Non c’è bisogno di cercare nuove fonti: ora serve mettere in fila i fatti, senza sconti, e restituire al lettore la misura di ciò che è accaduto. E allora partiamo da quella scena che, da sola, racconta ciò che carte, relazioni e protocolli non hanno voluto vedere.
Il video diffuso da Dentro la Notizia mostra Giovanni Trame, nove anni, dietro una cancellata. La madre, Olena Stasiuk, lo richiama con un tono che è metà supplica metà intimazione: «Giovanni, non dire questo». Il padre, Paolo Trame, prova a rispettare ciò che l’autorità gli impone: «Va’ con mamma». Ma il bambino — con quella lucidità che i bambini hanno quando capiscono il pericolo meglio degli adulti che dovrebbero proteggerli — risponde netto: «Io non voglio. Sto molto meglio con te».
E lì c’è tutto. C’è la paura di Giovanni, ci sono le denunce del padre, ci sono i segnali accumulati negli anni, c’è la consapevolezza che si stava andando incontro a un esito che, col senno di poi, appare quasi annunciato.
E infatti Paolo Trame quel video l’ha mandato alla redazione del programma. Non per spettacolarizzare il dolore, ma perché diventasse prova pubblica di qualcosa che aveva urlato per anni: suo figlio non era al sicuro. Giovanni non voleva restare con la madre. Giovanni aveva paura.
Il giorno prima di essere ucciso, quel bambino aveva anche scritto un biglietto al padre. Di quel gesto, e di ciò che conteneva, Paolo ha parlato a La Vita in Diretta. Le sue parole — involontariamente micidiali nella loro semplicità — spiegano meglio di qualunque perizia che cosa si è perso: «Quel biglietto non mi ha fatto dormire tutta la notte… Aveva una voglia di vivere pazzesca. Andavamo a pattinare, camminare, con gli amici. Avevamo appena comprato degli sci usati. Era maturo, sapeva manifestare quello che accadeva».
È l’immagine di una quotidianità normale, felice, costruita nonostante tutto. È l’istantanea di ciò che è stato interrotto.
Poi arriva l’accusa che pesa come una pietra tombale sulle istituzioni: «Questa mamma doveva essere aiutata e affiancata. Ho sempre detto che non bisognava aspettare che i buoi uscissero dal recinto. Questa tragedia si poteva evitare». Parole che non chiedono vendette: chiedono responsabilità. Mettono a nudo un cortocircuito che in tanti avevano intravisto ma che nessuno ha voluto nominare: una donna fragile, seguita dai servizi; un bambino spaventato; un padre che segnalava; decisioni che autorizzavano incontri non protetti.
La somma di tutto questo è finita dove non doveva finire.
Intanto la comunità di Muggia si prepara all’ultimo saluto. Il nulla osta è arrivato: i funerali di Giovanni si terranno martedì 25 novembre, nel Duomo della cittadina. Don Andrea Destradi, che in questi giorni sta camminando accanto alla famiglia come si fa nei lutti che non hanno spiegazione, ha annunciato i dettagli: il feretro entrerà in chiesa alle 10, la messa inizierà alle 11, poi la sepoltura nel cimitero del paese.
E a quel punto — quando Giovanni sarà affidato al silenzio della sua terra — resteranno solo le domande che questo caso lascia dietro di sé come schegge. Perché un bambino che dice «Non voglio andare con mamma» non è stato ascoltato? Perché un padre che chiedeva aiuto non è stato creduto abbastanza? Perché una tragedia definita «evitabile» da chi la vive sulla pelle non è stata evitata?
Sono interrogativi che nessuna inchiesta potrà risolvere davvero. Ma sono quelli che una comunità, e un Paese intero, non può più permettersi di archiviare.