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18 Novembre 2025 - 03:00
Nigeria, irruzione nella notte: 25 studentesse rapite. Il vicedirettore ucciso, i banditi spariscono nel nulla
Erano le quattro del mattino quando il silenzio di Maga è stato lacerato da raffiche secche, un rumore che nella Nigeria nordoccidentale significa sempre la stessa cosa: un’incursione pianificata. Dentro il dormitorio della Government Girls Comprehensive Secondary School – un edificio semplice, muri chiari, letti a castello, poco personale notturno – le ragazze sono balzate in piedi senza capire se fosse un incubo o un attacco reale. Hanno avuto la risposta pochi secondi dopo, quando le porte dei dormitori sono state abbattute e uomini armati sono entrati gridando ordini in una lingua dura, portando torce e fucili d’assalto. “Banditi”, li chiamano da queste parti, una parola ormai svuotata dal suo significato originario, perché dietro copre un universo criminale ramificato, spietato, con logiche di riscatto e reti logistiche che attraversano interi Stati.
I rapitori si sono mossi con precisione: hanno fatto irruzione in più ali della scuola, selezionato le ragazze, spezzato la resistenza dei pochi agenti presenti, e poi si sono dileguati verso nord-est, direzione Zamfara. In mezzo allo scontro è rimasto ucciso il vicedirettore, Hassan Makuku, un uomo che in quella scuola viveva più che lavorava. Ferito invece Ali Shehu, colpito alla mano destra mentre tentava di aiutare le studentesse a mettersi in salvo. Le autorità locali, confinate in comunicati prudenti, hanno parlato di venticinque ragazze rapite.


L’attacco non è stato improvvisato. Il commando è arrivato nel buio, ha superato il perimetro della scuola, ha eluso o neutralizzato la sicurezza interna e ingaggiato uno scontro diretto con le unità presenti nel campus. La Kebbi State Police Command, attraverso il portavoce CSP Nafi’u Abubakar Kotarkoshi, ha confermato la dinamica e parlato di “armi sofisticate” e di una recinzione scalata in pochi minuti. Sul terreno sono rimasti solo i bossoli e il corpo di Hassan Makuku, un dettaglio che in queste zone significa una sola cosa: i banditi non avevano alcuna intenzione di andarsene senza ostaggi.
Secondo fonti di sicurezza, il Commissioner of Police Bello M. Sani ha dispiegato immediatamente unità tattiche, supportate da militari ed elementi dei gruppi di vigilanza comunitari. Hanno iniziato a battere ogni pista, a sorvolare la zona con elicotteri dell’aeronautica e a interrogare residenti e agricoltori dei villaggi vicini. La zona è un groviglio di fattorie isolate, boscaglie e sentieri che si perdono verso Zamfara, un dedalo perfetto per chi vuole sottrarsi allo Stato. Reuters e Associated Press hanno confermato la ricostruzione: un attacco chirurgico nelle prime ore del 17 novembre 2025, un’incursione in un’area che convive da anni con bande sempre più organizzate, mobili e capaci di colpire quando la guardia si abbassa anche solo per pochi minuti.
Le autorità parlano di “banditi”, ma dietro questa etichetta si muovono cartelli criminali che sfuggono alle categorie tradizionali: gruppi autonomi, non sempre legati a Boko Haram o ISWAP, capaci di rapire per denaro, imporre tasse informali, saccheggiare bestiame e intessere alleanze temporanee con complici locali. La loro forza non è ideologica: è economica. L’industria del rapimento, nel Nordovest, si è trasformata in una filiera criminale, con ruoli, prezzi, negoziatori e basi operative ben distribuite nelle foreste. Ed è proprio lì che gli investigatori ritengono siano diretti i rapitori di Maga: verso le boscaglie di Zamfara, labirintiche, poco popolate e difficili da setacciare senza un supporto militare massiccio.
Il metodo è sempre lo stesso, riconoscibile come una firma: arrivo su motociclette, irruzione improvvisa, botti in aria per seminare panico, prelievo rapido degli ostaggi e fuga attraverso piste secondarie. Un modello violento che, negli ultimi anni, alcune operazioni di sicurezza avevano attenuato ma non eliminato. Il colpo alla scuola di Maga lo dimostra: la capacità predatoria dei gruppi armati si è solo adattata. Associated Press ricorda che dalla notte di Chibok, aprile 2014, più di 1.500 studenti sono stati rapiti in attacchi che hanno scosso intere generazioni. E, inevitabilmente, ogni nuovo assalto richiama quella notte, quell’hashtag globale, quella ferita mai rimarginata.
Il peso della memoria qui è reale. Nel giugno 2021, sempre nello stato di Kebbi, un commando prese d’assalto il Federal Government College di Birnin Yauri, uccise un agente e trascinò via decine di studenti e membri dello staff. Fu un sequestro lungo, tortuoso, con rilasci a scaglioni, trattative opache, pagamenti mai ufficializzati e famiglie consumate dall’attesa. A Maga, nelle ore successive all’attacco, quel ricordo è tornato nelle case, nelle botteghe, persino nel modo in cui i genitori accompagnavano i figli fuori dalla zona per metterli al sicuro.
La polizia parla di un’operazione congiunta, una caccia senza pause. Ma diversi media nigeriani hanno già segnalato un dettaglio che pesa: la presenza di almeno due checkpoint militari nei pressi della scuola. Nessuno vuole dirlo apertamente, ma la domanda circola da subito: com’è possibile che un commando sia riuscito a superare due punti di controllo armati senza essere intercettato? Gli ufficiali, per ora, non rispondono. Promettono verifiche e invitano a non legare conclusioni premature ai primi momenti di caos. Ma il sospetto rimane.
Dietro i numeri, restano i nomi. Hassan Makuku, il vicedirettore ucciso, è la storia di un uomo che conosceva per nome ogni ragazza del dormitorio. Ali Shehu, ferito, è oggi in un letto d’ospedale con la mano bendata e un’unica speranza: che le sue studentesse tornino vive. Le note ufficiali della Kebbi State Police Command riportano i loro nomi con precisione: un gesto minimo ma necessario, perché in questa parte del mondo la cronaca rischia sempre di diventare aritmetica, un gioco di somme e sottrazioni, vittime e sopravvissuti.
Le scuole, da anni, sono un bersaglio privilegiato. Non solo perché facili da colpire, ma perché simboliche. Colpire una scuola significa colpire il futuro, la possibilità di emancipazione, soprattutto per le ragazze. Più l’ostaggio è giovane, più forte è la pressione sul governo, più probabile il pagamento del riscatto. È una logica spietata, ma perfettamente razionale per chi vive di questo. Gli effetti sono devastanti: interruzioni dell’insegnamento, famiglie che ritirano le figlie dalle classi, comunità che iniziano a vedere l’istruzione come un rischio. Le autorità federali e statali continuano a promettere recinzioni rinforzate, illuminazione perimetrale, allarmi e personale addestrato. Ma la copertura resta fragile e diseguale. E ogni attacco lo dimostra.
Il nodo Zamfara è il cuore della questione. È lì che convergono molti gruppi armati, è lì che i rapitori possono contare su campi base, corridoi di fuga, complici e un territorio che sfida ogni forma di controllo statale. Le prime 24–72 ore, dicono le fonti operative, sono la finestra decisiva: oltre quel limite, gli ostaggi vengono spostati più volte, dispersi in gruppi, nascosti nella boscaglia. Più passa il tempo, più difficile diventa recuperarli senza trattative o concessioni.
Il Nordovest nigeriano è una mappa complessa di vulnerabilità: dispute tra pastori e agricoltori, crisi economiche, debolezza istituzionale, traffici e corruzione. Non sempre c’entrano il jihadismo o le ideologie: spesso è un mercato, un’economia illegale che prospera su uno Stato incapace di esercitare pienamente il monopolio della forza. In questo scenario, le scuole residenziali sono un obiettivo perfetto: tanti minori concentrati in un solo luogo, personale ridotto, recinzioni spesso simboliche, reazioni tardive. È un modello criminale che si autoalimenta.
Il linguaggio delle autorità nigeriane è diventato prevedibile: “atto esecrabile”, “unità tattiche dispiegate”, “determinazione incrollabile”. È una retorica che serve a rassicurare, ma che raramente corrisponde a un reale seguito operativo. Lo stesso CP Bello M. Sani ha parlato di una risposta “decisa e coordinata”, invitando la popolazione a “collaborare con informazioni utili”. Ma dietro questa prudenza c’è la consapevolezza che comunicare troppo può compromettere i negoziati e che comunicare troppo poco alimenta sfiducia e sospetti.
Le domande, però, restano: come hanno fatto i banditi a perforare la sicurezza interna ed esterna senza essere avvistati? Quali mezzi hanno usato per trasportare venticinque ostaggi in così poco tempo? Quali reti informali li hanno guidati fuori da Maga? E soprattutto: quale sostegno concreto stanno ricevendo oggi le famiglie, una volta spente le sirene, quando rimane solo l’attesa?
Ogni rapimento scolastico, qui, produce tre fratture: nella scuola, nella famiglia, nella comunitità. Gli insegnanti devono trasformarsi in sentinelle, i genitori valutano se valga la pena continuare a mandare le figlie in classe, i commercianti risentono di coprifuoco improvvisati e di strade deserte. Nel medio periodo, l’effetto è un arretramento dell’istruzione femminile, proprio mentre lo Stato e le organizzazioni internazionali tentano di colmare il divario. La resilienza sociale è forte, ma non infinita: quando la fiducia crolla, arrivano le milizie improvvisate, i vigilantes non coordinati, le risposte fuori controllo che alimentano un nuovo ciclo di violenza.
Il governo federale alterna operazioni militari e contatti indiretti con leader locali, per ottenere rilasci senza spargimenti di sangue. La Safe Schools Initiative, i piani di sicurezza, le task force, i fondi promessi: tutto sembra insufficiente quando un commando può penetrare in una scuola, rapire venticinque studentesse e sparire nel buio. L’attacco di Maga è un test per un intero sistema di sicurezza: dirà se le lezioni del passato sono servite o se la Nigeria è destinata a ripetere lo stesso copione.
A Maga, intanto, resta una comunità che può fare una sola cosa: tenere. Tenere aperte le scuole quando possibile, tenere il dialogo con le autorità, tenere accesa la pressione perché ciò che è stato promesso diventi reale. Tenere vivo il nome di Hassan Makuku. Tenere una speranza per le venticinque ragazze sparite nella boscaglia. Tenere, perché in queste prime ore ogni decisione pesa più degli slogan. E perché, qui, una scuola non è solo un luogo d’istruzione: è la linea sottile tra la paura e il futuro.
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