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Londra, il nuovo nemico perfetto di Putin: come il Cremlino ha riscritto la mappa dell’odio

Nell’ultimo anno la propaganda russa ha scalzato gli Stati Uniti e scelto il Regno Unito come avversario numero uno. Tra accuse di sabotaggi, droni, complotti e piloti da corrompere, la costruzione del “nemico inglese” diventa il perno strategico del racconto di Mosca sulla guerra in Ucraina

Londra, il nuovo nemico perfetto di Putin: come il Cremlino ha riscritto la mappa dell’odio

Kein Starmer e Volodymyr Zelens'kyj

La telefonata che, secondo la versione russa, avrebbe dovuto cambiare la guerra è stata presentata come un thriller geopolitico: un presunto emissario, un’offerta da 3 milioni di dollari, la promessa di una nuova vita in Occidente. L’obiettivo sarebbe stato convincere un pilota russo a decollare con un MiG-31 armato di Kinzhal e consegnarlo alla NATO. È lo scenario raccontato dai servizi di sicurezza di Mosca in un video diffuso a reti unificate, un racconto che punta il dito su Londra come mandante occulto, “la mano inglese” che da secoli infesterebbe i destini della Russia. Nessuna prova verificabile, moltissime suggestioni. Ma il dato che conta è un altro: nel 2025, nel grande affresco propagandistico del Cremlino, il Regno Unito ha ormai scalzato gli Stati Uniti come antagonista principale, non solo nelle fantasie complottiste ma anche nella costruzione di un nemico nuovo, moderno, e soprattutto funzionale alla narrazione politica.

In Russia è un leitmotiv antico: “l’inglese trama”. Oggi l’etichetta-ombrello è diventata “Anglo-Sassoni”, un termine ripetuto in talk show e comunicati ufficiali come sinonimo di un blocco occidentale disposto a tutto per “distruggere” la Russia. Dopo il 24 febbraio 2022, quell’espressione si è trasformata in lessico di Stato e ha invaso ogni narrazione bellica: Londra che arruola mercenari, sabota infrastrutture, arma Kiev fino a umiliare Mosca. Non è solo propaganda centrale: la sondaggistica indipendente ha registrato nel 2025 un cambiamento significativo nella percezione popolare, con la Gran Bretagna giudicata più ostile degli USA, complice un presunto disgelo con Washington utile al Cremlino per riscrivere gerarchie emotive e politiche.

Negli ultimi tre anni Mosca ha cucito su Londra il ruolo di regista occulto di ogni operazione avversa: dall’esplosione dei gasdotti Nord Stream nel 2022, attribuita senza esitazioni alla Royal Navy, alla presunta regia di attacchi con droni contro la Flotta del Mar Nero. Il Ministero della Difesa britannico ha liquidato tutto come “accuse false a scala epica”, mentre le indagini europee non hanno indicato responsabilità specifiche e Svezia e Danimarca hanno chiuso o proseguito procedimenti giurisdizionali dai contorni tuttora incerti. Ma il punto non è la verità giudiziaria: nella narrazione russa il filo rosso porta comunque a Londra, qualunque sia l’episodio.

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A spiegare questo meccanismo c’è ciò che Londra fa realmente sul terreno ucraino. Il Regno Unito si è costruito una reputazione di attore rapido e visibile: prima con Operation Orbital, che dal 2015 ha addestrato oltre 22.000 militari ucraini, poi con Operation Interflex trasferita nel Regno Unito dopo l’invasione su larga scala, arrivata a superare i 50.000 soldati formati entro fine 2024, con un programma che prosegue nel 2025. Una massa critica che incide e che Mosca non può ignorare. A questo si aggiunge il primato sui missili a lunga gittata: l’11 maggio 2023 Londra è stata la prima potenza occidentale a consegnare a Kiev gli Storm Shadow, divenuti centrali per colpire depositi, comandi e nodi logistici russi anche in Crimea, alimentando nelle élite di sicurezza russe l’idea di una “minaccia britannica” qualitativamente diversa.

Nel 2024 la diplomazia britannica ha ulteriormente alzato i toni quando l’allora ministro degli Esteri David Cameronha scandito che “l’Ucraina ha il diritto” di attaccare obiettivi in Russia con armi fornite da Londra. Una dichiarazione che ha scatenato la furia del Ministero degli Esteri russo, con minacce dirette contro infrastrutture militari britanniche “in Ucraina e all’estero”, consolidando l’immagine di un Regno Unito disposto a esporsi più di Washington e più dei partner europei.

Un tassello ulteriore è la guerra dei droni. Nel 2024 Londra ha guidato con la Lettonia la Drone Coalition, promettendo migliaia di velivoli e impegnando centinaia di milioni di sterline in più tranche. Non solo fornitura, ma sostegno industriale, soluzioni anti-jamming, prototipi adattati direttamente dal campo: una proiezione di capacità a basso profilo militare ma altissimo impatto cognitivo, perfetta per il tipo di conflitto in corso. Sul fronte cyber, poi, GCHQ e il National Cyber Security Centre hanno denunciato operazioni russe contro infrastrutture logistiche e portuali coinvolte nei flussi di aiuti all’Ucraina, consolidando la percezione di un Regno Unito che combatte su più livelli.

L’anglofobia nei gangli dell’apparato securitario russo non nasce oggi. È il frutto di un quindicennio di traumi strategici. L’avvelenamento di Alexander Litvinenko a Londra nel 2006 con polonio-210, attribuito a responsabilità statali da un’inchiesta pubblica e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ha prodotto una frattura permanente. Così come l’attacco con Novichok a Salisbury nel 2018 contro Sergei Skripal e sua figlia, che ha generato l’espulsione coordinata di oltre 100 diplomatici russi in 26 Paesi. Il Cremlino ha sempre negato, ma ogni volta Londra è tornata a essere il centro del sospetto, il simbolo di una sfida storica mai risolta.

Nella televisione russa la Gran Bretagna è rappresentata contemporaneamente come potenza aggressiva e Paese in declino. Una contraddizione solo apparente: la prima giustifica minacce iperboliche, dalle armi nucleari tattiche alle ritorsioni globali, la seconda rassicura l’opinione pubblica suggerendo che il nemico complotta perché teme di sparire. La retorica sugli “Anglo-Sassoni”, riesumata nei briefing del Ministero degli Esteri e nei documenti ufficiali, offre una cornice ideologica pronta all’uso, efficace e familiare.

L’ultimo capitolo, quello dei piloti russi da corrompere, rientra perfettamente in questa cornice. A metà novembre 2025il FSB ha annunciato di aver sventato un piano ucraino-britannico per rubare un MiG-31: messaggi, audio, un presunto emissario, elementi presentati come prova di una Londra disposta a ricorrere a “metodi terroristici”. Un racconto utile a rinforzare la sindrome d’accerchiamento e che ricicla la stessa logica con cui gli inglesi sono stati accusati di far saltare i Nord Stream. Nessuna verifica indipendente, altissimo valore propagandistico.

Il paradosso è che Londra viene ritratta come potenza declinante e allo stesso tempo onnipresente. In realtà il suo peso nel dossier ucraino non deriva dal tonnellaggio militare, ma dalla capacità di muoversi per prima e di organizzare coalizioni, dai training camp alla produzione di droni. È proprio questa centralità operativa, discreta ma costante, a farne il “cattivo perfetto” per i talk show russi: incisiva quanto basta per sembrare pericolosa, sufficientemente distinta da Washington per alimentare l’illusione di un Occidente diviso. Un gioco di specchi che funziona perché si sovrappone a dinamiche reali.

C’è anche un contesto politico che spiega lo spostamento del bersaglio. Nel 2025, con una Casa Bianca più dialogante, la percezione russa del “nemico americano” si è attenuata. I sondaggi mostrano un calo vistoso della quota di cittadini che indicano gli USA come avversario principale, mentre Regno Unito e Germania avanzano nelle prime posizioni. Non è un segnale di disgelo reale, ma un’opportunità narrativa: demonizzare Londra permette di dividere l’Occidente, incoraggiando Berlino e Parigi a smarcarsi dalla linea dura britannica.

Misurare l’impatto concreto dell’azione britannica non è semplice, ma alcuni indicatori sono inequivocabili. Le decine di migliaia di militari ucraini addestrati hanno ampliato e professionalizzato i ranghi; gli Storm Shadow hanno costretto Mosca a ridefinire difese e logistica, soprattutto in Crimea; la spinta sui droni ha accelerato la transizione verso un conflitto di attrito tecnologico dove conta la capacità di adattamento più dell’acciaio. Nel 2024 Londra ha promesso circa 3 miliardi di sterline l’anno per il sostegno militare, ribadendo un messaggio limpido: finché Kievresiste, il Regno Unito resta.

Gli analisti concordano: le “sacche di anglofobia” nei servizi russi sono profonde, soprattutto attorno a figure come Nikolai Patrushev, Alexander Bortnikov e Sergei Naryshkin. Un sentimento che mescola storia, ferite irrisolte e calcolo politico. Ma è anche una strategia: fare di Londra il parafulmine consente al Cremlino di presentarsi come ragionevole verso Washington e di tentare di scardinare l’unità europea. Ed è proprio in questa combinazione – radici antiche e opportunismo contemporaneo – che si spiega perché, nel 2025, Londra è diventata il bersaglio ideale.

Il sostegno britannico all’Ucraina: quattro pilastri

  1. Addestramento. Con Interflex, Londra ha strutturato un ciclo di formazione intensiva per fanteria, genio, sminamento e ora anche team antidrone, con contributi di Canada, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Paesi nordici e altri. Il governo ha confermato la prosecuzione fino alla fine del 2025.
  2. Capacità di lunga gittata. Dallo Storm Shadow in poi, il Regno Unito ha spostato la finestra di Overton occidentale sulla “deep strike”, riducendo margini di manovra russi in Crimea e retrovie occupate.
  3. Droni e innovazione. La co‑leadership della Drone Coalition e l’annuncio di oltre 10.000 sistemi in pipeline hanno creato un salto di scala nello “swarm warfare” ucraino.
  4. Postura politica e intelligence. Dal gennaio 2022 (quando il Foreign Office rivelò il progetto russo di installare un governo fantoccio a Kyiv) fino agli avvisi congiunti su minacce cyber nel 2025, l’intelligence britannica ha scelto di “dichiarare” per deterrenza.

La strategia russa: colpire dove Londra è più esposta

  1. Diplomazia coatta. Convocazioni dell’ambasciatore britannico e minacce pubbliche di rappresaglie “asimmetriche” se Kiev usasse armi made in UK su suolo russo. Strappi che servono a dipingere il Foreign Office come irresponsabile e isolato.
  2. Guerra giuridica e narrativa. Mosca capitalizza il mistero giudiziario dei Nord Stream per insinuare responsabilità britanniche, anche in assenza di riscontri forensi.
  3. Pressione informatica. Attacchi e intrusioni contro logistica e infrastrutture europee legate ai rifornimenti per Kiev, denunciati da NCSC e partner. Ogni bollettino è un assist alla tesi del “sabotaggio reciproco”, utile a confondere responsabilità.

Cosa significa per l’Europa (e per l’Italia)

  1. Più disinformazione anti‑britannica nelle lingue europee. Il frame “Anglo‑Sassoni guerrafondai/europei ragionevoli” proverà a spingere Roma, Parigi e Berlino verso scelte di “moderazione”, specie su droni, missili e difesa aerea.
  2. Più guerra ibrida sui nodi logistici. Porti, hub ferroviari, scali e supply chain sensibili saranno bersaglio privilegiato: gli avvisi congiunti del 2025 non sono allarmi astratti.
  3. Un test per la coesione NATO. Se Londra resta l’avanguardia militare e intel, altri dovranno compensare con industria, munizionamento e difesa civile. La coalizione dei droni – con 18‑20 Paesi coinvolti e €4,5 miliardi in due anni – è un prototipo di burden sharing più flessibile.

Oltre il rumore: che cosa conta davvero

  1. Le accuse russe a Londra di complotti e sabotaggi vanno lette come parte di una strategia coerente: spostare l’attenzione dal fronte, screditare i successi ucraini attribuendoli a “mani straniere”, intimidire gli alleati più esposti. Il pattern si ripete: Nord Stream, Sebastopoli, piloti. Finora, prove conclusive non ne sono emerse.
  2. Il Regno Unito, dal canto suo, ha scelto un profilo di leadership visibile: prima sull’addestramento, poi sulle armi a lungo raggio, quindi sui droni e sul cyber. Questa visibilità lo rende il bersaglio naturale della propaganda russa, ma anche un attore capace di “aprire strada” agli altri.
  3. I sondaggi russi che oggi mettono Londra ai primi posti tra i “nemici” sono un termometro utile, non un destino. La percezione può cambiare, soprattutto se l’informazione interna cambia ritmo. Per ora, viaggia su binari imposti dal potere.

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