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Piano sociosanitario, altro che svolta: il Piemonte fa acqua da tutte le parti

In Commissione piovono critiche da garanti e organismi tecnici: consultori deboli, salute mentale allo stremo, carceri dimenticate, minori senza posti letto e anziani che rinunciano alle cure. Ma la Giunta parla ancora di “principi condivisibili”.

L’ospedale alla “francese” e le “cazzate” di Icardi

L'ex assessore regionale alla sanità del Pirmonte Luigi Genesio Icardi

Prosegue in Quarta Commissione il rituale delle audizioni sul nuovo Piano sociosanitario regionale 2025-2030. Un documento che la Giunta presenta come la grande cornice strategica per la sanità piemontese del prossimo quinquennio, ma che, alla prova dei fatti, sta mostrando una lista sempre più lunga di criticità sollevate dagli stessi organismi chiamati a esprimere pareri. Criticità che, di fatto, smontano la narrazione rassicurante che arriva dall’assessore alla sanità Federico Riboldi e dal presidente della Commissione Luigi Icardi, impegnati soprattutto a sottolineare disponibilità, collaborazione e “principi condivisibili”, mentre fuori dalle stanze del Palazzo resta il problema numero uno: il Piemonte continua a essere una delle regioni più in affanno su personale, tempi d’attesa e servizi territoriali.

In un comunica si racconta una sanità che si affida alle buone intenzioni. Tutti dicono “collaboreremo”, tutti esprimono “disponibilità”, tutti auspicano protocolli, strumenti, percorsi. Ma nella lunga sequenza di interventi delle autorità ascoltate dalla Commissione spunta un quadro molto meno entusiastico: la regione ha bisogno di psicologi di base, consultori più forti, punti nascita stabili, servizi di salute mentale potenziati, percorsi per la procreazione medicalmente assistita più equi. In altre parole, ciò che manca non è la filosofia – quella c’è sempre, nei piani – ma la struttura per realizzarla.

La Presidente della Commissione Pari opportunità Maria Rosa Porta, insieme a Patrizia Alessi e Tullia Todros, lo dice chiaramente: servono protocolli operativi veri e una mappatura delle criticità, perché di criticità ce ne sono ovunque. Consultori territoriali al minimo sindacale, punti nascita ridotti, Pma accessibile a macchia di leopardo e una salute mentale che continua a essere la cenerentola del sistema, nonostante i proclami. Perfino l’idea – ormai invocata ovunque – di istituire lo “psicologo delle cure primarie” torna come un mantra: è auspicata, condivisa, apprezzata… ma inesistente nella realtà.

Ancora più tagliente l’intervento della Consigliera di Parità Chiara Cerrato, che manda in frantumi la retorica astratta sulla “sanità di prossimità”. Le donne tra i 25 e i 44 anni lasciano il lavoro per l’impossibilità di conciliare tempi di cura e vita professionale: il carico familiare continua a gravare su di loro, mentre il sistema offre risposte scarse, costose o lontane. E intanto più del 7% degli over 65 rinuncia a curarsi per ragioni logistiche. È la fotografia di un Piemonte che invecchia e che non riesce a essere davvero vicino ai suoi cittadini. Per colmare il divario servono infermieri domiciliari, servizi diffusi, volontariato integrato e un contrasto serio al digital divide. Nel comunicato lo si legge, quasi sottovoce: ma è esattamente il nodo centrale che questo Piano – per ora – non scioglie.

Durissimo anche il quadro tracciato dalla Garante delle persone detenute Monica Formaiano, che ricorda una verità spesso dimenticata: la sanità penitenziaria è, a tutti gli effetti, parte del Servizio sanitario regionale. Peccato che manchino coordinamento, procedure standardizzate, formazione del personale e perfino strumenti basilari come telemedicina efficiente e fascicolo sanitario elettronico aggiornato. Il sistema carcerario resta uno dei punti ciechi della sanità piemontese, e la distanza tra teoria e pratica rimane siderale.

Il Garante per l’infanzia Giovanni Ravalli aggiunge un ulteriore tassello: disturbi alimentari in aumento tra i minori (10 su 100), mancanza di posti letto dedicati, denatalità, fragilità familiari dovute a separazioni conflittuali, équipes multidisciplinari che vanno adeguate alla normativa nazionale. Anche qui, la lista delle emergenze supera di gran lunga quella delle soluzioni. Non si tratta di temi “di contorno”: sono il cuore del futuro demografico e sociale della regione.

Persino il Garante dei diritti degli animali Paolo Guiso finisce per denunciare lacune operative: monitoraggi insufficienti sui vettori di malattie, aggressioni canine sottostimate, assenza di regole chiare sulla presenza dei molossi. È un altro segnale che il Piano, pur ampio, rischia di rimanere un catalogo di buoni propositi senza gli strumenti concreti per affrontare i problemi quotidiani.

La voce forse più significativa è quella del Difensore civico e Garante del diritto alla salute Paola Baldovino, che mette il dito nella piaga dei piemontesi: prenotazioni difficili, pazienti costretti a raggiungere sedi distanti (con conseguente rinuncia alle cure), tempi troppo lunghi per i medici domiciliari e infrastrutture sanitarie ancora non inclusive. È la conferma di ciò che tutti sanno, ma che il Piano sembra affrontare solo in modo teorico. Perché i cittadini non hanno bisogno di “principi”, hanno bisogno di visite specialistiche entro tempi accettabili.

In chiusura, Ires – per bocca del presidente Alessandro Sciretti e della dirigente Giovanna Perino – si dice pronta a collaborare. Un’altra promessa di supporto, un’altra disponibilità. Ma è la politica, non la ricerca, a dover colmare i vuoti.

Alle richieste di chiarimenti intervengono consiglieri di opposizione come Unia, Disabato, Marro, Pentenero, Magliano. Domande che, però, nel comunicato non vengono riportate. E questo è già un indizio: quando i dubbi sono troppi, è sempre più facile presentare solo ciò che suona armonioso.

Il Piano sociosanitario regionale 2025-2030, insomma, continua il suo percorso, ma le audizioni mostrano una distanza evidente tra la narrazione istituzionale e le richieste – spesso severe – dei garanti, degli organismi tecnici e delle figure di tutela. Una distanza che nessuna formula di rito può nascondere. Perché il Piemonte non ha bisogno di un Piano “condivisibile”: ha bisogno di una sanità che funzioni. E quella, per ora, resta ancora tutta da costruire.

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