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Polonia, binario fatto esplodere sulla linea per Lublino: un morso alla dorsale che porta all’Ucraina

Un ordigno piazzato nella notte ha strappato un tratto di ferrovia vicino a Mika. Nessun ferito, ma il premier Donald Tusk parla di «sabotaggio senza precedenti». Altri danneggiamenti nella stessa direttrice e controlli militari su 120 chilometri: l’ombra della guerra ibrida arriva nel cuore delle rotte europee verso Kyiv

Polonia, binario fatto esplodere sulla linea per Lublino: un morso alla dorsale che porta all’Ucraina

Donald Tusk

All’alba, tra i campi brinati vicino a Mika, manca un pezzo di mondo. Non un dettaglio, non un bullone: un tratto di acciaio strappato come se qualcuno avesse deciso di mordere la ferrovia Varsavia-Lublino, una delle direttrici più sensibili d’Europa. A scoprirlo è stato un macchinista, domenica mattina, alle 7:40. Ha visto il vuoto dove avrebbe dovuto esserci il binario e ha fermato la corsa. Minuti dopo sono arrivati artificieri, tecnici, magistrati. E poi le prime parole ufficiali: «È un’esplosione». Una frase pesante, seguita da un’altra ancora più pesante pronunciata dal premier Donald Tusk: «Un atto di sabotaggio senza precedenti». Nessun ferito, per fortuna. Ma una certezza: qualcuno ha colpito un’arteria che non serve solo a far spostare pendolari e studenti, ma anche i convogli con gli aiuti e il materiale militare diretti in Ucraina.

Gli investigatori non hanno dubbi sul punto esatto dell’esplosione: un villaggio a circa 100 chilometri da Varsavia, Mika, un tratto di campagna dove nulla dovrebbe accadere. E invece è accaduto. Non solo lì. Perché nelle ore successive sono emersi altri danneggiamenti più vicini a Lublino. E poi, la sera, un altro episodio nei pressi di Puławy: cavi elettrici recisi, oggetti metallici messi sui binari, un treno con 475 passeggeri costretto a una frenata improvvisa. Schemi diversi, stessa logica: fermare, spaventare, misurare il grado di reazione dello Stato. Il ministro della Difesa Władysław Kosiniak-Kamysz ha ordinato ispezioni militari lungo 120 chilometri di linea verso il confine ucraino. I soldati, nei prossimi giorni, pattuglieranno ponti, sottopassi, tratte isolate. Una scena che la Polonia non vedeva da anni.

Colpire la Varsavia-Lublino non è un gesto casuale. È un colpo studiato, chirurgico, laddove si incrociano traffici civili, merci e movimenti cruciali per Kyiv. Non è il “cuore” del sistema ferroviario polacco, ma è una delle sue arterie che pulsano verso est. Ed è lì, sulla via breve verso i nodi logistici ucraini, che cade l’ombra lunga della guerra ibrida, quella che non ha bisogno di missili per far male: bastano una miccia, un ordigno, un binario tagliato nel silenzio della notte.

Il termine “senza precedenti” usato da Tusk non è un’esagerazione politica. La Polonia, negli anni scorsi, ha già fatto i conti con segnali manomessi, intrusioni, incendi mirati. Ma qui il livello cambia: un ordigno posto su una tratta aperta al traffico, con il rischio reale di far deragliare un convoglio passeggeri o un treno merci carico di materiali delicati. È la differenza tra il disturbo e il colpo. Le autorità parlano di un’operazione condotta “con perizia”, riconducibile a mani addestrate. Nessuna attribuzione ufficiale, sia chiaro. Ma basta guardare agli ultimi due anni per capire perché l’ipotesi di “operatori per procura” non suona così fantasiosa.

Tra il 2024 e il 2025, decine di persone — polacchi, ucraini, bielorussi, cittadini di altri Paesi — sono state arrestate per aver fotografato basi militari, appiccato incendi a depositi, piazzato piccoli ordigni o preparato intrusioni su incarico di reti legate, secondo gli inquirenti, a interessi stranieri. È in questo solco che si inserisce il sospetto attorno al caso di Mika: qualcuno che agisce per conto terzi, reclutato via Telegram, pagato poco e inviato a creare caos a bassa intensità nei punti giusti. Ma sospetto non significa prova: gli investigatori mantengono cautela. E, al 17 novembre 2025, non ci sono né nomi né mandanti.

L’aspetto che più inquieta è la scelta del simbolo. Un binario reciso è un’immagine che parla prima ancora che il governo si pronunci. Acciaio deformato, traversine sventrate, ghiaia annerita. È un colpo a bassa intensità ma ad altissimo impatto visivo. È un messaggio: “Siete vulnerabili”. E infatti la risposta di Varsavia è stata immediata e molto più visibile del sabotaggio stesso: pattuglie, tecnici, procure, militari, comunicazioni pubbliche, un intero apparato in movimento per rassicurare la popolazione e gli alleati. Perché una tratta danneggiata non blocca i flussi verso l’Ucraina, ma li mette alla prova. Un test involontario — o forse no — sulla resilienza della rete, sulla rapidità delle riparazioni, sulla capacità di tenere aperti i corridoi anche sotto pressione.

La scelta di colpire in quell’area apre inevitabilmente interrogativi anche sulla tempistica. Non è ancora chiaro se l’esplosione sia avvenuta la notte tra sabato e domenica o all’alba, né come gli autori siano riusciti a operare senza farsi notare. Bisognerà capire la composizione dell’ordigno, il sistema d’innesco, l’eventuale presenza di silenziatori per eludere i sensori, la compatibilità con altri episodi simili registrati negli ultimi anni. E poi ci sono le telecamere, le tracce fisiche raccolte dagli artificieri, i segnali intercettati dalle centrali di controllo. Una quantità di dati che nelle prossime 72 ore potrebbe restringere il cerchio.

Quello che è certo è che da domani le ferrovie polacche saranno un altro Paese. Più pattuglie, controlli fuori standard, verifiche incrociate nei tratti più isolati, aggiornamenti ai protocolli dei macchinisti per riconoscere anche la minima anomalia. Le ferrovie diventeranno un fronte: non quello delle trincee, ma quello delle infrastrutture. Ed è qui che la guerra ibrida mostra il suo volto più fastidioso: non distrugge, ma disturba; non blocca, ma rallenta; non uccide, ma inquieta. Una strategia che punta a saturare l’attenzione dei governi e a costringerli a usare risorse per blindare ogni tratto di territorio.

La Polonia non è un caso isolato. In tutta Europa, negli ultimi tre anni, si sono moltiplicati gli episodi contro infrastrutture critiche: cavi marini recisi, data center incendiati, segnali ferroviari manipolati. Un mosaico di attacchi che, messi insieme, raccontano un’Europa divenuta campo di gioco di pressioni silenziose ma persistenti. Per questo l’esplosione di Mika, benché senza vittime, è molto più che un fatto di cronaca. È un pezzo di un puzzle continentale.

E alla fine resta quell’immagine, la più potente di tutte: un vuoto nel ferro. Un varco aperto da qualcuno che conosceva l’importanza esatta di quel punto della rete. Un gesto che non ha fatto morti, ma ha messo in mostra le vene scoperte di un Paese e di un continente che oggi vivono sul confine tra pace e minaccia. La Polonia, ponte tra Ovest ed Est, scopre quanto sia sottile la linea che separa la normalità dalla vulnerabilità. E sul sedime brinato di Mika, tra traversine divelte e ghiaia annerita, il messaggio resta lì, spietato nella sua semplicità: la sicurezza europea si gioca anche su dettagli così piccoli da sembrare invisibili. Ma sono proprio quei dettagli, oggi più che mai, a essere strategici.

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