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22 Novembre 2025 - 15:53
Svizzera, stanza numero uno: così Washington e Kyiv mettono sul tavolo un “piano di pace” in 28 punti
All’ingresso di un hotel discreto affacciato sul Lago di Ginevra, il carrello del tè scivola tra tappeti spessi e specchi dorati. In cartella, però, non ci sono menù: ci sono ventotto capitoli di un piano di pace che potrebbe ridisegnare i confini europei e la sicurezza del continente. Sul badge dei partecipanti si leggono nomi che raramente condividono la stessa sala: funzionari ucraini, emissari americani, emissari russi che premono ai margini, e osservatori europei in punta di piedi. Un copione che chi vive di diplomazia riconosce al primo sguardo: quando i dettagli trapelano a spizzichi, è perché il negoziato è davvero cominciato.
Nei prossimi giorni in Svizzera si terranno consultazioni tra Stati Uniti e Ucraina sulla bozza del piano statunitense in 28 punti. A confermarlo sono state fonti ufficiali a Kyiv, con il Segretario del Consiglio per la Sicurezza e la Difesa ucraino, Rustem Umerov, che ha parlato di incontri “imminenti” e “con la partecipazione europea”. La sede elvetica non è casuale: neutralità, logistica, discrezione. Ma al di là del luogo, la sostanza è che Washington avrebbe chiesto di accelerare, fissando — secondo fonti informate — una prima scadenza interna per valutare l’adesione ucraina già entro “giovedì” successivo alla consegna della bozza.

Il presidente Volodymyr Zelenskyy ha intanto firmato un decreto istituendo la delegazione negoziale ucraina. A guidarla sarà il capo del suo Ufficio, Andriy Yermak; con lui siederanno figure di primissimo piano della sicurezza: Kyrylo Budanov (intelligence militare), Andrii Hnatov (Capo di Stato Maggiore), e altri vertici dei servizi. Una squadra compatta, con mandato esplicito: difendere gli interessi nazionali e ogni possibile architettura di sicurezza che eviti futuri cicli di aggressione russa.
Che cosa c’è nella bozza? Le autorità non l’hanno pubblicata. Ma, incrociando fonti statunitensi ed europee, emergono alcuni elementi-chiave: un congelamento territoriale sul fronte, limitazioni all’arsenale ucraino, il divieto di adesione alla NATO a tempo indeterminato, regole su no-fly e cessate il fuoco a geometria variabile (cielo e mare), un meccanismo di sorveglianza internazionale e pacchetti di ricostruzione. In più, un possibile “Consiglio di pace” a guida americana incaricato di monitorare il rispetto degli impegni e calibrare le sanzioni. Sono punti che — se confermati — toccherebbero nervi scoperti a Kyiv e in Europa: linea del fronte, sovranità, dissuasione.
Su un altro fronte, diversi resoconti giornalistici descrivono un ruolo attivo nella gestazione del documento da parte di interlocutori vicini al presidente Donald Trump, in particolare lo special envoy Steve Witkoff, e il controverso intermediario russo Kirill Dmitriev, numero uno del Russian Direct Investment Fund e uomo di fiducia del Cremlino. Secondo queste ricostruzioni, il confronto tra Witkoff e Dmitriev sarebbe proseguito tra Miami e colloqui riservati negli Stati Uniti durante l’autunno 2025. Il Cremlino, intanto, ha mantenuto una linea ambigua: né conferme né smentite sul merito, ma la ripetizione delle sue richieste di sempre.
Da Kyiv la parola d’ordine resta “pace giusta e duratura”. Traduzione: qualsiasi intesa non può “premiare l’aggressore” né imporre cessioni unilaterali. Nelle ultime ore, dai canali ufficiali ucraini traspare un equilibrio delicato: disponibilità a “lavorare” sulla bozza americana, ma ribadendo le linee rosse — integrità territoriale, sicurezza a lungo termine, responsabilità per i crimini, sistemi di difesa capaci di dissuadere nuove offensive. L’avvertimento è implicito: un cattivo accordo potrebbe “costare” dignità nazionale e perfino sostegno occidentale nel medio periodo.
Per incanalare il confronto, Zelenskyy ha scelto una struttura snella ma molto politica, con Yermak al centro del processo, affiancato da Umerov e dai vertici della sicurezza. L’architettura interna permette di rispondere rapidamente ai dossier tecnici — cessate il fuoco settoriali, regimi di monitoraggio, gestione di prigionieri, sicurezza degli impianti nucleari — senza perdere la regia politica.
Sul versante statunitense, diverse fonti indicano che la Casa Bianca abbia impresso un’accelerazione, con il presidente Donald Trump che in privato avrebbe sollecitato una risposta “rapida”, non oltre pochi giorni dalla trasmissione della bozza. Più che un ultimatum pubblico, sembra una dead-line operativa per capire se esistano margini di negoziato. In parallelo, negli USA si discute dell’ipotesi di un organismo di supervisione presieduto da Washington e di un pacchetto di ricostruzione a più zeri per incentivare una tregua solida. Resta però irrisolta la domanda di fondo: a quali contropartite sarebbe vincolata Mosca?
La delegazione ucraina guidata da Andriy Yermak include, oltre a Rustem Umerov, il capo dell’intelligence militare Kyrylo Budanov, il Capo di Stato Maggiore Andrii Hnatov e i vertici dell’intelligence esterna. Sul lato americano, oltre allo special envoy Steve Witkoff, sono coinvolti vertici politico-diplomatici, con il Segretario di Stato Marco Rubio e il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Mike Waltz che hanno già incrociato i colleghi ucraini in passate sessioni preparatorie nel 2025. La sede svizzera, d’intesa con Berna, dovrebbe ospitare il formato “consultazioni tecniche” che spesso precede gli incontri a livello politico.
Sul perimetro del tavolo si muovono poi gli europei. Da Bruxelles e da più capitali è filtrata freddezza verso un testo percepito come sbilanciato, soprattutto se vincolasse l’Ucraina a rinunce strutturali senza chiari obblighi per la Federazione Russa. Il messaggio — pubblico e privato — è che una pace “giusta e sostenibile” non può trasformarsi in un congelamento del conflitto che lasci campo a nuove pressioni.
Il nome di Kirill Dmitriev ricorre spesso. Economista, CEO del Russian Direct Investment Fund, a lungo sanzionato in Occidente, è oggi descritto come emissario informale del Cremlino per il dossier ucraino. La sua comparsa nelle cronache diplomatiche autunnali — Riyadh, Miami, contatti con ambienti vicini a Trump — racconta una strategia russa nota: affidare a figure ibride, metà business metà politica, la tessitura di canali di influenza. Dmitriev stesso, nelle settimane scorse, ha lasciato intendere ottimismo sulla possibilità di un accordo in meno di un anno. Un messaggio rivolto ai mercati, ma anche un modo per alzare il prezzo politico del compromesso.
Tra i dossier operativi già emersi ci sono cessate il fuoco in mare e spazio aereo, con meccanismi di verifica multilivello e l’eventuale presenza di osservatori. Si parla anche di scambi di prigionieri, corridoi umanitari e protocolli per la sicurezza di impianti energetici critici. A marzo 2025, in precedenti contatti tra le parti in Arabia Saudita, questi temi erano già stati discussi come “pilastri di fiducia” per preparare un negoziato politico. La Svizzera, per esperienza, è un palcoscenico naturale per passare dalla fase esplorativa a quella di testo consolidato.
L’Unione Europea e i principali alleati temono un accordo affrettato che sancisca una pace “punitiva” per l’Ucraina. Messaggi arrivati da Bruxelles, Londra e altre capitali sottolineano l’esigenza di una “giustizia sostenibile”: niente “premi all’aggressione”, nessuna zona grigia che lasci imperfetti i confini e perfette le tentazioni di nuove incursioni. In filigrana, c’è anche la preoccupazione per l’ordine europeo del dopo-guerra: chi garantisce che una Ucraina limitata nelle sue capacità militari e priva dell’ombrello NATO non diventerebbe un buffer vulnerabile?
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