).
AESA – Active Electronically Scanned Array: tecnologia radar a scansione elettronica attiva, più veloce, precisa e resistente alle interferenze rispetto ai radar tradizionali.
AGM-154C / JSOW – Joint Stand-Off Weapon: bomba planante a guida precisa e lungo raggio, utilizzata dagli aerei da combattimento come gli F-16V.
AMRAAM-ER – Advanced Medium-Range Air-to-Air Missile – Extended Range: versione a lungo raggio del missile aria-aria AMRAAM, adattata per l’impiego in sistemi di difesa a terra come NASAMS.
ATACMS – Army Tactical Missile System: missile tattico a lungo raggio lanciabile da piattaforme come HIMARS, impiegato per colpire obiettivi strategici.
C-UAS – Counter-Unmanned Aerial Systems: sistemi antidrone progettati per rilevare, bloccare o abbattere UAV ostili.
DPP – Democratic Progressive Party: Partito Progressista Democratico di Taiwan, attualmente al governo.
DSCA – Defense Security Cooperation Agency: agenzia del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti che gestisce le vendite militari all’estero.
DoD – Department of Defense: Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti.
EPL – Esercito Popolare di Liberazione: le Forze Armate della Repubblica Popolare Cinese.
EU / UE – European Union / Unione Europea.
FMS – Foreign Military Sales: programma attraverso cui gli Stati Uniti vendono sistemi militari a Paesi partner.
F-16V – Fighting Falcon Viper: versione più avanzata del caccia F-16, con avionica aggiornata e radar AESA.
GMLRS – Guided Multiple Launch Rocket System: razzi guidati ad alta precisione sparati da lanciatori HIMARS o MLRS.
HIMARS – High Mobility Artillery Rocket System: lanciarazzi campale ad alta mobilità, in grado di impiegare razzi GMLRS o missili ATACMS.
JSOW – (vedi AGM-154C).
KMT – Kuomintang: principale partito di opposizione di Taiwan.
M1A2T Abrams – Versione taiwanese del carro armato M1A2 Abrams statunitense.
NASAMS – National Advanced Surface-to-Air Missile System: sistema missilistico antiaereo di medio raggio norvegese-statunitense, usato per difendere infrastrutture critiche.
NATO – North Atlantic Treaty Organization: Alleanza Atlantica.
NCSIST – National Chung-Shan Institute of Science and Technology: principale ente taiwanese per la ricerca e produzione di tecnologie militari.
PAC-3 MSE – Patriot Advanced Capability – Missile Segment Enhancement: versione più avanzata del missile Patriot, capace di intercettare missili balistici e da crociera.
SAM – Surface-to-Air Missile: missile superficie-aria per la difesa antiaerea.
Sky Bow / Tien Kung (TK) – Sistema missilistico antiaereo e antimissile di produzione taiwanese (versioni TK-III e TK-IV).
TC-1 / Antelope – Sistema taiwanese di difesa aerea a corto raggio basato sul missile TC-1.
T-Dome – Taiwan Dome / Taiwan Shield: architettura multilivello di difesa aerea e antimissile progettata dal governo di Taipei.
UAS / UAV – Unmanned Aerial System / Unmanned Aerial Vehicle: droni, sia a uso militare che civile.
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