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Punto rosso
17 Novembre 2025 - 08:00
Museo Garda, Ivrea
Per non farmi sopraffare dalla situazione globale che vede i popoli di mezzo mondo morire sotto i colpi delle armi prodotte dall’altra metà del mondo (l’Italia fra questi), questa settimana scrivo alcune riflessioni sulla cultura a Ivrea. Non che il tema sia meno dolente, ma certamente non drammatico né grave, nel contesto generale.
Posso affermare, senza tema di smentita, che a Ivrea un progetto culturale ampio e partecipato non ce l’abbiamo da decenni, se mai l’abbiamo avuto. Stenta la nostra città a pensare a quale modello di cultura voglia esprimere. Una città che per decenni ha delegato alla “ditta” il suo sviluppo culturale, è – forse anche per questo – oggi in difficoltà a darsi una identità culturale.
L’identità culturale non può corrispondere ad un singolo evento né a più eventi scollegati fra loro. Si devono vedere dietro a questi la rete, i fili che li collegano, una trama e un ordito che compongano il tessuto culturale cittadino, dal centro alle periferie.

Ivrea deve passare dalla “promozione” e finanziamento di singoli eventi ad un “progetto culturale strategico” globale, includente. E non può farlo senza un/una assessore/a dedicato/a. Una delega così fondamentale, interdisciplinare ritengo, non può essere affidata al Sindaco, perché il Primo cittadino ha da amministrare tutta la città e le incombenze non mancano. Un comune come Ivrea, per la sua storia e complessità, non può non avere un assessore dedicato. Il contrario indica probabilmente una idea di cultura a cassettini da riempire e non a tessere di mosaico che vanno a comporre una figura completa, multicolore.
Negli anni abbiamo sentito parlare di “Cittadella della Cultura”, di “Polo culturale”, … ma tutto è rimasto sulla carta. La biblioteca è sempre lì, ricca, ma tale e quale a quarant’anni fa, il museo decisamente non decolla.
Eppure, un pezzo del tessuto culturale della città potrebbe essere proprio il museo civico cittadino. Intitolato a Pier Alessandro Garda, eporediese di fine ’700 che nel 1874 inviò una lettera al Sindaco di Ivrea offrendo la sua collezione d’arte orientale in dono alla città con lo scopo "di procacciare, se possibile, qualche lustro ed ornamento al mio paese natio, mediante l'istituzione d'un museo in adatto ed abbastanza spazioso locale, al quale sia data dal Municipio la semplice denominazione di Museo Pier Alessandro Garda".
Il museo la Città di Ivrea l’ha istituito come da desiderio del Garda, ma è anche riuscita a tenerlo chiuso per 40 anni (quaranta!), dal 1974 al 2014 quando fu riaperto a caro prezzo di ristrutturazione e di gestione. Riporto dal bilancio di previsione del primo anno di riapertura: uscite 545mila euro, entrate 24.500 euro. Ricordo che al tempo come Rifondazione eravamo molto critici e dubbiosi (lo siamo ancora) sulla tenuta di un progetto che avrebbe eroso pesantemente il lascito Guelpa, senza generare per contro vivacità culturale, arricchimento per la città.
I dubbi nascevano dal vedere un museo rinato, ma già vecchio nella formula. È abissale la distanza fra il nostro e i moderni musei che si possono visitare in tante città italiane e in tutto il mondo.
Qualcuno si chiede cosa vorrebbe vedere chi arriva a Ivrea? O meglio, cosa dovrebbe avere Ivrea in più per attirare visitatori? La risposta la conosciamo tutti: un museo del Carnevale e un museo sulla storia Olivetti.
Il primo si presterebbe ad essere un bel museo interattivo dove vivere attivamente ogni passaggio del nostro carnevale. Per il secondo i materiali per iniziare già ci sarebbero: le macchine del museo Tecnologic@mente, gestito con grande competenza e passione e che ho letto che nel 2024 ha fatto più visitatori del Garda (sic); e poi la bellissima mostra “Cento anni di Olivetti, il progetto industriale”, esposta all’Officina H nel 2008, nel centenario della fondazione della “prima fabbrica italiana di macchine per scrivere”, e fino a qualche tempo fa visitabile, solo parzialmente e solo su appuntamento all’Archivio Storico Olivetti (sul sito dell’ASO non ho più trovato le informazioni). Una mostra che è un museo da sola.
Un museo, poi, per sostenersi deve essere di interesse tutto l’anno, con le sue mostre permanenti, e le mostre temporanee vanno ben esposte. Ho visitato “Olivetti e i fotografi della Magnum”: in alcune sale l’illuminazione arrivava da faretti che inevitabilmente riflettevano la luce sui vetri delle foto e ci si doveva spostare di lato per ammirarle bene; nell’ultima sala vi era invece luce diffusa, più adatta per una esposizione fotografica.
Questi sono dettagli si dirà, non credo. Come non credo siano dettagli la scelta di usare come numero telefonico per informazioni il numero di una persona dell’Ufficio Cultura che legittimamente si allontana dalla scrivania per lavoro e altre esigenze. Ho chiamato più volte, in orario di apertura del museo, per avere informazioni, ma nessuno rispondeva. Sono dovuta andare di persona, che poi, alla ricezione non si trova personale del museo, ma dell’Ufficio del Turismoche dà solo informazioni sulla biglietteria, curata da loro.
Fornire un numero mobile per le informazioni sarebbe il minimo quando non si dispone di personale sempre reperibile al museo, oppure affidare all’Ufficio del Turismo anche il servizio di contatto con il pubblico. Ma non si può sentire suonare a vuoto il telefono di un museo. (E naturalmente la “colpa” non è del dipendente che non può stare incollato alla scrivania.)
Dettagli? No, sintomi.
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