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Il grattacielo da 260 milioni presenta il conto finale: altri 3,1 milioni per chiudere le cause

Dalle indagini per peculato e materiali fantasma agli assolti nei due processi, fino alla richiesta da 17 milioni ridotta a una transazione da 3,1 milioni: la Regione Piemonte archivia definitivamente la saga legale della sua sede unica

Il grattacielo da 260 milioni presenta il conto finale: altri 3,1 milioni per chiudere le cause

Alberto Cirio

La Regione Piemonte chiude finalmente, dopo oltre un decennio di carte bollate, contenziosi, perizie contrastanti e inchieste penali, l’interminabile coda giudiziaria del grattacielo di via Nizza. Una vicenda che sembrava non dover finire mai trova ora un epilogo economico con un accordo bonario da 3,1 milioni di euro, cifra che la controparte ha accettato a fronte di una richiesta iniziale di 17 milioni, avanzata dalle imprese che avevano realizzato una parte delle opere. L’assessore al Patrimonio Gian Luca Vignale, che ha condotto la trattativa, rivendica il risultato approvato dalla Giunta il 22 settembre e pubblicato sul Bollettino Ufficiale: un accordo tombale che chiude le ultime pendenze e consente all’ente di archiviare una delle pratiche più ingombranti ereditate dagli anni passati. «Grazie a questa proposta si mette fine alle vicende legate alla realizzazione dell’edificio di Piazza Piemonte – affermano il presidente Alberto Cirio e l’assessore Vignale –. Sul grattacielo abbiamo ereditato una situazione difficile e siamo riusciti, con determinazione, a concludere i lavori e trasferire tutto il personale nella nuova sede, pienamente operativa dal 2023. Con questa transazione si conclude anche il capitolo legale, garantendo all’ente un importante risparmio rispetto alle richieste avanzate. Degli oltre 17 milioni di rilievo si chiude con un accordo bonario di 3 milioni, come certificato anche dai tecnici e dall’avvocatura regionale». Parole che arrivano alla fine di una storia lunga e tormentata, fatta di ritardi, varianti, contenziosi tra imprese, inchieste della magistratura e polemiche politiche che per anni hanno accompagnato l’opera simbolo della Regione.

La cronaca giudiziaria del grattacielo inizia ben prima di oggi. Il cantiere della sede unica – progettata dall’archistar Massimiliano Fuksas e avviata nel 2011 nell’area ex Fiat Avio – si trasforma presto in un terreno minato. I costi lievitano, i ritardi aumentano, le varianti si moltiplicano. Le prime indagini della Procura di Torino risalgono al 2015, quando i pm accendono i riflettori sulle procedure di appalto e subappalto, sulla gestione delle forniture e sulla cosiddetta “variante migliorativa” che avrebbe garantito alle imprese un margine economico molto più elevato del previsto. Dopo anni di istruttoria, la prima tranche del processo si conclude nel febbraio 2019 con l’assoluzione degli imputati: niente corruzione, niente illeciti su quella variante. Ma il capitolo giudiziario non è affatto chiuso.

Nel 2018, infatti, scatta una nuova indagine coordinata dal pm Francesco Pelosi. Questa volta il focus riguarda presunte irregolarità nei materiali utilizzati per la costruzione, in particolare piastrelle e rivestimenti non conformi o non trattati correttamente. I carabinieri del Nucleo Investigativo notificano dieci avvisi di conclusione indagini a funzionari, ex funzionari regionali e amministratori delle società coinvolte. Le accuse sono pesanti: abuso d’ufficio, falso ideologico, inadempienza contrattuale e soprattutto peculato. Al centro dell’inchiesta ci sono oltre 15 milioni di euro che, secondo l’impianto accusatorio, sarebbero stati liquidati per materiali mai arrivati in cantiere e lavori mai eseguiti. Da qui nasce il “processo bis”, la tranche giudiziaria destinata a riaprire la questione del grattacielo proprio quando tutti pensavano che la prima sentenza avesse chiuso il capitolo.

Il processo bis arriva a sentenza nel dicembre 2023. La procura chiede sei condanne, con pene fino a quattro anni e mezzo, ipotizzando gravi irregolarità e certificazioni fasulle. Ma il Tribunale smonta nuovamente l’impianto accusatorio: assoluzione per i reati più gravi, compreso il presunto peculato da 15 milioni, mentre altre contestazioni minori cadono per prescrizione. In pratica, nessuno viene condannato e la parte penale si chiude come si era aperta: senza colpevoli. Parallelamente, anche la Corte dei Conti negli anni aveva monitorato la vicenda per possibili profili di danno erariale, in un susseguirsi di richiami e valutazioni sulle varianti e sui ritardi dell’opera, mentre sul fronte amministrativo i ricorsi al TAR da parte delle imprese escluse si sono moltiplicati, contribuendo alla paralisi della fase finale dei lavori.

Intanto il grattacielo, dopo oltre un decennio di attese, criticità tecniche e ripetuti rinvii, viene inaugurato nel 2022 e reso pienamente operativo nel 2023 con il trasferimento degli uffici regionali. Una fase che la giunta guidata da Cirio ha sempre rivendicato come il momento in cui il progetto, nato molto prima del loro insediamento, è finalmente approdato a un risultato concreto. Ma proprio quando l’edificio inizia a essere utilizzato, restano aperti i contenziosi economici con alcune imprese, che avanzano richieste milionarie. L’ultima, quella da 17 milioni, riguarda forniture contestate, compensazioni richieste per proroghe e interventi aggiuntivi. Una cifra che, se confermata, avrebbe pesato in modo significativo sul bilancio dell’ente.

Giancarlo Puddu

Foto @GiancarloPuddu

Il margine negoziale aperto dall’assessore Vignale ha permesso di chiudere tutto a 3,1 milioni. Una cifra molto inferiore alle rivendicazioni iniziali e certificata come congrua dai tecnici e dall’avvocatura regionale. L’accordo, definito “tombale”, spegne ogni possibilità di contenzioso futuro con quella parte delle aziende coinvolte nella costruzione. Dunque non solo si archivia la fase penale e si superano i procedimenti amministrativi, ma ora si chiude anche la partita economica che pendeva come una coda infinita sugli uffici tecnici della Regione. Per la Giunta, questo accordo è la parola “fine” su una vicenda che ha assorbito energie, risorse e credibilità istituzionale per più di dieci anni.

Resta il dato politico: il grattacielo, costato alla fine più di 260 milioni rispetto ai 208 previsti inizialmente, rappresenta una delle opere pubbliche più complesse, discusse e travagliate della storia recente piemontese. E oggi, mentre i dirigenti regionali parlano di risparmio, efficienza e razionalizzazione degli spazi, l’obiettivo è lasciarsi alle spalle non solo i problemi strutturali del cantiere, ma soprattutto le scorie di un percorso giudiziario che ha occupato intere legislature. Con la transazione resa pubblica sul Bollettino Ufficiale e la controparte che rinuncia definitivamente alle pretese avanzate, la Regione prova a mettere un punto fermo su una storia tormentata. Se sarà davvero l’ultimo, lo dirà il futuro. Ma per la prima volta, dopo anni di indagini e di atti giudiziari, Palazzo Piemonte può dire di avere chiuso il cerchio.

Il grattacielo della Regione continua a salire:
aggiunti altri 3 milioni al piano “imprevisti”

Trecento milioni no, duecentosessanta sì, che poi sembrano quasi la stessa cifra, basta togliere un po’ di zeri nell’animo e un po’ di speranza nel portafoglio. Il grattacielo della Regione Piemonte – quello che doveva costare meno, finire prima e spiegare al mondo che il futuro era una vetrata – alla fine ci costa un altro obolo da 3,1 milioni, che in effetti, dopo dieci anni di carte bollate, suona quasi come uno sconto Black Friday. Le imprese ne volevano diciassette, la Regione ha detto no, poi ni, poi insomma, poi ecco qui: tre e uno, che fa sempre più elegante di tre tondi.

È curioso come le grandi opere abbiano un vizio: nascono leggere come un rendering e finiscono pesanti come un faldone. Prima le piastrelle sbagliate, poi le piastrelle giuste ma messe male, poi quelle giuste e messe bene ma forse non pagate o pagate due volte, poi le inchieste, poi le assoluzioni, poi la prescrizione, poi la Procura che si guarda intorno e dice “beh, abbiamo fatto il possibile”. E alla fine restiamo noi, con un grattacielo che doveva spiegare la modernità e ha finito per spiegare la burocrazia.

Ora però i conti tornano: duecentosessanta milioni più tre fanno duecentosessantatré. Non è poesia, ma è aritmetica civica. Si chiama accordo bonario, che è bellissimo: sembra una cosa fatta tra amici al bar, “dai su, facciamo tre e non se ne parla più”. E infatti non se ne parla più: è scritto proprio così, “tombale”. Fine. Sipario. Archivio. Possono finalmente spegnere le luci, tanto nel grattacielo nuovo funzionano meglio che nei conti vecchi.

E magari qualcuno, un giorno, farà anche la domanda più offensiva di tutte: ma alla fine, quanto è alto questo grattacielo? Perché tra un milione sopra e un milione sotto, la cosa che sembra crescere davvero non sono i piani, ma le cifre. E forse aveva ragione quell’antico geometra piemontese che sosteneva che le opere pubbliche, più che costruirle, bisognerebbe pesarle. E poi decidere se valga la pena sollevarle.

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