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Esteri
17 Novembre 2025 - 06:00
Il porto di Anversa
C’è nebbia sul fiume Schelda e il porto di Anversa sembra ancora addormentato. Due uomini, cappuccio tirato sulla fronte, aspettano appoggiati a una barriera di metallo. Fingono di fumare, in realtà guardano i container che scorrono lenti sulle gru, uno dopo l’altro, come fossero banali scatole di metallo. Uno ride sottovoce: «Stasera entra, tranquillo. Se paghi bene, il container passa. Qui funziona così». Poco più in là, un doganiere con il giubbotto antiproiettile osserva lo stesso spettacolo con occhi diversi: per lui, dietro quel metallo ci sono chili di cocaina, minacce, colleghi sotto scorta, giudici che vivono nascosti, un Paese che un magistrato definisce ormai «sul punto di diventare uno Stato narco».
Benvenuti in Belgio, nel cuore dell’Europa, dove il porto di Anversa è diventato la porta principale della cocaina verso il continente. Qui non siamo a Medellín né a Sinaloa, ma i numeri fanno impressione: nel solo 2023, le autorità belghe hanno sequestrato 116 tonnellate di cocaina nel porto di Anversa, un record storico, in crescita rispetto alle 110 tonnellate del 2022 e con un trend che, dal 2016, è una sola salita continua. Dietro queste cifre ci sono container partiti da Colombia, Ecuador, Panama, Brasile, carichi di banane, caffè o pellami, che in realtà nascondono pacchi pressati di polvere bianca. E dietro quei container ci sono cartelli sudamericani – Clan del Golfo, La Cordillera – che, secondo le inchieste, hanno deciso di spostare il baricentro europeo del loro business proprio qui, ad Anversa, superando Rotterdam come principale porta d’ingresso.

Il mercato interno fotografa un’altra parte della storia. Nel 2023, secondo una stima della Banca Nazionale del Belgio, i belgi hanno speso 1,2 miliardi di euro in droghe illegali, quasi il doppio delle stime precedenti. Una cifra che, da sola, racconta due cose: la domanda è esplosa e quella che un tempo era considerata una nicchia criminale oggi è un pilastro silenzioso dell’economia sommersa. In un Paese di undici milioni di abitanti, muovere miliardi in cocaina significa muovere anche potere, corruzione, violenza. È questo che fa dire a un giudice istruttore di Anversa, in una lettera aperta al Parlamento diffusa a fine ottobre 2025, che il Belgio «si sta trasformando in uno Stato narco», con un’«economia illegale, corruzione pervasiva e violenza rampante» che stanno erodendo le fondamenta dello Stato di diritto.
I due tizi appoggiati alla barriera, quella mattina nel porto, non hanno bisogno di leggere i rapporti europei per capire come tira il vento. Sanno che ad Anversa un container “giusto” può valere milioni e che, per farlo uscire indisturbato, certi clan sono pronti a pagare fino a 100.000 euro a chi lavora tra banchine, magazzini e dogane. Sanno che il confine tra lavoro portuale e complicità criminale è diventato una linea molto sottile. E sanno anche che, se qualcosa va storto, non si limitano più alle minacce: negli ultimi anni il porto ha visto esplodere granate, incendi sospetti, agguati. I sindacati dei portuali, in una denuncia che sembra arrivare da un’altra latitudine, avvertono che «prima o poi ci scapperà il morto» tra chi maneggia container e chi prova a fermare quei carichi.
Dietro la facciata ordinata di un Paese che ospita istituzioni europee e quartier generali della Nato, il Belgio sta combattendo una guerra a bassa intensità contro reti criminali sempre più strutturate. La più nota, quella che ha fatto scuola tra Amsterdam e Anversa, è la cosiddetta Mocro Maffia, rete di clan legati all’emigrazione marocchina che gestiscono, insieme ai cartelli latinoamericani, una fetta importante del traffico di cocaina. In un quartiere come Borgerhout, a due passi dal porto, il nome del boss Othman El Ballouti è diventato quasi leggenda: nato da una famiglia originaria del Rif, salito sulle gru del porto da ragazzino, accusato di aver messo in piedi un impero da centinaia di milioni di euro e di aver trasformato la sua banda in una macchina logistica perfetta per importare cocaina. Le procure belghe lo descrivono come uno dei grandi baroni del narcotraffico: condannato in contumacia a sette anni per l’importazione di 840 chili di cocaina dall’Ecuador, oggi è sotto processo per un giro da 11 tonnellate di droga e rischia fino a vent’anni di carcere.
La storia di El Ballouti è il simbolo di come si sono evolute le mafie del nord Europa: nuove generazioni cresciute nei quartieri popolari delle città portuali, con un piede nella cultura urbana e l’altro nei legami familiari con il Maghreb, capaci di dialogare da pari a pari con i cartelli colombiani e di usare la tecnologia – criptotelefonia, sistemi di messaggistica blindati, “logistica just in time” – per far viaggiare cocaina come se fosse una merce qualsiasi. Quando, nel marzo 2021, le autorità belghe e francesi sono riuscite a bucare il sistema di telefoni criptati Sky ECC, si sono trovate davanti a un fiume di oltre un miliardo di messaggi che raccontavano in tempo reale la vita segreta del porto: container da “ripulire”, doganieri da avvicinare, giudici e ministri da minacciare.
Da quella gigantesca operazione, definita “il colpo più duro mai inferto alla criminalità organizzata in Belgio”, è nato un processo-monstre: oltre 120 imputati tra belgi, albanesi, colombiani e nordafricani accusati di aver fatto del Belgio il crocevia di un’industria della droga che distribuiva cocaina e cannabis in tutta Europa, condannati complessivamente a più di 700 anni di carcere. È la fotografia dello “Stato parallelo” che si muove sotto la superficie: i messaggi intercettati raccontano di carichi che valono decine di milioni, di soldi riciclati in immobili, ristoranti, società di comodo tra Belgio, Spagna, Albania, Kosovo. Le stesse rotte che portano la cocaina a Bruxelles, spesso, finanziano anche traffici di armi, sfruttamento, tratta di esseri umani.
Ma la Mocro Maffia non è l’unico attore. Nei dossier di polizia compaiono i nomi che in Italia conosciamo fin troppo bene: clan collegati alla ’ndrangheta calabrese, radicati nella regione del Limburgo e collegati logisticamente al porto di Anversa, interessati soprattutto all’ingrosso di cocaina e al riciclaggio. Accanto a loro, reti criminali albanesi, descritte dai rapporti come gruppi con un quasi-monopolio in alcuni segmenti del traffico di armi e di droga a Bruxelles, e poi organizzazioni turche, romene, nigeriane, bulgare. Il Belgio è diventato, in altre parole, un coworking criminale: un ecosistema dove mafie tradizionali, nuove gang urbane e cartelli stranieri cooperano, si scontrano, si dividono le quote di un mercato in crescita.
E mentre loro fanno affari, Bruxelles – non quella delle istituzioni, ma quella dei quartieri popolari – paga il conto. Il 9 gennaio 2023, nel quartiere di Merksem, un’undicenne viene uccisa da colpi d’arma da fuoco durante un regolamento di conti legato alla droga. Lo stesso ministro della Giustizia dell’epoca, Vincent Van Quickenborne, è stato costretto a vivere per settimane in un luogo segreto dopo che, il 26–27 settembre 2022, la polizia ha sventato un piano di rapimento organizzato da una rete criminale legata al narcotraffico. Esplosioni, colpi di arma da fuoco, intimidazioni: micro-esplosioni davanti alle case, auto incendiate, granate lanciate contro portoni di edifici rivali. È la quotidianità di Anversa.

Se l’immagine del “narco-Stato” sembra forte, è lo stesso apparato giudiziario belga a evocarla. A fine ottobre 2025, una giudice istruttrice di Anversa ha scritto un appello disperato al Parlamento denunciando «un’economia illegale che corrode le istituzioni, corruzione dentro i porti, le dogane, la polizia e persino la magistratura», chiedendo misure drastiche: anonimato per i giudici, maggiore protezione, controllo più severo sulle comunicazioni dei detenuti di alto profilo. Anche l’agenzia nazionale delle statistiche e la banca centrale indicano che l’economia criminale, trainata soprattutto dai proventi della droga, è ormai una componente non trascurabile del quadro macroeconomico nazionale.
Nel frattempo, le aule di tribunale si riempiono. Oltre ai processi nati da Sky ECC e alle indagini sulla Mocro Maffia, il Belgio celebra un maxi-processo contro un presunto “re della cocaina” di casa propria, Flor Bressers, 39 anni. Secondo l’accusa, Bressers avrebbe guidato, insieme al brasiliano Sérgio Roberto de Carvalho, una rete che – con circa dieci spedizioni – avrebbe generato profitti per 500 milioni di euro, utilizzando il porto di Anversa come hub e una rete di società di facciata e professionisti insospettabili, tra cui un ex banchiere londinese e un avvocato olandese. Il processo si svolge nel vecchio quartier generale della Nato a Bruxelles, trasformato in tribunale blindato.
Le indagini non risparmiano nemmeno il calcio: l’ex stella della Champions Radja Nainggolan è stata coinvolta in un’inchiesta sul traffico di cocaina via Anversa, mostrando come i tentacoli di questo sistema possano arrivare anche a personaggi noti e insospettabili. La coca scorre ovunque: quartieri di periferia, porti, palestre, night club, professionisti, calciatori.
Eppure, a guardare il quadro complessivo, non si tratta solo di Belgio. L’Osservatorio europeo delle droghe, nel suo rapporto 2023–2024, segnala che il mercato europeo della cocaina è ai massimi storici, con una disponibilità senza precedenti e un numero crescente di nuove sostanze psicoattive. Ma è sul territorio belga che questa marea si infrange con maggiore violenza: posizione geografica strategica, infrastrutture portuali immense, capacità limitata di ispezionare più di una piccola quota dei container che arrivano ogni giorno, frammentazione delle forze di polizia e dei livelli di governo. Anversa, Rotterdam, Zeebrugge: tra Belgio e Paesi Bassi si gioca la partita per il controllo della “porta d’Europa”.
Il governo di Bruxelles prova a reagire. Dopo l’ondata di violenza e le denunce dei magistrati, la ministra della Giustizia Annelies Verlinden, tra 2023 e 2024, ha promesso più risorse per la magistratura e le forze dell’ordine, più protezione per i giudici minacciati, maggiori investimenti in scanner e controlli nei porti, e una riforma che unifichi le sei zone di polizia della capitale in un unico corpo. Allo stesso tempo, il capo delle dogane Kristian Vanderwaeren ha chiesto più volte, tra 2022 e 2024, di «bruciare la cocaina più in fretta», perché la lentezza nella distruzione dei carichi confiscati aumenta il rischio che le bande tentino di recuperarli con assalti violenti agli impianti di stoccaggio. La catena del valore della droga intanto si reinventa: oggi esistono laboratori attivi in Spagna, Paesi Bassi e Belgio, dove è facile reperire precursori chimici.
E così, mentre le istituzioni cercano di tenere il passo, la domanda interna continua a crescere. I 1,2 miliardi spesi in droga dai belgi nel 2023 significano consumatori sempre più giovani, policonsumo, sostanze più potenti e miscelate. Significa che ogni tonnellata sequestrata nel porto è solo una parte di quello che entra davvero. Quando si parla di “narco-Stato”, non si immagina un governo controllato dai cartelli, ma uno Stato che rischia di vedere pezzi cruciali della propria sovranità condizionati da organizzazioni capaci di muovere, a livello europeo, profitti illeciti stimati in 139 miliardi di euro l’anno.
Torniamo allora a quei due uomini al porto di Anversa. Il turno di notte sta finendo, le gru si fermano, la nebbia si è alzata e in lontananza si vedono le luci della città. Uno controlla il cellulare criptato, l’altro guarda il gate di uscita: se il container “giusto” è passato, stasera la cassa è salva e qualcuno, dall’altra parte dell’oceano, sarà soddisfatto. A pochi chilometri, in una casa protetta, a fine ottobre 2025, un giudice scrive che «ovunque guardiamo vediamo tracce della droga, nella politica, nella giustizia, nell’economia» e chiede l’ennesimo piano di emergenza.
In mezzo, tra la banchina e la toga, c’è un Paese che deve decidere se accettare che il porto che fa girare la sua economia diventi anche il cuore nero di una nuova economia mafiosa. Il Belgio non è ancora uno “Stato-mafia”, ma le coordinate sono tracciate. E ogni container che entra o esce da Anversa, ogni telefonino criptato acceso in un vicolo di Borgerhout, ogni carico che sfugge allo scanner sposta un po’ più avanti quella linea che separa lo Stato di diritto da qualcosa di molto diverso.
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