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Città Metropolitana sgancia la "bomba" su Ivrea e dice sì alla cava di San Bernardo

Dopo 17 anni di proteste, un quartiere trasformato e un voto unanime del Consiglio comunale, Torino riattiva una concessione mai utilizzata ignorando criticità tecniche, nuove abitazioni, viabilità impossibile e le richieste dei residenti. Ora a Ivrea resta solo una bomba da disinnescare

Città Metropolitana sgancia la "bomba" su Ivrea e dice sì alla cava di San Bernardo

Il sindaco Matteo Chiantore

Alla fine è arrivata la bomba. È esplosa con un protocollo datato 14 novembre 2025, ma la miccia era stata accesa dieci giorni prima a Torino, negli uffici della Città Metropolitana di Torino, dove qualcuno – con la stessa leggerezza con cui l’Uomo Del Monte sorrideva dalla scatola e diceva “sì” – ha deciso di rinnovare la concessione di Cogeis della cava di sabbia e ghiaia in località Fornaci, quartiere San Bernardo, Ivrea. Solo che qui non si tratta di ananas e pesche sciroppate, ma di camion, polveri, rumori, barriere antirumore alte sei metri e un quartiere che da 13 anni urla che quella cava non può esistere. Eppure qualcuno, a Torino, ha guardato la pratica, ha ignorato la geografia, ha bypassato il tempo, ha chiuso un occhio sulle criticità tecniche e ha aperto l’altro solo per guardare il timbro. Poi ha detto: “Sì”.

La storia, in realtà, comincia molto prima. È il 28 maggio 2008 quando la Cogeis presenta la prima istanza. Si parla di un’area che era stata pensata come cava di argilla e viene poi riconvertita a sabbia e ghiaia. Passano gli anni, la burocrazia macina lenta, e il 4 dicembre 2014 arriva l’autorizzazione dello Sportello Unico Attività Produttive del Comune di Ivrea. Il quartiere era diverso, più vuoto, più periferico, un altro mondo. Ma la complicata vicenda, tra cambi urbanistici e lentezze amministrative, ha un risultato paradossale: la cava, autorizzata per dieci anni, non apre mai. Mai una ruspa, mai un camion, mai un metro cubo estratto. Rimane un progetto congelato, un fantasma che ogni tanto riemerge, una presenza inquietante con la quale nessuno vuole fare i conti. Ma soprattutto rimane ferma in un contesto urbano che invece si muove, cambia, cresce, si trasforma.

San Bernardo non è più il quartiere del 2014. Nel frattempo sono nate palazzine, villette, giardini, scuole. La vita è esplosa dove nel frattempo il progetto della cava è rimasto fermo. Via delle Fornaci, oggi, è una strada stretta tra proprietà private, inadatta per il traffico pesante che una cava richiederebbe. Non solo: anche le ipotesi di mitigazione previste nei documenti tecnici sfiorano il grottesco, con barriere antirumore alte addirittura cinque o sette metri, muri artificiali che sorgerebbero a ridosso delle abitazioni come se la soluzione al problema fosse costruire un secondo quartiere dentro il primo. E tutto questo mentre le previsioni tecniche indicano un “incubo” di traffico pesante, con decine di camion al giorno in un’area che già oggi fatica a sostenere la viabilità ordinaria.

cava

Ed è su questo contesto, su questa trasformazione urbanistica che la Città Metropolitana di Torino avrebbe dovuto riaccendere i radar. Invece ha tirato dritto. Senza tentennare. Senza chiedere una nuova Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), come se dieci anni non fossero mai passati. Come se Ivrea fosse rimasta la stessa, immobile, cristallizzata. E come se quei 230.000 metri cubi di sabbia e ghiaia da estrarre non dovessero convivere con finestre, balconi, cortili, marciapiedi pieni di famiglie. Tra l'altro, il progetto prevede che l’area, una volta esaurita, venga ricolmata con terreno fertile e terre e rocce da scavo, un dettaglio che in molti quartieri d’Italia ha già sollevato paure e contestazioni e che anche qui genera timori più che comprensibili.

Mentre Torino diceva sì, a Ivrea si parlava un’altra lingua. In un comunicato stampa l’Amministrazione comunale guidata dal sindaco Matteo Chiantore scrive nero su bianco che la decisione è arrivata «superando tutti gli elementi di criticità senza adeguata motivazione». E qui non si parla di dettagli marginali, ma di aspetti pesanti come macigni. Il Comune ricorda che le modifiche urbanistiche «non sono state adeguatamente considerate» e che l’impatto di una nuova viabilità su un quartiere completamente trasformato non è stato valutato, anche perché la strada «insiste tra proprietà di terzi privati». Parole pesanti, formali ma pesanti. E prosegue: le nuove costruzioni a ridosso dell’area della cava avrebbero dovuto imporre limiti più stringenti, mai affrontati; le barriere antirumore individuate sono state oggetto di «riserve e perplessità dagli stessi uffici»; la zonizzazione acustica andrebbe aggiornata perché i salti di classe tra un’attività estrattiva e un’area residenziale sarebbero talmente grandi da rendere l’opera «di fatto irrealizzabile».

C'è poi l’aspetto politico più contestato dalle fonti locali: il rinnovo della concessione è stato trattato come una “prosecuzione” dell’autorizzazione del 2014, invece che come una nuova concessione, che avrebbe richiesto una nuova VIA, nuove valutazioni, un nuovo iter e una nuova analisi dell’impatto ambientale. È questo il nodo politico e amministrativo che i residenti considerano scandaloso: far finta che il quartiere di oggi sia quello di undici anni fa.

E a proposito di cittadini, è impossibile ignorare ciò che è accaduto negli ultimi mesi: un comitato, il Comitato No Cava San Bernardo, che ha raccolto 221 firme, depositato un documento tecnico di otto pagine, chiesto sopralluoghi e presentato osservazioni dettagliate su impatti ambientali, viabilità, acustica, qualità dell’aria e vivibilità. Un quartiere intero si è alzato in piedi. Ma neanche questo è bastato. Neppure quando il Consiglio comunale di Ivrea, nella seduta del 26 maggio 2025, ha votato all’unanimità contro il rinnovo della concessione. Un evento politico rarissimo: tutti d’accordo, maggioranza e opposizione, nel dire che la cava è «un’opera non strategica e gravemente impattante sulla vita del quartiere».

Eppure, quando la conferenza dei servizi si è riunita il 5 marzo 2025, sono emerse criticità tali da imporre un rinvio di tre mesi per documentazione incompleta. Sembrava il segnale che la ragione avrebbe potuto prevalere. Che la Città Metropolitana di Torino avrebbe iniziato a guardare quella carta con occhi nuovi. Invece no. Tutto superato. Tutto spianato. Tutto rinnovato. Senza una motivazione convincente, senza una revisione ambientale aggiornata, senza un’analisi reale della nuova situazione urbanistica.

Ora resta la promessa del Comune di Ivrea: «Si metteranno in essere tutte le azioni possibili affinché l’opera non trovi attuazione». È una frase che prova a rassicurare, ma è anche il riconoscimento implicito che la situazione è diventata esplosiva. Da una parte c’è Torino che ha riattivato una pratica vecchia come se il quartiere non fosse mai cambiato. Dall’altra c’è una città che chiede di essere ascoltata, che rivendica il diritto alla vivibilità, che non vuole essere travolta dal traffico pesante su una strada inadatta, che non vuole muretti antirumore alti 5 o 7 metri tra le finestre. In mezzo c’è una concessione che non è mai stata utilizzata ma che oggi, dopo diciassette anni, torna viva come un animale risvegliato da un letargo forzato.

E allora sì, la bomba è arrivata e ora sta lì, sul tavolo, tra carte che odorano di passato e un quartiere che guarda al futuro. Ci si chiede chi avrà il coraggio di disinnescarla. Perché se nessuno lo farà, se la politica resterà schiacciata dalla burocrazia, se la voce di San Bernardo non sarà più forte dei timbri, allora il botto sarà inevitabile. Non metaforico. Ma reale, fatto di ruspe, di polveri, di rumori, di fronti di scavo che nessuno vuole. E quando accadrà, non si potrà dire che la città non aveva avvisato. Ivrea lo ha detto in ogni modo possibile. È la Città Metropolitana di Torino che, come l’Uomo Del Monte, ha chiuso gli occhi, sorriso e detto “sì”.
Ma questa volta non c’è niente da gustare. Solo da temere.

Presi per i fondelli?

A San Bernardo c’è un superpotere che gli eporediesi non sapevano di avere: la capacità di diventare completamente invisibili. Un talento naturale, pare. Uno di quelli che non si imparano: o ce l’hai dalla nascita o niente. E dire che i cittadini avevano provato a farsi vedere in tutti i modi: firme, assemblee, esposti, documenti tecnici, persino una conferenza dei servizi in cui hanno ripetuto, con pazienza e disperazione, che aprire una cava sotto alle finestre forse non è proprio l’idea del secolo. Eppure niente: invisibili. Più della nebbia sul lago Sirio a gennaio.

La scena è ormai chiara: da una parte ci sono i residenti che vivono, respirano, ascoltano il rumore dei camion (ancora prima che arrivino), contano le crepe nei muri e si chiedono se davvero qualcuno possa pensare di mettere un’attività estrattiva tra case, giardinetti e bambini che vanno a scuola. Dall’altra ci sono uffici lontani, scrivanie di metallo e pile di carte che evidentemente hanno una vita propria, perché da sole, senza ascoltare nessuno, decidono di rianimare un progetto che tutti qui speravano fosse morto e sepolto.

È buffo, a modo suo. I cittadini passano anni a sentirsi dire “la vostra partecipazione è fondamentale”, “ascoltiamo il territorio”, “il dialogo è importante”, e poi scoprono che la realtà è molto più semplice: conta solo la data del timbro. Se è recente, bene. Se è vecchio, lo si rinnova. Il quartiere può anche essere stato costruito intorno nel frattempo: dettagli.

Il punto è che a San Bernardo non c’è un quartiere che protesta: c’è un intero quartiere che si sente preso per il culo. Perché quando ti dicono per mesi che tutto sarà valutato, che ogni osservazione verrà considerata, che i tecnici faranno tutti gli approfondimenti, e poi scopri che “gli elementi di criticità sono stati superati senza adeguata motivazione”, capisci che la presa in giro non è un incidente: è un metodo.

Così oggi i cittadini si ritrovano a guardare l’ennesima carta calata dall’alto e a chiedersi a cosa servano le firme, i comitati, le assemblee, il Consiglio comunale, la partecipazione, le osservazioni tecniche e perfino il buon senso. La risposta, purtroppo, è fin troppo evidente: non servono. O meglio, servono solo a illuderti di avere voce, perché la decisione vera è sempre altrove, in qualche ufficio dove nessuno sente il rumore delle ruspe perché non arriveranno mai sotto casa sua.

E allora sì, c’è da riderci sopra. Amaro, amarissimo. Perché a Ivrea si parla di “cittadini attivi”, “cittadini consapevoli”, “cittadini parte integrante del processo”. A San Bernardo, invece, la lezione è un’altra: i cittadini sono parte integrante del processo solo quando bisogna fargliela bere. Poi, quando si tratta di decidere davvero, diventano improvvisamente un fastidio. Un dettaglio. Un rumore di fondo.

La cava forse non partirà mai, o forse sì. Ma una cosa è certa: il rispetto per i cittadini, quello, è già stato estratto tutto. E non verrà ricolmato con terre e rocce da scavo.

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