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15 Novembre 2025 - 17:53
Dazi alimentari, dietrofront alla Casa Bianca: via le tariffe su caffè, tè, banane e perfino manzo. Ecco cosa cambia davvero
Una moka borbotta in una cucina del Midwest, mentre il profumo del caffè sale dal beccuccio come un segnale quasi politico. Sul pacco di caffè importato compare un prezzo di listino che, per la prima volta da mesi, non incorpora la sovrattassa della tariffa reciproca. Non è una scena da manuale di economia, ma l’effetto domestico – e immediato – di un atto firmato alla Casa Bianca. Il 14 novembre 2025 il presidente Donald Trump ha disposto, con effetto retroattivo al giorno precedente, l’esenzione dai dazi e dalle sovrattasse su una lunga lista di prodotti alimentari. Sulle tabelle non compaiono soltanto tropicali “esotici” come banane, ananas e guava, o spezie come cannella e zafferano: in mezzo c’è anche la carne bovina, simbolo dell’America rurale che di solito chiede protezione, non apertura ai mercati. La domanda ora è una sola: cosa cambia davvero per i prezzi, per le filiere e per un mosaico già complesso di relazioni commerciali?
L’atto, intitolato “Modifying the Scope of the Reciprocal Tariff with Respect to Certain Agricultural Products”, interviene sull’architettura della tariffa reciproca, il dazio di base al 10% su tutte le importazioni introdotto nell’aprile 2025 e modulabile verso l’alto a seconda del comportamento dei partner commerciali. Con una mossa che la stessa Casa Bianca definisce “tecnica”, sono state escluse categorie e sottovoci di prodotti agricoli e alimentari che gli Stati Uniti non producono in quantità sufficienti o la cui tassazione risulta controproducente per i negoziati. La scheda diffusa dall’Ufficio Stampa della Casa Bianca dettaglia che dal 13 novembre non rientrano più nella tariffazione reciproca caffè, tè, cacao, spezie, frutti tropicali, succhi, banane, arance, pomodori e carne bovina, oltre a ulteriori fertilizzanti. Le note tecniche spiegano che questi beni sono stati spostati nell’“Annex II” dell’ordine originario, il 14257 del 2 aprile, e in alcuni casi rimossi dalla lista PTAAP che segnalava potenziali aggiustamenti futuri. La retroattività non è un dettaglio: tutti i lotti entrati per il consumo dal 13 novembre possono ottenere rimborso dei dazi già pagati, secondo le procedure ordinarie.
Le stime delle testate americane oscillano dal centinaio di voci alle oltre duecento classificazioni doganali coinvolte. Si tratta di centinaia di codici HTS che coprono una gamma fatta di peperoni, pomodori freschi o trasformati, vaniglia, frutta secca di nicchia, fino ai tagli più pregiati di manzo, freschi, congelati, salati o affumicati. La scelta dell’Amministrazione non è solo amministrativa, ma strategica: nella narrazione ufficiale, il taglio deriva da raccomandazioni tecniche delle agenzie federali, da progressi in negoziati con paesi come Ecuador, Guatemala, El Salvador e Argentina, e dal tentativo di contenere i prezzi al consumo in un autunno segnato da dibattiti accesi sul costo della spesa. Politicamente, l’atto arriva a ridosso di consultazioni locali dove la questione dell’affordability ha pesato più del previsto e segue altre mosse di flessibilità sulla guerra dei dazi, come la sospensione degli incrementi contro la Cina annunciata l’11 agosto.
Se caffè e tè rappresentano casi non controversi – gli Stati Uniti non li coltivano su scala sufficiente – diverso è il discorso per pomodori e manzo, dove l’Amministrazione ha scelto una strada meno ideologica e più macroeconomica. Carni, ortofrutta e spezie hanno mostrato negli ultimi mesi variazioni di prezzo sensibili, complici annate produttive incerte e costi logistici elevati, e la tariffa reciproca al 10% ha aggiunto ulteriore pressione. Alcune analisi ricordano che i prezzi alimentari sono cresciuti più dell’inflazione generale, nonostante un raffreddamento dell’indice headline. La rimozione della sovrattassa su fertilizzanti e input minori come semi e spezie utilizzati nelle trasformazioni alimentari mira inoltre a ridurre costi intermedi in comparti dove i margini sono già sottilissimi.
Nulla, però, è stato azzerato del tutto. La tariffa reciproca scompare su alcune voci, ma restano pienamente operative le misure specifiche introdotte in dossier separati. Il caso più evidente riguarda i pomodori provenienti dal Messico: dopo la fine, nel luglio 2025, di un accordo pluriennale, gli Stati Uniti hanno reintrodotto un dazio specifico del 17% che non viene toccato da questa decisione. In pratica, il pomodoro messicano perde sì il 10% della tariffa reciproca, ma continua a pagare il 17% di dazio, mantenendo il prezzo sensibilmente più alto rispetto allo scenario preconflittuale. È un dettaglio tecnico che, però, fa la differenza per consumatori e importatori.

L’effetto retroattivo dell’ordine esecutivo rappresenta un vantaggio immediato per le catene della grande distribuzione, per i torrefattori e per gli operatori più esposti alle fluttuazioni dei costi d’ingresso. Gli stock già sdoganati dal 13 novembre possono essere ricalcolati a costi inferiori, aprendo margini per riduzioni di prezzo o promozioni nelle settimane successive. Per filiere più complesse, come quella della carne bovina, la trasmissione del beneficio sarà più graduale, perché vincolata a contratti, tempi di sdoganamento e lavorazioni. Le promesse politiche parlano di tagli sensibili: membri dell’esecutivo evocano un calo del prezzo del caffè fino al 20% nel corso dell’anno. È un obiettivo ambizioso, raggiungibile forse sui segmenti più esposti alla concorrenza internazionale e alle catene corte, come alcune capsule premium, ma meno immediato per prodotti con ampio valore aggiunto domestico. Molto dipenderà dalla concorrenza tra retailer e dalla capacità delle filiere di trasferire rapidamente il risparmio.
Sul piano politico, la decisione appare come un primo aggiustamento della dottrina della reciprocità applicata in primavera, quando il 10% generalizzato veniva presentato come strumento di riequilibrio radicale. Ora la Casa Bianca mantiene l’impianto, ma lo modula su beni sensibili per l’inflazione alimentare. Il Wall Street Journal sottolinea come l’inclusione del manzo tra gli esenti rappresenti un segnale forte: la priorità, almeno per ora, è contenere l’ascesa dei prezzi per i consumatori più che proteggere segmenti agricoli storicamente influenti sul fronte politico.
Il pacchetto ridisegna anche gli equilibri con alcuni partner esteri. I paesi dell’America Latina citati nei comunicati – Ecuador, Guatemala, El Salvador e Argentina – ottengono aperture in settori dove vantano esportazioni consolidate: banane, frutta tropicale, caffè, carne bovina. Buenos Aires, in particolare, vede nella rimozione del dazio sul bovino un’opportunità simbolica e commerciale. Più articolato il dossier messicano: il beneficio è ridotto proprio dal dazio del 17%, e restano irrisolti nodi di concorrenza con i produttori statunitensi. L’Asia, con la Cina al centro, rimane in un regime di “sospensione controllata” che non viene toccato. Per l’Europa – e per l’Italia in particolare – l’esenzione incrocia interessi concreti: caffè verde lavorato in Italia e re-esportato, spezie, oli essenziali e ingredientistica. Non tutte le voci mediterranee rientrano però nel pacchetto, e alcune restano leve negoziali per futuri round di trattativa.
Gli effetti globali si vedranno sulle dinamiche degli ordini, sugli sdoganamenti e sulla capacità delle dogane statunitensi di processare richieste di rimborso, che rischiano di creare momentanei rallentamenti. Per i produttori domestici, il taglio su manzo, pomodori e frutta tropicale può creare attriti tra chi teme concorrenza estera e chi invece beneficia di fertilizzanti e input meno costosi. La bilancia politica si definirà stato per stato, in base alla specializzazione agricola.
Sul fronte dei prezzi, i prodotti con filiere più semplici potrebbero mostrare cali tra quattro e otto settimane, mentre per le carni e le ortofrutticole contese la trasmissione sarà più lenta. La rimozione della tariffa non risolve gli shock climatici, i costi energetici o le congestioni portuali, ma può attenuare una componente rilevante dell’ascesa dei listini dell’ultimo anno.
La comunicazione della Casa Bianca definisce la mossa un dividendo dei progressi negoziali conseguiti negli ultimi mesi, mentre l’opposizione la interpreta come ammissione implicita che la tariffa generalizzata abbia contribuito più del previsto all’aumento dei prezzi alimentari. La verità, come spesso accade, sta probabilmente a metà: la tariffa ha amplificato una situazione già fragile, ma la sua rimozione su molte voci potrebbe allentare pressioni significative.
La timeline recente aiuta a comprendere come si è arrivati a questo punto. Il 2 aprile 2025 l’Ordine Esecutivo 14257 introduceva la tariffa reciproca come strumento sistemico per correggere squilibri e minacce straordinarie legate ai deficit commerciali. L’11 agosto arrivava la sospensione degli incrementi su Pechino per facilitare i colloqui sul mercato e sulla sicurezza economica. Il 14 novembre, con effetto retroattivo dal giorno prima, l’Amministrazione interviene sulle voci alimentari, pubblicando la scheda tecnica e aggiornando gli allegati tariffari. Per gli operatori italiani della torrefazione e del food processing, questa finestra rappresenta un’opportunità da cogliere rapidamente, verificando voce per voce gli HTS e attivando eventuali rimborsi doganali.
Il dietrofront sui dazi alimentari è più di un ritocco tecnico: è una mossa di equilibrio tra una dottrina commerciale rigida e un’opinione pubblica esasperata dal costo della vita. Aver incluso beni simbolici come il manzo indica che la priorità è neutralizzare i picchi di prezzo percepiti dai consumatori, anche irritando parte del settore agricolo. La prova finale arriverà a breve: se tra dicembre e gennaio i listini di caffè, tè e frutta tropicale registreranno cali visibili, la Casa Bianca potrà rivendicare una “reciprocità intelligente”. Se invece gli sconti si riveleranno modesti o episodici, il dibattito sul costo della vita tornerà a bussare alle porte della politica commerciale. Intanto, l’unica certezza sta nei codici: l’Annex II si allunga, le classificazioni HTS cambiano colonna e, nel fondo della moka americana, il caffè potrebbe davvero tornare a costare un po’ meno.
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