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Città del Messico, la protesta che scuote il Paese: la Generazione Z sfida il Palacio Nacional

Scontri, feriti e arresti nel cuore della capitale dopo l’omicidio del sindaco Manzo: un’ondata giovanile e multicittadina chiede sicurezza, giustizia e trasparenza mentre la presidente Sheinbaum affronta il primo vero stress test del suo mandato

Città del Messico, la protesta che scuote il Paese: la Generazione Z sfida il Palacio Nacional

Città del Messico, la protesta che scuote il Paese: la Generazione Z sfida il Palacio Nacional (Tg5)

Città del Messico. Mentre il sole scivola dietro le cupole del Centro Histórico e la luce si dissolve fra le facciate coloniali, il rumore che improvvisamente sovrasta il brusio della piazza non è quello dei clacson o dei venditori ambulanti, ma il clangore secco dei martelli sulle barriere. Davanti al Palacio Nacional, sede della Presidenza, un gruppo di giovani incappucciati comincia a colpire con decisione le vallas di metallo posizionate per proteggere l’edificio. Le recinzioni oscillano, cedono, si piegano sotto i colpi; la polizia antisommossa risponde avanzando con i gas lacrimogeni e gli estintori. Bastano pochi minuti perché il corteo della “Generazione Z” — partito in modo composto dall’Ángel de la Independencia — si trasformi in una mischia confusa: venti arresti, una ventina di civili feriti, almeno cento agenti contusi, quaranta dei quali trasferiti in ospedale in condizioni non critiche. È la fotografia ufficiale di una giornata destinata a pesare sulla stagione politica del Paese, un’immagine che resta impressa ben oltre il frastuono del metallo a terra.

Secondo la Secretaría de Seguridad Ciudadana della capitale, la manifestazione indetta dal movimento che si riconosce nel marchio “Generación Z México” ha attraversato l’arteria che unisce l’Ángel al Zócalo con migliaia di partecipanti. La marcia, nata con un tono pacifico, si è incrinata all’altezza del perimetro del Palacio Nacional, quando un nucleo identificato da diverse testate come il blocco nero ha iniziato a smantellare le recinzioni e a lanciare oggetti verso la linea degli agenti. La reazione è stata immediata: gas lacrimogeni per disperdere la folla, scudi che avanzano, estintori azionati, pietre e bottiglie che volano, cortine di fumo che inglobano la piazza. Le autorità municipali sottolineano che gli scontri sono avvenuti al termine del percorso autorizzato, una volta raggiunto il Zócalo, e che la scintilla è stata il tentativo di abbattere le barriere davanti alla sede dell’Esecutivo. Nel bilancio si registrano venti civili feriti, per lo più con lesioni lievi soccorse dall’ERUM, cento poliziotti contusi o feriti, quaranta dei quali ricoverati senza rischi per la vita, oltre ai venti arrestati e ai venti fermati per infrazioni amministrative.

Il corteo non era composto soltanto da ventenni: studenti, lavoratori della sanità, attivisti politici, militanti dell’opposizione e cittadini comuni si sono mescolati lungo la marcia. Nonostante la varietà dei profili, il marchio generazionale è apparso evidente nelle iconografie portate in strada, come le bandiere dei pirati di One Piece sventolate da gruppi di giovanissimi. La chiamata alla mobilitazione, diffusa rapidamente sui social, ha attivato decine di città del Paese e ha trovato eco anche all’estero, in comunità messicane sparse tra Stati Uniti, Canada, Paesi Bassi e Germania, con alcune cronache che parlano di cinquantadue città coinvolte. Al centro delle rivendicazioni, la denuncia di violenza, corruzione e impunità, un trittico che racchiude la percezione di istituzioni incapaci di garantire sicurezza e giustizia. Il movimento, che si dichiara apartitico e intergenerazionale, rivendica una guida giovane, cresciuta fra precarietà, smarrimento e distanza dai codici tradizionali della politica.

La scintilla che ha fatto esplodere la protesta è l’omicidio del sindaco di Uruapan, Carlos Alberto Manzo Rodríguez, assassinato durante le celebrazioni del Día de Muertos il 1º novembre 2025. Figura nota per le posizioni contro le organizzazioni criminali di Michoacán, aveva chiesto più volte maggiore protezione, senza ottenerla. La sua morte è diventata un simbolo doloroso della vulnerabilità delle istituzioni locali e il suo nome ha risuonato più volte nei cortei. Secondo il segretario alla Sicurezza di Città del Messico, Pablo Vázquez Camacho, gli agenti coinvolti negli scontri sono circa cento e quaranta di loro sono stati trasferiti in ospedale; il funzionario ha definito le condizioni “non critiche”. Una ventina di civili ha richiesto assistenza medica sul posto o è stata accompagnata per accertamenti, con contusioni e irritazioni da gas come ferite più ricorrenti. Venti sono stati gli arresti, altri venti i deferimenti amministrativi, con accuse che spaziano dalle lesioni al danneggiamento, fino al furto.

Nella conferenza stampa successiva, Pablo Vázquez ha sottolineato che l’intervento delle forze dell’ordine è stato motivato dal tentativo di alcuni manifestanti di sfondare le barriere del Palacio Nacional, creando una minaccia concreta alla sicurezza dell’edificio e degli agenti. La strategia di contenimento, ha spiegato, ha previsto l’uso di lacrimogeni, arresti mirati e il rapido trasferimento degli agenti feriti. Dall’altro lato della barricata, cronisti e attivisti denunciano episodi di uso eccessivo della forza, segnalando agenti che avrebbero lanciato pietre e colpito manifestanti, e riferendo che almeno un giornalista sarebbe rimasto ferito negli scontri. Le autorità non hanno confermato queste accuse, che restano oggetto di verifiche. La presidente Claudia Sheinbaum ha condannato la violenza e, secondo diverse ricostruzioni, ha attribuito alla destra e a reti di bot il ruolo di amplificatori o manipolatori della protesta. Gli organizzatori respingono le accuse e rivendicano un’identità civica, non partitica. Endorsement, prese di distanza e commenti da parte di figure pubbliche — ex leader politici, imprenditori, opinionisti — testimoniano che il tema si sta radicando nel dibattito nazionale.

Il quadro organizzativo della “Generación Z México” rimane fluido: pagine social, chat e hashtag agiscono da cerniere di mobilitazione decentrata, mentre assemblee spontanee e messaggi condivisi fissano gli obiettivi immediati. Le rivendicazioni ruotano intorno alla richiesta di una strategia di sicurezza più incisiva, alla lotta contro corruzione e impunità e all’esigenza di una maggiore trasparenza amministrativa. La partecipazione dei giovani, dagli studenti ai rider, si intreccia con quella di famiglie e professionisti che vivono quotidianamente la minaccia della violenza. La Generazione Z messicana, cresciuta nell’ecosistema degli smartphone e della comunicazione istantanea, porta in piazza repertori ibridi che vanno dall’estetica pop all’uso di meme politici, fino alle tecniche di autodifesa mutuate da altre proteste globali.

Le autorità della capitale ricordano che fino alla settimana precedente il clima era apparso gestibile: l’8 novembre 2025, un comunicato congiunto della SECGOB e della SSC riportava una marcia con trecento persone e saldo bianco lungo un percorso simile. La svolta del 15 novembre mostra non solo una partecipazione molto più ampia, ma anche un contesto emotivo radicalmente mutato dopo l’assassinio di Carlos Manzo. Città del Messico, pur abituata alle grandi mobilitazioni, si trova così a fronteggiare numeri che richiedono protocolli rivisti, messaggi calibrati e una presenza di ordine pubblico più flessibile.

Quel giorno non si è consumato solo nella capitale. Anche città come Guadalajara hanno registrato tensioni, con arresti e feriti. Il mosaico nazionale conferma che l’onda Z è una mobilitazione multicittadina, con esiti differenti a seconda dei contesti: in alcuni luoghi è rimasta pacifica, in altri ha sfiorato o superato la soglia della violenza. L’impressione è quella di un fenomeno capillare e solo in parte prevedibile, difficile da incasellare nelle categorie tradizionali delle proteste sociali.

Le parole che ricorrono nelle piazze — sicurezza, corruzione, impunità — definiscono la grammatica minima del malcontento. La domanda che risuona sulla sicurezza è diretta: perché, dopo anni di strategie differenti, vaste aree del Paese continuano a essere esposte a estorsioni, sequestri e omicidi mirati? Sul fronte della corruzione, il reclamo riguarda appalti opachi, collusioni e un sistema di clientele che, nella percezione dei manifestanti, sottrae risorse ai servizi e alla tutela della popolazione. L’impunità, infine, indica la lentezza del sistema giudiziario, i tassi di archiviazione e la difficoltà di portare a giudizio crimini che minano la fiducia collettiva. Queste parole, trasformate in slogan nelle piazze, rappresentano nelle istituzioni un’agenda di riforme che non può essere affrontata solo con comunicati.

Il ruolo dei social ha amplificato ogni fase della protesta: video brevi, dirette, stories hanno creato una cronaca parallela dove emozioni, narrazioni e accuse si diffondono alla velocità degli algoritmi. È il terreno su cui si intrecciano mobilitazione dal basso e contro-narrazioni che evocano manipolazioni, bot e interferenze politiche. Per orientarsi resta fondamentale l’incrocio delle fonti, la verifica delle testimonianze e la cautela verso contenuti decontestualizzati.

Gestire una piazza giovane significa affrontare sfide particolari: offrire spazi di ascolto credibili, applicare protocolli di de-escalation, calibrare l’uso della forza, tutelare stampa e soccorritori. Nel caso di Città del Messico la catena di comando ha funzionato nella comunicazione dei dati e nel conteggio dei feriti, ma resta aperto il nodo della fiducia. Registrare i fatti non basta se non viene garantito un canale reale per le denunce, i risarcimenti e soprattutto un piano concreto per affrontare le ragioni che hanno portato migliaia di persone in strada.

La presidente Claudia Sheinbaum, che mantiene tassi di approvazione elevati secondo vari sondaggi citati dalla stampa internazionale, affronta ora un primo stress test per il nuovo corso federale. Nelle prossime settimane la misura non saranno gli slogan, ma la capacità dell’Esecutivo di dialogare con gli organizzatori, migliorare il coordinamento sulla sicurezza, garantire indagini sugli scontri, sanzionare eventuali abusi e proporre misure verificabili contro corruzione e impunità. La posta in gioco riguarda non solo l’ordine pubblico, ma la qualità della democrazia: una generazione che si sente esclusa chiede di essere ascoltata e inclusa nei processi decisionali. La risposta istituzionale potrà determinare se la giornata del 15 novembre diventerà l’inizio di un confronto costruttivo o il preludio a un ciclo di conflittualità.

In una capitale abituata a grandi mobilitazioni che spesso si concludono senza incidenti, il mutato clima nazionale e l’omicidio di un sindaco in carica hanno eroso l’ultima riserva di fiducia. Quando la distanza fra aspettative e realtà si allarga, basta una barriera divelta, un colpo di gas o una manganellata per far precipitare la situazione. Le indagini dovranno ora chiarire violenze, condotte e responsabilità, mentre gli arrestati saranno messi a disposizione del Ministerio Público. Civili e agenti feriti avranno diritto a cure e, se necessario, risarcimenti. La trasparenza dei dati sui feriti e sugli arresti sarà un banco di prova per la credibilità delle istituzioni, che saranno valutate non solo per la gestione dell’ordine pubblico, ma per la volontà di affrontare il malcontento che ha attraversato il Paese.

Per chi osserva dall’Europa, la cronaca degli scontri può sembrare lontana, ma non lo è. Il Messico è la seconda economia dell’America Latina, partner strategico degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, e la sua stabilità influenza filiere produttive, migrazioni e sicurezza regionale. La “questione Generazione Z” parla un linguaggio globale: in ogni democrazia complessa, l’ingresso dei giovani nello spazio pubblico richiede istituzioni capaci di adattarsi, innovare e includere. Nel Messico del 2025 quella domanda ha bussato, rumorosamente, al portone del potere. Se nei prossimi mesi prevarranno ascolto e responsabilità, la giornata del 15 novembre potrà diventare un punto di svolta; se a dominare saranno veti e semplificazioni, il clangore delle barriere abbattute potrebbe tornare a risuonare nel centro della capitale.

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