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18 Novembre 2025 - 10:57
Democrazia svuotata: quando i governi scelgono la guerra e ignorano i popoli
Ieri il Consiglio Supremo di Difesa, riunito tre ore al Quirinale, ha confermato “pieno sostegno dell’Italia a Kiev” e ha dato via libera al dodicesimo decreto di aiuti militari. Una decisione presa da Sergio Mattarella, Giorgia Meloni, Antonio Tajani, Matteo Piantedosi, Guido Crosetto, Giancarlo Giorgetti, Adolfo Urso, Francesco Paolo Figliuolo Portolano. Tutti attorno allo stesso tavolo, e tutti perfettamente allineati. Nessun dibattito parlamentare vero. Nessun ripensamento. Nessuna apertura alla diplomazia. Solo la solita frase ripetuta come un mantra: “il conflitto non mostra segnali di distensione”.
Come se fosse un fenomeno naturale, non qualcosa che noi stessi continuiamo ad alimentare. Si condanna la Russia per “l’accanimento nel perseguire l’annessione territoriale”. Si parla di bombardamenti continui su Kiev. Non si dice una parola sul fatto che militarmente l’Ucraina non può più vincere, e che questa guerra continua solo perché chi dovrebbe fermarla non vuole farlo e continua a mandare armi, anche quando servirebbe diplomazia.


Poi, improvvisamente, si passa a Gaza. Si “valuta positivamente il cessate il fuoco” e il rilascio degli ostaggi. Però nella stessa frase si ammette che continuano “episodi di violenza che causano un alto numero di vittime civili”. Ma subito si aggiunge che “i sentimenti suscitati dagli avvenimenti a Gaza non possono confluire nell’antisemitismo”, come se criticare bombardamenti e assalti alle ambulanze fosse un atto d’odio, non un atto di verità.
Su Gaza, quindi, nessuna categoria “aggredito/aggressore”. Nessuna condanna netta. Nessuna richiesta di responsabilità. Solo una vaga preoccupazione. Due pesi, due misure. A seconda di chi colpisce e di chi è colpito.
Infine c’è il capitolo che nessuno discute ma che ieri è stato ribadito: la corsa al riarmo europeo. Il Consiglio dice che la guerra ha mostrato la “trasformazione tecnologica” attraverso i droni, quelli che la Russia fa arrivare anche sui cieli NATO, e che per questo “l’Europa deve adeguare le capacità militari ai nuovi scenari”, seguendo il “Libro Bianco Difesa 2030”.
Tradotto: più soldi, più armi, più apparati.
Senza una parola su dove ci porterà tutto questo viene di fatto sposata la posizione dell’alto rappresentante dell’UE Kaja Kallas per gli affari esteri, che ha più volte ribadito “se vogliamo la pace dobbiamo prepararci alla guerra”…
E chi se ne frega dei grandi valori europei che dovrebbero conoscere. Da Erasmo da Rotterdam, “La guerra piace a chi non la conosce” (Adagia), a Immanuel Kant, “Gli eserciti permanenti devono col tempo scomparire del tutto… minacciano costantemente gli altri Stati e spingono questi a superarsi a vicenda…” (Per la pace perpetua); da Bertrand Russell, “La preparazione alla guerra… è in realtà la causa principale delle guerre” (Common Sense and Nuclear Warfare), a papa Giovanni XXIII, “La guerra è aliena alla ragione” (Pacem in terris), la deterrenza militare è disvelata nella sua infondatezza e logica perversa che alimenta la minaccia che dichiara di voler prevenire.
Intanto oggi, per preparare la guerra, la spesa militare italiana ha superato nel 2025 la cifra dei 35 miliardi di euro, puntando progressivamente a quel 5% del PIL, che significherà 140 miliardi di euro all’anno, sottratti agli investimenti sociali e civili con il placet del Presidente Mattarella.
Nei fatti il governo italiano e il Presidente della Repubblica fanno propria la narrazione obsoleta, irrazionale e pericolosa di Kaja Kallas, iniziando a preparare, di fatto, i lavoratori all’accelerazione della riconversione al militare dell’industria civile e alla riconversione alla guerra dell’economia sociale. Anziché a lottare per il disarmo e la pace.
E allora la domanda è semplice:
QUANDO I GOVERNANTI GOVERNANO CONTRO I POPOLI, COSA RESTA DELLA DEMOCRAZIA?
Ieri è stato evidente che le decisioni cruciali — guerra, pace, armamenti, sicurezza — vengono prese sopra le nostre teste, fuori dal Parlamento, fuori dal confronto democratico, fuori dal dibattito pubblico.
La democrazia non è morta, ma è svuotata.
E ieri ce lo hanno fatto vedere in diretta, senza nemmeno provare a nasconderlo. Sta a noi, ora, e alle piazze di questi giorni rimetterla in moto.
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