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20 Novembre 2025 - 16:35
Cava di San Bernardo
E' questione di giorni, forse solo ore. Fiato alle trombe, rullo di tamburi: a San Bernardo sta per partire l’offensiva. Non contro un esercito straniero, non contro un vicino invadente, ma contro il proprio sindaco e il proprio Comune, contro la Città Metropolitana, contro un sistema istituzionale che, a furia di carte bollate, è riuscito a far arrabbiare un quartiere intero. A farlo sentire preso in giro. Preso per stanchezza. Preso per fesso.
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La scintilla è una determinazione dirigenziale della Città Metropolitana di Torino, la DD 6395/2025, un documento che ha un pregio e un difetto: è chiarissimo. Cristallino. Lì dentro c’è scritto che la cava di sabbia e ghiaia in località Fornaci“ si può fare”. Si deve fare. Punto. Tutto il resto è noia: proteste, pareri politici, firme, osservazioni, voti unanimi del Consiglio comunale.
Ed eccoci al paradosso di Ivrea 2025: c’è un sindaco che per mesi ripete pubblicamente che la cava non si farà mai, un’intera amministrazione che si dice contraria, un Consiglio comunale che il 26 maggio 2025 vota compatto, maggioranza e opposizione come mai nella storia recente, per dichiarare la cava «non strategica e gravemente impattante». Ma dall’altra parte c’è un dirigente comunale che dopo la seconda Conferenza dei Servizi, il primo agosto, mette nero su bianco un parere tecnico favorevole che la Città Metropolitana inserisce integralmente nel suo sì. E quel sì travolge tutto.
Il teatro dell’assurdo è servito: la politica dice no, la tecnica dice sì. E indovinate quale dei due pesa di più?
Della cava di ghiaia e sabbia in località Fornace di San Bernardo, situata nell’ex impianto Icas, si parla dal dicembre 2013, quando in Consiglio comunale atterra una variante al Piano regolatore. Ma la sua storia inizia nel 2008, ai tempi del sindaco Fiorenzo Grijuela, quando Cogeis avanza richiesta alla Regione e alla Provincia. L’area coinvolta è di 60.000 metri quadri, con uno scavo fino a cinque metri di profondità. Il bilancio per i residenti? Polveri sottili, vibrazioni continue, traffico esasperante e una qualità della vita irrimediabilmente compromessa.


In cambio, il Comune avrebbe incassato 0,43 centesimi al metro cubo, per un totale di 234.660 metri cubi di materiale. Cogeis, dal canto suo, si sarebbe impegnata a realizzare un semaforo su via Torino e a rimuovere l’amianto dal tetto dell’ex bocciodromo della Diocesi, sostituendolo con un impianto fotovoltaico, cosa che peraltro è poi stata fatta.
Fin da subito il progetto viene accolto da una levata di scudi. Il Movimento 5 Stelle raccoglie 2601 firme, denuncia l’impatto ambientale, la mancanza di misure di mitigazione e la scarsa sensibilità nei confronti di un agriturismo e di un centro abitato. In un’assemblea pubblica a Bellavista l’allora sindaco Carlo Della Pepa viene insultato a più riprese e accusato di “fare gli interessi di un imprenditore!”.
Nel maggio 2014, un residente di Canton Garda, con il sostegno del M5S, presenta un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Nel 2015 arriva anche un ricorso al Consiglio di Stato. Entrambi respinti: l’iter, scrive il Consiglio di Stato, non presenta elementi per essere annullato.
Poi, per dieci anni, il buio. La cava non apre. Non un camion, non una ruspa, non un metro cubo estratto. Nulla.
Solo che nel frattempo il quartiere cambia: dove c'erano campi, nascono villette, palazzine, scuole, percorsi ciclabili, famiglie, giardini, e la vita cresce a ridosso di via delle Fornaci, una strada oggi talmente stretta da essere inadatta perfino ai furgoni. Figurarsi ai camion carichi di ghiaia.
Nel parere positivo, l’Ufficio tecnico ammette che oggi non dovrebbero circolare mezzi oltre le 3,5 tonnellate. E che, per far passare quelli previsti, bisogna demolire e spostare una cabina elettrica, ricostruire la carreggiata, acquisire terreni privati, ridisegnare l’intersezione con via Torino, installare un semaforo, modificare la visibilità sul percorso ciclabile e adeguare il Piano di Classificazione Acustica, che oggi è incompatibile. Una lista che somiglia più a un restyling urbano che a un semplice adeguamento viario.
La parte più surreale della determina della Città Metropolitana riguarda le dune antirumore: montagne artificiali alte cinque metri, piantumate con Cotoneaster e Pyracantha, da collaudare acusticamente entro 30 giorni dall’inizio dello scavo. Una cucina botanico-bellica che a San Bernardo nessuno ha ordinato.
Nel documento, il quartiere non esiste: è un perimetro, una tavola tecnica, un quadratino su una mappa. Si guarda la cartografia, non le persone.
Lo si vede nei verbali: la Città Metropolitana riconosce tutte le osservazioni del Comitato No Cava, le protocolla, le discute, le controdeduce. E poi le supera. Come una buca in auto: ci passi sopra e vai avanti.
A San Bernardo sanno bene cosa significa sentirsi presi per i fondelli.
In pochi giorni hanno raccolto 221 firme, prodotto un documento tecnico di otto pagine, costretto la politica a esporsi in Consiglio, partecipato a Conferenze dei Servizi, incontri dedicati, presentato osservazioni su traffico, acustica, aria, suolo, paesaggio, sicurezza, vivibilità. Una mobilitazione rarissima.
Ma niente.
Tutto archiviato.
Tutto “valutato”.
Tutto superato.
Il risultato è un quartiere che oggi non protesta soltanto: si sente preso in giro.
Perché quando ti dicono “venite, partecipate, contate!” e poi la decisione si basa su un’autorizzazione del 2014 mai utilizzata, capisci che la partecipazione è solo un rituale: la liturgia dell’ascolto.
Sorrisi davanti, fregatura alla cassa.
La bomba è stata innescata. Una bomba amministrativa, politica, sociale.
Un’autorizzazione valida fino al 2034, con condizioni tecniche che sembrano scritte da chi la cava non l’avrà mai sotto casa. Un quartiere che urla di fermarsi. Un quartiere che non vuole camion, polveri e rumori sotto le finestre. E una Città Metropolitana che, come l’Uomo del Monte, guarda il progetto e dice “sì”.
Solo che qui non c’è nulla da gustare.
Solo da temere.
Perché quando le ruspe arriveranno – se arriveranno – nessuno potrà dire: “Non lo sapevamo”.
A San Bernardo l’hanno detto in tutti i modi possibile.
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