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Imagine a Caracas, Maduro canta Lennon e accusa gli Usa: “Vogliono bombardarci”

Il presidente venezuelano intona il brano di John Lennon in un evento pubblico mentre, tra appelli alla pace e richiami alla fede cristiana, denuncia una presunta minaccia militare da Washington e rilancia la mobilitazione permanente del Paese

Imagine a Caracas, Maduro canta Lennon e accusa gli Usa: “Vogliono bombardarci”

Maduro

“Imagine” risuona a Caracas e diventa l’ennesima tessera di una comunicazione politica che mescola appelli alla pace, denuncia di minacce esterne e una strategia di mobilitazione permanente. Sul palco all’aperto, tra bandiere che ondeggiano e mani alzate a formare il segno della pace, Nicolás Maduro intona alcuni versi del brano di John Lennon, invita i giovani a cercarne il testo e lo proclama “inno per tutte le epoche”. Una scena che spicca per la sua evidente contraddizione: un presidente che canta un’utopia senza confini mentre, nello stesso momento, accusa gli Stati Uniti di voler “bombardare e invadere” il Venezuela e richiama il Paese alla vigilanza continua. L’immagine, curata nei dettagli, è chiaramente destinata ai social e, più in generale, a un pubblico internazionale.

L’intervento si è svolto a Caracas il 16 novembre 2025, in un’iniziativa pubblica di grande partecipazione. Tra sorrisi, cori e mani a V, Maduro ha ribadito l’invito a “fare tutto per la pace”, definendo “Imagine” un canto universale, salvo poi tornare nel vivo della narrativa governativa sulle presunte intenzioni statunitensi di lanciare un’offensiva. Le testate latinoamericane che hanno ripreso la cronaca dell’agenzia EFE hanno ricostruito in sequenza il micro–concerto, l’arringa sulla minaccia dall’esterno, l’appello alla pace “in nome di Dio” e, ancora una volta, la descrizione del brano come patrimonio dell’umanità. In questo quadro, la frase secondo cui Washington “pretende bombardare e invadere” un “pueblo cristiano” si inserisce come tassello simbolico, legato a una visione che intreccia fede, identità e geopolitica.

Non è un episodio isolato. L’esibizione avviene mentre il governo venezuelano dichiara la “movilización permanente” in sei stati orientali – Bolívar, Delta Amacuro, Monagas, Anzoátegui, Nueva Esparta, Sucre – in risposta alla ripresa di esercitazioni congiunte tra gli Stati Uniti e la Forza di Difesa di Trinidad e Tobago. Nel suo discorso, Maduro ha invocato una presenza costante dei cittadini nello spazio pubblico e una “fusione popolare–militare–poliziesca”, accusando Port of Spain di aver concesso le proprie acque a manovre “irresponsabili”. Al centro di questa architettura di mobilitazione ci sono i Comités Bolivarianos de Base Integral (CBBI), strutture presentate come la trama civica di un controllo capillare del territorio. Dentro questo scenario, l’uso di “Imagine” diventa una leva emotiva: un simbolo globale riletto per rafforzare il racconto di una nazione minacciata ma unita.

Nella voce del presidente, il testo di Lennon esce come strumento di legittimazione politica. Il messaggio interno chiede disciplina, coesione e sorveglianza continua; quello esterno cerca di presentare Caracas come vittima designata di un’aggressione imminente. È una comunicazione che sa di calcolo, capace di prendere un riferimento pop condiviso in ogni latitudine e piegarlo a un discorso identitario. In questo, l’apparizione canora diventa funzionale: un frammento narrativo semplice, immediato, facilmente condivisibile.

La tensione con Washington fa da sfondo costante. Negli ultimi mesi, secondo Reuters, Maduro ha definito “aggressioni” diverse operazioni statunitensi nel sud dei Caraibi, dalle missioni anti–narcos agli incidenti con vittime in mare, legandole a una pressione politica e militare più ampia. Al di là delle versioni contrapposte, Caracas percepisce le attività statunitensi come una minaccia diretta, mentre Washington le presenta come iniziative contro cartelli e reti criminali. In questo contesto di scambi infuocati e sospetti reciproci, anche un gesto musicale acquisisce una valenza strategica.

La macchina comunicativa venezuelana, intanto, evolve. Nelle ultime settimane, come riportato da The Washington Post, la campagna “Yo Me Alisto” ha arruolato avatar generati con intelligenza artificiale di figure storiche venezuelane per esortare i cittadini alla mobilitazione, mescolando memoria nazionale, tecnologia e propaganda. Video, messaggi, dirette e apparizioni digitali di eroi e icone religiose compongono un mosaico retorico in cui la difesa della patria viene trasformata in un’esperienza immersiva e continua, calibrata sugli algoritmi delle piattaforme.

Dentro questo quadro, Maduro insiste sui tre pilastri del suo discorso: pace, fede, patria. La “pace” come valore non negoziabile, la fede cristiana come identità da difendere e la patria come spazio sotto attacco. L’enfasi sul “pueblo cristiano” – accostata alla minaccia di un’invasione – mira a costruire un racconto che valica la politica tradizionale e si spinge nel terreno simbolico, parlando ai settori più popolari del chavismo e intercettando sensibilità radicate in larga parte dell’America Latina.

L’opposizione, dal canto suo, prova a riportare il dibattito su un piano civile e disarmato. Sui social circolano messaggi di esponenti antichavisti che invitano ad “abbassare le armi”, cercando di scalfire la narrativa della mobilitazione permanente. Ma la loro capacità di incidere appare limitata, complice un margine d’azione politico ridotto e un clima segnato da pressioni e denunce, come quelle che hanno coinvolto la leader María Corina Machado a inizio 2025. Sul fronte internazionale, resta il botta e risposta tra sanzioni statunitensi, accuse venezuelane di guerra economica e le contro–narrazioni di Caracas su corruzione e narcotraffico.

Al cuore del gesto resta l’uso di una canzone nata per immaginare un mondo senza nazioni e senza guerre. Nel contesto venezuelano, “Imagine” diventa la colonna sonora di una mobilitazione patriottica: un rovesciamento semantico che rivela la volontà del governo di catturare un simbolo globale e riformularlo secondo la propria agenda. La scelta di Maduro di citare il brano mentre accusa gli Stati Uniti di voler invadere il Paese sintetizza l’operazione comunicativa: elevare un messaggio politico a immagine virale, destinata a durare oltre il tempo dell’evento stesso.

La cronaca dell’episodio – avvenuto tra il 15 e il 16 novembre 2025, con una larga partecipazione militante – si intreccia così con la crescita delle tensioni nel sud dei Caraibi, con la proclamazione della mobilitazione permanente e con la retorica di una minaccia sempre incombente. Le accuse agli Stati Uniti, la denuncia delle esercitazioni navali congiunte, l’evocazione della “vigilia permanente” e l’uso massiccio di strumenti digitali rivelano un mosaico coerente, nel quale ogni tassello contribuisce a costruire l’immagine di un Paese assediato ma pronto a difendersi.

La scena di Caracas, con il presidente che canta “Imagine”, rimarrà come un’istantanea destinata a imprimersi nell’immaginario collettivo. Da un lato c’è il tentativo di presentarsi come garante della pace; dall’altro, la volontà di ancorare questo gesto a una narrativa di minaccia esterna e mobilitazione interna. In mezzo c’è la politica, che continuerà a misurarsi sui fatti: sull’evoluzione delle operazioni nel Caribe, sulla tenuta della mobilitazione invocata dal governo, sulle risposte delle capitali regionali e sui margini, ancora incerti, per evitare una nuova escalation. Nel frattempo, “Imagine” continua a risuonare: per alcuni, promessa di un mondo libero da confini; per altri, la colonna sonora di una campagna di potere. A fare da contrappunto, un Paese che si prepara a confrontarsi con la realtà, molto più ruvida delle canzoni condivise sui social.

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