AGGIORNAMENTI
Cerca
Esteri
20 Novembre 2025 - 18:07
La porta dell’aereo si è aperta solo a sera inoltrata, quando il sole su Johannesburg era già sceso e la pista dell’aeroporto O.R. Tambo rifletteva un chiarore spento. Per quasi dodici ore i centocinquantatré passeggeri — bambini stanchi, una donna incinta, famiglie intere — erano rimasti bloccati sui sedili, luci accese e caldo soffocante, senza acqua a sufficienza, senza risposte, e soprattutto senza la certezza di poter mettere piede in Sudafrica. Erano arrivati la mattina del 13 novembre 2025 con un volo charter decollato da Nairobi dopo un passaggio in Israele. Quasi nessuno aveva il timbro di uscita, pochi possedevano un indirizzo di destinazione, alcuni non avevano nemmeno un biglietto di ritorno. Tutti, o quasi, dichiaravano la stessa provenienza: la Striscia di Gaza. È la parte più tangibile di una vicenda che si intreccia fra pagamenti in contanti, organizzazioni opache, corridoi autorizzati a metà e una serie di interrogativi che continuano ad allargarsi: chi ha organizzato quei trasferimenti? A quali condizioni? E perché proprio in questo momento storico?
Secondo la Border Management Authority, il charter proveniente dal Kenya è atterrato alle 08:15. Durante i controlli di frontiera i funzionari hanno scoperto che molti passeggeri non erano in grado di spiegare durata del soggiorno né dove avrebbero alloggiato; soprattutto mancavano i documenti di uscita rilasciati dalle autorità israeliane, requisito considerato di routine per chi attraversa valichi controllati da Israele. Per questo l’ingresso è stato inizialmente negato. Solo in serata, dopo ore di stallo e proteste crescenti, la ONG sudafricana Gift of the Givers ha garantito ospitalità e supporto logistico, consentendo l’ammissione tramite l’esenzione di visto concessa ai titolari di passaporto palestinese. Nel frattempo ventitré persone avevano già proseguito verso Canada, Australia, Malesia e altre destinazioni; gli altri centotrenta sono entrati in Sudafrica con un permesso di 90 giorni.

Le condizioni a bordo, mentre l’aereo rimaneva fermo per accertamenti, sono state definite “inaccettabili” dal fondatore della ONG, Imtiaz Sooliman, che ha chiesto un’indagine parlando apertamente di “mancanza di empatia” e “umiliazione” ai danni dei passeggeri. Testimonianze descrivono bambini in lacrime, temperature elevate, la sensazione di essere trattenuti in una zona grigia che non era più né viaggio né rifugio. A smorzare il clima è arrivato l’intervento del presidente Cyril Ramaphosa, che ha spiegato pubblicamente che “dal punto di vista umanitario non potevamo rimandarli indietro”, confermando l’apertura di un’indagine di intelligence sulle modalità con cui quel gruppo è riuscito ad arrivare fino a Johannesburg.
Nel frattempo un nome, quasi sconosciuto fino ad allora, ha iniziato a circolare con insistenza: Al-Majd Europe. L’Ambasciata di Palestina a Pretoria ha parlato di un’entità “non registrata” che avrebbe approfittato di famiglie in fuga, incassando denaro per facilitare l’uscita da Gaza e l’imbarco su voli charter. Un ufficiale militare israeliano, citato da diversi media, ha indicato la stessa sigla come la presunta organizzazione che avrebbe strutturato i trasferimenti, passando dal valico di Kerem Shalom e dall’aeroporto di Ramon, nel sud di Israele. Le autorità sudafricane hanno confermato di aver acceso un faro su questa rete informale, definita da più fonti “sfuggente”.
Di Al-Majd Europe si sa poco e quasi nulla con certezza. Il sito web associato alla sigla risulterebbe registrato solo nel 2025, in contrasto con la dichiarata fondazione nel 2010; profili pubblici inconsistenti, contatti irraggiungibili, nessuna sede verificabile. In rete circolano analisi indipendenti che ipotizzano persino l’uso di immagini generate artificialmente per presentare dirigenti e volontari. Non esistono però documenti ufficiali che certifichino la natura giuridica dell’organizzazione o la sua catena di comando. L’unica certezza è l’ombra che si allunga su una serie di viaggi costosi, non del tutto tracciati e tutt’altro che trasparenti.
I passeggeri hanno raccontato di aver pagato somme significative per ottenere il viaggio: tra 1.500 e 5.000 dollari a persona, con Reuters che documenta un prezzo medio intorno ai 2.000 dollari, mentre altre fonti parlano di cifre comprese tra 1.500 e 2.700 dollari. La variabilità degli importi, la mancanza di ricevute e la presenza in alcuni casi di acconti via bonifico o criptovalute alimentano i sospetti di irregolarità. L’Ambasciata di Palestina in Sudafrica ha invitato i cittadini a diffidare di intermediari non registrati, definiti “agenti di spostamento”, avvertendo del rischio di raggiri e, nei casi peggiori, di tratta di esseri umani.
Il contesto politico non aiuta a dissipare le ombre. Il ministro degli Esteri sudafricano Ronald Lamola ha parlato apertamente di un’operazione “orchestrata” per svuotare Gaza e Cisgiordania, paventando il rischio di una deportazione mascherata attraverso canali pseudo-privati. Da parte israeliana, fonti ufficiali hanno riconosciuto che i passeggeri hanno lasciato Gaza in un quadro di “partenze volontarie” autorizzate con il coinvolgimento di un “terzo Paese”, ma senza chiarire chi abbia materialmente gestito i movimenti. Israele respinge qualsiasi accusa di voler favorire uno spostamento di massa, ma il caso è diventato rapidamente terreno di scontro diplomatico, soprattutto alla luce delle iniziative legali intraprese da Pretoria contro lo Stato ebraico nelle sedi internazionali.
La ricostruzione più accreditata del viaggio indica un percorso complesso: uscita da Gaza attraverso Kerem Shalom o altri checkpoint sotto controllo israeliano, trasferimento all’aeroporto di Ramon, volo verso Nairobi, poi la tratta Nairobi–Johannesburg operata da una compagnia sudafricana in modalità ACMI. I documenti ufficiali parlano di un charter operato da Global Airways — a volte confusa con il marchio LIFT, che utilizza lo stesso certificato di operatore aereo — un dettaglio tecnico che ha generato dubbi e speculazioni, aggravati dal silenzio iniziale della compagnia sulla natura del contratto charter.
Il Ministero degli Interni sudafricano ha poi chiarito il quadro legale: i titolari di passaporto palestinese hanno diritto all’ingresso senza visto per 90 giorni, purché superino le verifiche di sicurezza. Nel caso del 13 novembre, l’assenza di documenti essenziali ha rallentato la procedura fino all’intervento formale di Gift of the Givers, che ha garantito alloggio e assistenza, trasformando un diniego in un via libera condizionato. Un passaggio delicato, che ha fatto emergere quanto sia fragile la linea tra l’applicazione rigida della norma e la responsabilità politica davanti a un’emergenza umanitaria.
Il volo del 13 novembre, però, non sarebbe stato il primo. Fonti di governo e di stampa parlano di un charter simile atterrato il 28 ottobre, senza intoppi né clamore. Dopo il caso di metà novembre e il brusio internazionale che ne è seguito, il ministro Lamola ha annunciato la sospensione di qualsiasi ulteriore arrivo organizzato tramite charter fino a quando non sarà chiarita l’intera filiera documentale e verificata l’assenza di abusi. Una decisione che riflette anche timori interni, alimentati da alcuni media, legati alla possibilità che queste operazioni sconfinino nella tratta di esseri umani. Le autorità invitano comunque alla prudenza: “indagini in corso, conclusioni premature”.
Tra i passeggeri, racconta Reuters, c’è chi ha perso la casa sotto i bombardamenti, chi cercava cure mediche impossibili da ottenere nella Striscia, chi ha investito tutto ciò che aveva pur di portare in salvo i figli. Le storie ascoltate nei corridoi dell’aeroporto di Johannesburg sono la somma di due anni di devastazione: infrastrutture civili al collasso, ospedali incapaci di funzionare, scuole distrutte. Da qui la scelta di affrontare costi proibitivi, lunghi viaggi, una burocrazia incerta e perfino l’attesa soffocante in un aereo fermo, pur di non tornare indietro.
A una settimana dall’episodio, il governo sudafricano conferma l’inchiesta sul volo e sulla rete che l’ha reso possibile. I centotrenta arrivati sono stati sistemati temporaneamente grazie a Gift of the Givers e alle comunità locali. Il permesso di 90 giorni impone ora la definizione di alloggi, assistenza e, per chi lo chiederà, eventuali richieste di protezione internazionale. Il caso, tuttavia, supera i confini del Sudafrica: riguarda il modo in cui il mondo sta gestendo le vie di fuga da Gaza, tra necessità umanitaria, possibili abusi e l’urgenza di garantire canali legali e trasparenti a chi non può più restare. La questione, per molti governi, non è soltanto decidere se accogliere o respingere, ma capire chi muove i fili di queste nuove rotte e quali interessi si intrecciano dietro ogni biglietto pagato, ogni frontiera attraversata e ogni porta che tarda ad aprirsi.
Le informazioni su Al-Majd Europe restano in evoluzione e richiedono ulteriori verifiche indipendenti. Finché non emergeranno documenti ufficiali, la vicenda rimane sospesa in un equilibrio fragile tra ciò che è accertato e ciò che è solo presunto. Ed è proprio in questo spazio ambiguo che si gioca oggi una delle partite più delicate dell’umanitarismo internazionale.
Edicola digitale
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.