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22 Novembre 2025 - 21:56
Ma quanto può essere crudele il pallone quando ti guarda in faccia e ti dice: “oggi non si vince”? Al Franchi finisce 1-1 tra Fiorentina e Juventus, un pareggio che profuma di occasione mancata per i bianconeri, ma che racconta anche una squadra in netta crescita, più consapevole dei propri mezzi e capace di mettere il cappello sulla partita con personalità. Perché, al netto del risultato, la sensazione è chiara: la Juve ha spesso dettato il ritmo, ha palleggiato con autorità, ha pressato alto e ha trasmesso quella vibrazione da squadra tosta, compatta, che sa quando accelerare e quando addormentare.
Sin dal primo giro di lancette la Vecchia Signora prende il centro della scena: pressing alto, gestione accurata del possesso, linee corte e la sensazione che il colpo giusto potesse arrivare da un momento all’altro. È l’atteggiamento delle grandi, quelle che non aspettano l’errore altrui ma vanno a prendersi il vantaggio, come un centravanti che attacca il primo palo con fame.
La prima sterzata porta la firma di Dusan Vlahovic: giocata di tacco da numero nove vero e poi contatto in area. L’arbitro indica il dischetto, il Franchi trattiene il fiato, ma il VAR rimescola le carte e ribalta la decisione. Il rigore scompare come una chimera e con lui una chance pesante, di quelle che spostano l’inerzia. Più di un dubbio resta nell’aria, e non solo in quella di Firenze.
Dusan Vlahovic
La gara si impenna. Per i padroni di casa ci pensa Kean a far vibrare la traversa, una frustata che scuote lo stadio e avvisa la Juve: qui non si scherza. I bianconeri non indietreggiano di un metro e Vlahovic torna a far paura: vince un duello fisico, s’invola verso De Gea ma non trova la stoccata vincente. È una partita a scacchi giocata a cento all’ora, dove ogni mossa può diventare matto.
Quando sembra che lo 0-0 voglia accompagnare tutti negli spogliatoi, ecco la fiammata. Nel recupero del primo tempo, Filip Kostic raccoglie al limite e spara un sinistro potente che sorprende De Gea. È il manifesto della Juve di serata: determinazione, pulizia tecnica, cattiveria nel momento chiave. Una rasoiata che mette il match sui binari preferiti dei bianconeri.
Ripartenza di secondo tempo e copione riscritto: Radja Mandragora pesca dal cilindro un tiro dalla distanza che non lascia scampo a Di Gregorio. Parità ristabilita, e partita che torna a vibrare. L’estremo difensore bianconero non trema: poco dopo si riscatta con un intervento decisivo su Kean, uno di quei riflessi che tengono la squadra agganciata al risultato come un’ancora nel mare mosso.
La Vecchia Signora non si scompone: riprende a tessere gioco, a cucire trame tra le linee, a risalire il campo con ordine. In ripartenza Yildiz sfiora il nuovo vantaggio, squillo da funambolo con il pedale dell’acceleratore giù fino in fondo. Poi tocca a Fabio Miretti, entrato con ottimo impatto: movimento da attaccante puro e palla che fa tremare la rete esterna. Sull’ultimo assalto, McKennie schiaccia di testa un pallone velenoso, ma De Gea alza la saracinesca con l’ennesima parata della sua serata: il muro viola non crolla. Gli innesti di Spalletti danno nuova energia al forcing finale, benzina fresca nel motore quando le gambe chiedono ossigeno. La Juventus ci prova, ricompatta le linee, riapre il ventaglio delle soluzioni, ma il triplice fischio congela il punteggio sul pari, con un pizzico di rammarico che resta incollato come una marcatura a uomo.
Cosa resta di questo 1-1? Una fotografia in cui il risultato non racconta tutto. Per larghi tratti i bianconeri hanno comandato il traffico, gestendo il possesso con lucidità e dimostrando personalità nelle fasi calde. La squadra ha espresso compattezza, organizzazione e qualità nella lettura dei momenti, come un centrocampo che sa quando verticalizzare e quando rallentare.
La scintilla di Kostic nel recupero illustra la cattiveria agonistica; le parate di Di Gregorio certificano l’affidabilità del pacchetto arretrato; la presenza costante di Vlahovic nei duelli racconta una squadra che attacca gli spazi e non smette di crederci. E allora la domanda è un’altra: se questo è il ritorno post-sosta, quanto margine di crescita ha ancora questa Juventus? Il pareggio al Franchi somiglia a un passaggio a vuoto nel punteggio, non nel percorso. La rotta è tracciata: pressing, coraggio e gestione tecnica. Quando Yildiz e Miretti entrano e cambiano l’inerzia, quando McKennie si fa trovare nel cuore dell’area, quando ogni seconda palla diventa un’opportunità, significa che il cantiere sta lavorando bene.
C’è un filo che unisce gli episodi: il rigore tolto dal VAR a Vlahovic, la traversa di Kean per i padroni di casa, la mano calda di De Gea su più fronti, l’intervento provvidenziale di Di Gregorio. Micro-momenti che in Serie A pesano come un cartellino rosso. Stavolta non si è trasformato in bottino pieno, ma il segnale è forte: questa Juve sa come tenere il campo, sa come alzare e abbassare i giri del motore, sa come stare dentro la partita fino all’ultima zolla. Il Franchi applaude la generosità viola e il carattere bianconero. Un punto a testa, con il rammarico che abita soprattutto nel lato ospite ma con una consapevolezza che cresce: per la Juventus è il tipo di pareggio che ti fa arrabbiare negli spogliatoi e ti fa sorridere il giorno dopo, quando riguardi la partita e capisci che la direzione è quella giusta. E spesso, nel calcio, la direzione vale quanto il passo.
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