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17 Novembre 2025 - 19:18
Parigi in panico: al Louvre cedono le travi, ma tranquilli… è tutto “sous contrôle”
Dentro le travi del Sully, al Louvre, la scena è ben diversa da quella che ci si aspetta nel museo più visitato del mondo. Nessuna coda sotto la Piramide, nessun turista che solleva il telefono davanti alla Gioconda sperando in un miracolo luminoso. Stavolta i protagonisti sono tecnici con caschi e termocamere, corridoi chiusi in fretta, piani evacuati come in un copione di sicurezza militare, e la chiave che gira nella serratura della Galerie Campana. Tutto parte da un dato che, manco a dirlo, i francesi hanno saputo comunicare con la loro consueta enfasi burocratica: la “particolare fragilità” di alcune travi al secondo piano del quadrilatère Sully, fragilità rilevata in un nuovo rapporto tecnico che ha costretto a chiudere in poche ore una parte del palazzo. Sessantacinque persone — che diventano naturalmente “65” nei documenti ufficiali, perché la precisione aritmetica è un dovere repubblicano — hanno ricevuto l’ordine di svuotare gli uffici entro tre giorni. È successo il 17 novembre 2025, e la domanda resta sospesa nell’aria come le polveri da cantiere: perché lì, perché adesso?

Per rispondere bisogna entrare, metaforicamente, dentro le travi del Sully, un quadrilatero che abbraccia la Cour Carrée, il nucleo storico del palazzo costruito dal XVI secolo in avanti con i contributi dei grandi architetti francesi: Pierre Lescot, Jacques Lemercier, Louis Le Vau e la celebre Colonnade di Claude Perrault. Dietro la compostezza classica delle facciate si cela però un organismo molto più complesso. Muri portanti in pietra, volte, solai lignei sovrapposti, aggiunte, riparazioni, reintegrazioni, rattoppi: una sorta di manuale vivente dell’edilizia storica francese. Chiunque abbia lavorato in edifici di quest’epoca sa che non è l’età il problema, ma gli interventi successivi, spesso più intrusivi della patologia che avrebbero dovuto curare. Così, non stupisce che un’ala possa entrare in crisi mentre il resto del palazzo non fa una piega: la simmetria è nelle facciate, non nei solai.
I documenti ricordano che già da anni il secondo piano dell’ala sud era sotto osservazione per debolezze legate a lavori eseguiti negli anni Trenta del Novecento, epoca in cui rinforzare un edificio storico significava spesso tagliare travi, appesantire solai, infilare barre e canalizzazioni come se il legno del Seicento fosse acciaio moderno. Oggi, quelle soluzioni considerate all’epoca all’avanguardia presentano il conto, e i tecnici francesi — sempre pronti a trasformare un problema strutturale in un caso da grande commissione — hanno preferito non correre rischi.
Il 17 novembre l’Établissement public du musée du Louvre ha quindi interdetto un’intera porzione dell’ala sud al secondo piano, spostando il personale altrove “per almeno tre giorni”, che tradotto dal burocratese parigino significa: tutto il tempo necessario a capire quanto è grande il guaio. Per cautela, è stata chiusa anche la Galerie Campana, al primo piano, rinnovata appena tra il 2022 e il 2023 per ospitare le collezioni di ceramica greca. Una precauzione logica: si trova proprio sotto l’area sospetta, e i flussi di visitatori, come sanno bene al Louvre, pesano più di quanto sembri.
Il tutto si inserisce in un momento in cui il palazzo sta subendo grandi ripensamenti. Il progetto di “Nouvelle Renaissance” — nuova entrata sotto la Colonnade di Perrault, riorganizzazione dei percorsi, spostamento della Gioconda, cantieri fino al 2031 — non è solo un esercizio estetico, ma un gigantesco intervento di riequilibrio del palazzo, che secondo stime iniziali potrebbe costare attorno ai 500 milioni di euro, di cui circa 200 provenienti dalla licenza Abu Dhabi. Una cifra che in Francia, come noto, diventa sempre un oggetto di discussione filosofica prima ancora che contabile.
Nel frattempo, il museo ha annunciato un piano straordinario di sicurezza, con nuove telecamere, barriere anti-ram e presidi rafforzati nell’area del Louvre e delle Tuileries. Non è direttamente collegato alle travi, ma conferma un dato: in un momento di grandi lavori, anche un cigolio fuori posto diventa un segnale da prendere tremendamente sul serio.
Dal punto di vista tecnico, i solai lignei del Sully funzionano come tutti i solai storici: sopportano molto, ma non tutto. Restano stabili finché rimangono leggeri, asciutti e continui. Ogni taglio, ogni passaggio impiantistico, ogni appesantimento può alterare la distribuzione degli sforzi. E gli interventi degli anni Trenta, con l’uso disinvolto di acciaio e calcestruzzo, sono oggi un classico caso da manuale di conservazione: tensioni inconciliabili tra materiali che rispondono in modo diverso agli stessi carichi.
A gennaio 2025 il museo ha pubblicato un bando per una missione geotecnica G5 sulla Cour Carrée e sulle quattro ali del quadrilatère Sully, per analizzare sottosuolo, fondazioni, locali interrati, strutture del progetto Grand Louvre di I. M. Pei, e verificare le interazioni tra carichi e terreno. Una diagnosi approfondita, che ora si rivela fondamentale per interpretare l’allarme attuale. Nel linguaggio un po’ solenne dei francesi: “comprendere le relazioni verticali e orizzontali dell’edificio”. In quello più semplice degli ingegneri: capire da dove arriva il problema e dove può andare.
I motivi dell’allerta, con ogni probabilità, derivano da una somma di fattori: carichi cresciuti nei decenni, microclimi instabili legati ai flussi turistici, variazioni climatiche, solai storici “modernizzati” con eccesso di entusiasmo. La Galerie Campana, con i suoi passaggi intensi, è stata trasformata in un cuscinetto di sicurezza nell’attesa degli esiti delle verifiche.
Le operazioni in corso sono le solite, ma decisive: endoscopie, sondaggi, verifiche di umidità, rilievi delle geometrie effettive, modellazioni numeriche, puntellamenti temporanei, ridefinizione dei percorsi e, se necessario, progettazione di rinforzi compatibili e reversibili. Tutto questo avviene mentre i 65 dipendenti dell’ala chiusa riorganizzano la propria vita lavorativa in 72 ore, scoprendo per l’ennesima volta che il Louvre, prima ancora che un museo, è un gigantesco organismo amministrativo in cui ogni cambiamento vibra lungo corridoi, archivi, routine quotidiane.
Il rischio reale, per ora, sembra limitato e sotto controllo. La parola “crollo” fa scalpore, soprattutto in un Paese dove la conservazione del patrimonio è tema identitario, ma i dati indicano un allarme intercettato in tempo, grazie a campagne di diagnosi già in corso. Il Louvre, che da secoli convive con cantieri permanenti, sta semplicemente facendo ciò che ogni edificio storico richiede: fermarsi, controllare, intervenire prima che un problema diventi una crisi.
E le travi del Sully, alla fine, raccontano proprio questo. Non una catastrofe imminente, non un cedimento spettacolare, ma due storie intrecciate: la vulnerabilità inevitabile delle architetture stratificate e la maturità di un’istituzione che sceglie la prudenza prima della retorica. In fondo, anche la bellezza ha bisogno dei suoi puntelli. I francesi, che amano trasformare ogni questione urbana in un dibattito epico, questa volta hanno ragione: per far funzionare un palazzo come il Louvre, a volte bisogna fermarlo. Solo il tempo necessario, quello giusto, per ripartire meglio.
Sully
Il nome Sully non c’entra nulla con l’aereo ammarato sull’Hudson né con qualche strano soprannome francese: è semplicemente il nome di una delle tre grandi ali storiche del Louvre.
Il palazzo, infatti, è diviso in tre blocchi principali che formano un gigantesco ferro di cavallo attorno alle corti interne:
Ala Sully
Ala Denon
Ala Richelieu
L’ala Sully è quella più antica, quella che abbraccia la Cour Carrée, il cuore storico del complesso. È lì che si trovano molte delle strutture più delicate perché risalgono a secoli fa e sono state rimaneggiate mille volte.
Il nome deriva da Maximilien de Béthune, duca di Sully, ministro delle finanze di Enrico IV, che nel Seicento promosse ampliamenti e riorganizzazioni del palazzo reale. Da allora la porzione centrale prende il suo nome.
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