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25 Novembre 2025 - 16:51
La telenovela dei ponti piemontesi, quella che da anni si trascina tra annunci, promesse, facce tese dei sindaci e silenzi dei Ministeri, oggi aggiunge un nuovo capitolo. E, come spesso accade in questa storia, non è un capitolo rassicurante.
Nelle ultime ore è arrivata la risposta della Giunta regionale all’Interrogazione urgente presentata dal consigliere Alberto Avetta (PD). Una risposta che, più che chiarire, conferma ciò che ormai tutti avevano intuito: la graduatoria degli interventi ammessi al finanziamento — quella che il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti avrebbe dovuto pubblicare da mesi — semplicemente non c’è. O, peggio ancora, potrebbe essere bloccata altrove, al Ministero dell’Economia e delle Finanze. Tradotto: i 66,1 milioni destinati alla Città Metropolitana di Torino sono ancora disponibili? Tutti? In parte? Spariti nei meandri di qualche ufficio romano? Nessuno lo sa. E da Roma non arriva mezza risposta.

“Siamo a fine novembre — stigmatizza Avetta — ed è indispensabile un’ulteriore proroga del termine del 31 dicembre 2025 per l’aggiudicazione dei lavori. La Giunta ci dice che c’è una ‘costante azione di monitoraggio e sensibilizzazione’, ma è chiaro che il problema sta tutto a Roma e riguarda i ministri Salvini e Giorgetti. Qui in Piemonte, al massimo, possiamo inscenare proteste a cui partecipa anche il Presidente Cirio. La vicenda del Ponte Preti e degli altri ponti piemontesi è ormai una sceneggiata, una presa in giro per cittadini e amministratori canavesani”.
Una sceneggiata: definizione dura, precisa, difficilmente confutabile.
Già avevamo anticipato quanto il Question Time di oggi sarebbe stato imbarazzante. Nell'interrogazione Avetta ricostruisce l’intera odissea di un piano da 135 milioni di euro approvato nel 2019 — 32 ponti in tutto il Piemonte, 66,1 milioni per il Torinese — che coinvolge snodi cruciali come Alpignano, Carignano, Ciriè, Robassomero, Settimo Castiglione, Villafranca, Villanova, Verolengo, Verrua Savoia. E soprattutto Ponte Preti, il grande totem delle infrastrutture canavesane, un viadotto del 1920 definito per anni strategico, urgente, indispensabile. Come mai - si chiede - dopo sei anni non si è mosso praticamente nulla?
La sequenza evocata dal consigliere è quasi surreale: la Città Metropolitana ha fatto il suo dovere — progetti, documenti, richiesta di proroga — tutto pronto, tutto firmato, tutto consegnato. Ma tutto bloccato in attesa della famosa graduatoria romana, mai pubblicata, mai vista, mai arrivata. Un foglio fantasma che tiene in ostaggio interi territori.
Nel frattempo resta scolpita nel decreto la scadenza del 31 dicembre 2025 per l’aggiudicazione dei lavori. Tecnici, amministratori e progettisti lo sussurrano da mesi: quella data è irrealistica. Avetta lo scrive senza mezzi termini: “improbabile”. Noi possiamo dire tranquillamente: impossibile.
E mentre i Ministeri tacciono i sindaci del Canavese da mesi salgono su Ponte Preti trasformandolo nel palcoscenico fisico del loro malcontento: presidi, striscioni, conferenze stampa improvvisate. Ci sono saliti tutti, anche il presidente Alberto Cirio, anche ’assessore Marco Gabusi, anche alcuni parlamentar. Tutti pronti a ribadire la centralità dell’opera. Tutti pronti a ripetere che “il Canavese non può restare isolato”. Tutti pronti a mettere la faccia. Ma senza la graduatoria, la faccia non basta. Non basta più da tempo.
Ed eccoci a oggi, con la Giunta regionale che ammette, di fatto, che il problema è nazionale. Che qui si può pressare, monitorare, sensibilizzare, fare comunicati e sopralluoghi, ma le chiavi del meccanismo stanno in mano ai Ministeri. E lì, a quanto pare, restano immobili.
Così Avetta chiede l’unica cosa che oggi ha senso chiedere: una proroga. L’ennesima. L’unica che possa evitare che il maxi-piano da 135 milioni finisca risucchiato dalla burocrazia statale.
Il paradosso è quasi comico, se non fosse tragico: abbiamo i soldi, abbiamo i progetti, abbiamo gli enti pronti, abbiamo persino i cantieri disegnati. Manca solo un foglio. Uno. Un documento amministrativo.
E rischiamo di perdere tutto per quello.
Insomma, oggi non stiamo parlando solo di ponti. Stiamo parlando di uno Stato che non riesce nemmeno a pubblicare un atto necessario per far partire lavori già finanziati. Stiamo parlando di un territorio che da anni si sente dire “lo facciamo”, ma vede solo scadenze che saltano e decreti che non arrivano. Stiamo parlando — senza troppi giri di parole — della capacità o dell’incapacità delle istituzioni di mantenere ciò che promettono.
E non c’è niente di più pericoloso, per un territorio, di promesse che crollano come ponti mai riparati.
A leggere la risposta ufficiale dell’assessore Marco Gabusi, arrivata in Commissione come una sorta di dossier di guerra, pare quasi che in Piemonte si sia fatto l’impossibile. Tre pagine fitte di numeri, protocolli, ridefinizioni, integrazioni, note riservate, pressioni, sollecitazioni. Un miscuglio tecnico gigantesco, nel quale si vede un assessorato che ricalcola, redistribuisce, reintegra, aggiorna, monitora. Un lavoro titanico, almeno sulla carta. Ma quella carta — la famosa graduatoria ministeriale — continua a non arrivare. E senza Roma, tutto questo sforzo resta un castello sospeso nell’aria.
Eppure, proprio questo elenco minuzioso racconta meglio di qualunque dichiarazione quanto la macchina piemontese stia facendo di tutto per non perdere i finanziamenti. Un esempio dopo l’altro: il Ponte di Castiglione, passato da 12 a 14 milioni, con la Regione che ci mette pure 2 milioni di FSC; il Ponte di Carignano, che da 16,8 milioni viene ridimensionato a 6,5 milioni, definanziato per salvare altre opere; il Ponte di Crescentino, riallineato da 6 a 7 milioni; quello di Verolengo, immobile sui suoi 3,5 milioni; l’Inverso di Pinasca, che raddoppia da 800 mila a 1,8 milioni; il Villafranca, da 2,5 a 2,8 milioni; il nuovo, costosissimo ponte di Strambinello, che sale da 19,5 a 25,5 milioni.
Poi ci sono le aggiunte in corsa, segno di una situazione che cambia talmente in fretta che le carte non bastano mai: i 5 milioni per il ponte di Strambino (SP56), infilati in una nota successiva per “ulteriori disponibilità finanziarie”; e soprattutto il ritorno in scena del vero protagonista della saga canavesana, il Ponte Preti, inserito come intervento da 2 milioni di euro, suddivisi in due lotti “funzionali”, riconosciuto strategico mentre il nuovo ponte resta ancora un disegno sulla carta.
E infine, quasi come un colpo di teatro, arriva l’intervento su Borgo Revel: un mix di fondi regionali, decreto ponti e quota FSC che porta il quadro economico finale a 22.788.000 euro, con la promessa — ripetuta senza tremare — che il cantiere partirà “a giorni”. Chissà se sarà davvero così, o se anche questa data finirà nel museo delle tempistiche annunciate.
Il punto, però, non è la capacità tecnica della Regione. L’assessorato ha fatto tutto ciò che poteva: ricucire, coprire buchi, ridistribuire risorse, aggiornare progetti, inseguire rincari. La macchina piemontese, se non altro, si muove. La Giunta insiste nel ribadire la sua “azione costante di monitoraggio e sensibilizzazione nei confronti del Ministero”, come scrive Gabusi. Ed è vero: quel monitoraggio c’è, eccome se c’è. Ma tutto questo lavoro, gigantesco e complicato, si schianta sempre contro lo stesso muro.
Quel muro si chiama Roma, si chiama MIT, si chiama MEF, si chiama graduatoria che non arriva, si chiama Stato che non decide, si chiama promessa che resta sospesa. È lì, al centro di questo imbuto, che si perdono i ponti piemontesi. Non a Castiglione, non a Strambinello, non su Dora o su Po. Ma in un ministero che un foglio non lo firma, non lo pubblica, non lo sblocca.
E così, mentre in Piemonte si produce documentazione su documentazione, mentre si rincorrono i cantieri, mentre si promette un avvio “a giorni”, mentre si ridefiniscono importi a raffica, resta l’amara sensazione che tutta questa enorme fatica rischi di finire nel nulla. Perché se la graduatoria non arriva, se la proroga non viene concessa, se Roma continua a muoversi con la lentezza di un bradipo in sonno profondo, ogni cifra elencata, ogni nota protocollata, ogni promessa rinnovata si trasformerà nell’ennesima occasione mancata.
Insomma: la Regione può anche correre, può anche monitorare, può anche ricalcolare milioni come fossero noccioline. Ma finché qualcun altro tiene il dossier in un cassetto, i ponti rimangono fermi. E con loro, territori interi.
La verità è tutta qui, scritta tra le righe della risposta ufficiale: abbiamo tutto tranne ciò che serve davvero.
E questo, per chi quei ponti li attraversa ogni giorno, è la peggiore delle condanne.
C’è un momento, nella vita di un ponte, in cui capisce che non è più un’infrastruttura: è una metafora.
Il Ponte Preti, per esempio, ormai non collega più due sponde del Canavese, ma due universi paralleli: da una parte i sindaci che chiedono, dall’altra Roma che risponde “un attimo, arriviamo”. Da sei anni.
La famosa graduatoria dei finanziamenti – quella attesa ad aprile – si è talmente persa per strada che dev’essere caduta da un ponte anche lei. Forse proprio da uno di quelli da mettere in sicurezza. La città Metropolitana presenta carte, fascicoli, progetti, relazioni… ma il Ministero deve averli presi troppo alla lettera: mettiamo tutto in sicurezza, hanno detto, e hanno messo in sicurezza pure i documenti, talmente in sicurezza che non li trova più nessuno.
E così in Piemonte c’è questo strano fenomeno naturale: i ponti stanno fermi, ma i termini di legge scorrono. Un po’ come quelle sabbie mobili in cui più ti muovi, più sprofondi: qui invece più aspetti, più arriva una proroga. È la burocrazia quantistica: i lavori non partono, ma le scadenze si spostano da sole, come gli orologi delle stazioni quando il treno è in ritardo ma “sta per arrivare”.
Il Canavese industriale nel frattempo guarda il Ponte Preti con la stessa fiducia con cui si guarda un marito che da vent’anni promette che aggiusterà la tapparella: lo fa domani. Anzi dopo. Anzi quando pubblicano la graduatoria.
Si fanno presidi, la Regione promette, i parlamentari giurano (Alessandro Giglio Vigna spergiura), i cittadini sperano. È tutto un brulicare di entusiasmo. Mancano solo gli operai, i lavori, le ruspe e la graduatoria: dettagli.
Il Governo aveva stanziato i fondi nel 2019. C’era ancora il Conte uno, forse il Conte due, comunque c’era ancora qualcuno che contava. Ora i ponti piemontesi sono entrati ufficialmente nella categoria delle opere di lunga durata, insieme alle piramidi, al Colosseo e alla Salerno-Reggio Calabria.
E la domanda che Avetta porterà domani al Question Time è semplice: “A che punto siamo?”
La risposta non potrà che essere coerente con tutta la vicenda: siamo a metà del ponte.
Il problema è che non c’è ancora il ponte.
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