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22 Novembre 2025 - 16:00
“Va bene, puoi dire di sì”: nell’Ovale, Trump scherza e spegne la miccia sulla domanda “fascista” a Mamdani
Il colpo leggero sul braccio è quasi impercettibile, ma fa più rumore di qualsiasi urlo. Mentre un reporter di Fox News incalza Zohran Mamdani: «Pensa che il presidente sia un “fascista”?», alle sue spalle Donald Trump interviene con un mezzo sorriso: «Va bene, puoi anche dire di sì. Nessun problema, è più facile che spiegare». Il gesto – una pacca rapida, quasi cameratesca – congela l’istante e sovrascrive il copione di uno scontro annunciato. È la fotografia di una scena che racconta un cambio di fase: la convivenza necessaria tra la Casa Bianca di Trump e la futura New York City Hall di Mamdani, dopo un incontro definito da entrambi «produttivo» e incentrato su affordability, alloggi e sicurezza. L’episodio, avvenuto nello Studio Ovale venerdì 21 novembre 2025, ha fatto il giro delle redazioni e dei social, non solo per la battuta del presidente, ma per il tono sorprendentemente disteso tra due protagonisti reduce da mesi di attacchi reciproci.
Il contesto è quello classico del “press spray” post-incontro. Accanto alla scrivania Resolute, Mamdani, 34 anni, ancora nel ruolo di sindaco eletto, sta elencando i temi trattati con il capo della Casa Bianca: costo della vita, crisi degli affitti, trasporti e sicurezza. A un certo punto, la corrispondente Jacqui Heinrich – volto della Fox alla White House – rimette sul tavolo il passato: «Dunque, pensa ancora che Trump sia un “fascista”?». Il sindaco eletto abbozza: «Credo che il presidente e io abbiamo posizioni molto chiare…», ma Trump lo interrompe, appoggia una mano sul suo braccio e chiude con ironia: «È ok, puoi dire di sì. Non mi offendo». Risate in sala, tensione disinnescata. In un altro scambio, quando a Mamdani è stato ricordato di aver definito Trump un «despota», il presidente ha ribattuto: «Mi hanno chiamato di peggio: non è così offensivo». Il tutto in circa 10 minuti di domande, al termine di un colloquio durato circa 45 minuti.
La clip ha fatto rapidamente il giro delle piattaforme: dal video pubblicato da Fox News al rilancio delle testate britanniche come Sky News e di media digitali come Brut, tutti hanno ripreso la battuta del presidente e la reazione composta del sindaco eletto. In alcune versioni si coglie con chiarezza il tocco sul braccio con cui Trump accompagna la frase.
Che quell’ironia non fosse improvvisata lo suggerisce il clima dell’intero incontro. Nei giorni e nelle ore precedenti, sia Trump sia Mamdani avevano mandato segnali di raffreddamento dei toni, pur senza rinnegare le rispettive convinzioni: il presidente aveva definito il suo interlocutore «una persona razionale con idee interessanti su alloggi e costo della vita», mentre il sindaco eletto aveva insistito su un punto: «possiamo collaborare pur rimanendo in disaccordo su molto». Il lessico delle invettive – «fascista», «comunista», «estremista» – ha ceduto il passo alla grammatica della coabitazione istituzionale. Persino un presidente notoriamente sensibile alle etichette ostili ha scelto la strada del disinnesco, quasi a marcare un cambio di stagione nel rapporto con la capitale economica del Paese.
Figura emergente del progressismo urbano, Zohran Mamdani arriva allo Studio Ovale forte di un capitale politico costruito in poche stagioni: deputato statale del Queens dal 2021, attivista vicino alla galassia democratic-socialist, promotore di proposte ambiziose su affitti, trasporti pubblici gratuiti e servizi universali, Mamdani ha vinto le primarie democratiche dell’estate 2025 e poi la generale del 4 novembre 2025, diventando il 111° sindaco di New York e il primo di fede musulmana e origine sudasiatica a guidare la città. Un successo costruito anche contro avversari ingombranti: l’ex governatore Andrew Cuomo – prima battuto nelle primarie, poi affrontato di nuovo quando ha scelto di correre come indipendente – e il repubblicano Curtis Sliwa. I numeri raccontano la portata della vittoria: oltre il 50% dei voti nella generale, con un forte traino tra gli under 30 e i nuovi registrati, secondo i dati e le analisi pubblicate da testate statunitensi e britanniche. L’insediamento è previsto per il 1° gennaio 2026.
Per New York, il faccia a faccia con Trump non è un dettaglio di protocollo: è l’anteprima della relazione che, nel prossimo quadriennio, potrebbe ridisegnare dossier chiave – housing, sicurezza, infrastrutture, finanza urbana, politiche migratorie – in una metropoli dove ogni scelta municipale ha ricadute nazionali. A livello simbolico, l’incontro inaugura il confronto tra l’amministrazione federale del 45° presidente tornato alla Casa Bianca a gennaio 2025 e un City Hall guidato da un esponente della sinistra cittadina che ha promesso di «Trump-proofing» la città, ossia di attrezzarla per resistere a politiche federali considerate ostili ai più vulnerabili.
Sulle questioni toccate nel colloquio, i due hanno messo in fila alcune priorità:
Se sul come restano differenze profonde – Mamdani spinge per affitti calmierati, trasporti gratuiti o quasi, fisco urbano più progressivo; Trump predilige deregulation selettiva e incentivi al partenariato pubblico-privato – la cornice dell’incontro fa intravedere una trattativa possibile. La scommessa politica è chiara: entrambi hanno interesse a rivendicare risultati misurabili su alloggi e sicurezza entro i primi 100 giorni del nuovo sindaco.
Nella liturgia presidenziale, i gesti contano. Quel tocco sul braccio è una forma di regia: alleggerisce l’atmosfera, spezza il ritmo dell’incalzare giornalistico e segnala chi detiene il controllo della scena. Ma è anche una concessione: riconosce al suo interlocutore il diritto di mantenere le proprie categorie politiche, pur dentro una relazione istituzionale. Non è pacificazione; è normalizzazione del dissenso. A notarlo non sono solo i cronisti: persino il vicepresidente JD Vance ha rilanciato la clip definendola «un momento da antologia» per il presidente.
Fino a poche settimane fa, i due si erano scambiati colpi duri. Trump aveva definito Mamdani «comunista al 100%», «radicale», arrivando a sostenere apertamente i suoi avversari; Mamdani aveva promesso di “Trump-proofare” la città e criticato le politiche migratorie federali. Eppure, nella stanza più codificata del potere americano, i due hanno messo in scena una sospensione delle ostilità. Per Trump, il messaggio è: posso lavorare con chiunque porti proposte pratiche; per Mamdani, è: posso difendere i miei principi e intanto trattare per ciò che serve ai newyorkesi. Il risultato, per ora, è un cessate il fuoco verbale.
La clip è stata rilanciata in pochi minuti: Fox News l’ha diffusa con titolazioni che sottolineano il «via libera» del presidente a Mamdani sul termine “fascista”; Sky News e altri media internazionali hanno ripreso la frase quasi letteralmente, contribuendo a farne un momento virale; persino tabloid come il New York Post hanno incorniciato l’episodio come “rara bipartisanship”. Il Corriere della Sera ha pubblicato il video con l’audio in cui si sente chiaramente la battuta. La convergenza di fonti – con orientamenti editoriali diversi – rafforza l’affidabilità della dinamica riportata.
La portata dell’elezione di Mamdani aiuta a capire il tono dell’incontro. Alle elezioni del 4 novembre 2025, il sindaco eletto ha superato la soglia del 50% con oltre 1,03 milioni di voti, distanziando Andrew Cuomo (circa 41,6%) e Curtis Sliwa (circa 7,1%), secondo le ricostruzioni e i riepiloghi pubblicati post-voto. È un mandato pieno, costruito su una coalizione che ha unito giovani, nuove registrazioni e quartieri multietnici. La combinazione tra legittimazione elettorale e agenda sociale spiega perché la Casa Bianca scelta il registro pragmatico: su casa, lavoro e sicurezza, il sindaco eletto avrà bisogno – e potrà rivendicare – risorse federali.
La domanda del reporter – «fascista?» – cercava una frattura. Ha ottenuto, invece, una messa in scena di coabitazione: un presidente che neutralizza l’insulto con una battuta e un sindaco eletto che incassa senza arretrare. Il resto lo diranno i decreti, i bilanci, i cantieri. Per ora resta l’immagine di quel colpetto sul braccio: un gesto piccolo, che vale come promessa di una grande contesa giocata, finalmente, sul terreno del fare.
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