AGGIORNAMENTI
Cerca
Esteri
15 Novembre 2025 - 18:00
All’alba, in Rue Jean-Pierre Timbaud, le saracinesche dei bar stridono come ogni giorno, ma stavolta l’aria sembra già carica di campagna elettorale. Sulla vetrina di un’agenzia immobiliare fa capolino un cartello scritto a pennarello – “Monolocale 15 m², 1.050 euro” – un annuncio che oggi vale più di qualsiasi sondaggio. Davanti, un piccolo gruppo di attivisti tende un drappo rosso “Nuova Parigi popolare”, mentre al centro della scena Sophia Chikirou, microfono in mano, promette: “Porteremo i prezzi giù, non solo un congelamento”. È la fotografia della sua candidatura a sindaca di Parigi per le comunali del 15 e 22 marzo 2026: non una discesa in campo, ma l’apertura di un conflitto. E il parallelismo con l’altra parte dell’Atlantico arriva puntuale, perché in questa stagione politica sembra che tutti, ovunque, vogliano essere un po’ Zohran Mamdani: un mondo improvvisamente popolato da aspiranti “Mamdani europei”, “Mamdani mediterranei” e pure “Mamdani da arrondissement”. Parigi non può fare eccezione.
Figura di punta di La France insoumise e per anni braccio destro di Jean-Luc Mélenchon, Chikirou la politica la maneggia come un mestiere e la comunicazione come un laboratorio permanente. Laureata a Grenoble e alla Sorbonne, co-fondatrice del canale Le Média, ha diretto le campagne digitali del leader insoumis: dall’ologramma del 2017 alla macchina social del 2022, trasformando il linguaggio politico francese in un ecosistema di clip verticali, formati narrativi da feed e dirette studiate come eventi. Oggi è deputata della 6ª circoscrizione di Parigi e siede nella Commissione Affari esteri dell’Assemblée nationale, ma nella capitale vuole giocarsi tutto: racconto, rete, identità.
La candidatura è arrivata il 14 novembre 2025 con “Le Nouveau Paris Populaire”, un manifesto in cui promette “ridurre i canoni, non limitarci a un gel” e indica come leve un mix di edilizia sociale, regolazione municipale più muscolare e un’“éducation communale” capace di ampliare orari e qualità dei servizi educativi. La città più cara di Francia diventa così il terreno naturale per un discorso che mescola redistribuzione, diritti urbani e orgoglio dei lavoratori dei servizi pubblici di prossimità.
Nel frattempo, Parigi cambia anche il meccanismo elettorale. Con la riforma dell’estate 2025 gli elettori voteranno due volte: una per i consigli di arrondissement e una per la “mairie centrale”. Meno alchimie di retropalazzo e più competizione diretta tra candidati sindaci. Se per gli addetti ai lavori è una piccola rivoluzione istituzionale, per i candidati significa parlare la lingua dell’impatto visivo e della polarizzazione: in una campagna come questa contano non solo i programmi ma la capacità di far “risuonare” la città, di accendere gli argomenti giusti nel momento giusto.
Gli avversari non mancano. I socialisti puntano su Emmanuel Grégoire, ex delfino di Anne Hidalgo, che promette continuità, ma correttiva. A destra, i Républicains hanno scelto Rachida Dati, nonostante la sua permanenza al governo abbia creato qualche digestione difficile tra gli alleati. Nel campo macronista, invece, Renaissance ha deciso di non sostenere Dati e di candidare Pierre-Yves Bournazel, aggiungendo nuove frizioni al già complicato fronte centrista. Gli ecologisti corrono con David Belliard, uscito vincitore dalle primarie interne. Una scacchiera in movimento, dove l’unico spazio libero e nitido sembra quello che Chikirou si ritaglia come polo identitario della sinistra radicale, non schiacciata dal voto utile.
È qui che torna “l’effetto Mamdani”, a metà tra modello politico e slogan planetario. A New York, Zohran Mamdani, già deputato statale dal 2020, ha vinto la sindacatura nel 2025 su un’agenda di giustizia abitativa, trasporti gratuiti e servizi universali, trascinato da una mobilitazione dal basso senza precedenti. Ma in questo gioco di specchi globali, in cui ogni città sembra volersi scegliere un suo eroe socialista-pop, Parigi scopre di voler essere un po’ New York senza esserlo affatto: geografia, poteri del sindaco, struttura amministrativa, tutto cambia. È semmai un’aspirazione: tornare a parlare la lingua materiale della città – case, metro, scuole – e costruire un blocco sociale nuovo.
Dove Chikirou eccelle davvero è nella comunicazione digitale. In dieci anni la scuola insoumise ha costruito una grammatica social fatta di montaggi rapidi, frasi-gancio, Twitch, TikTok, dirette strutturate come mini-eventi. Nell’universo Mélenchon, l’innovazione non è mai stata un vezzo, ma un’arma: dagli ologrammi al videogame “Fiscal Kombat”. Trasportare quella cultura nella dimensione municipale può trasformare Parigi in un laboratorio europeo di politica-piattaforma, dove organizzazione, ascolto e mobilitazioni partono dallo schermo per arrivare in strada.

Ma non tutto è patinato. La parabola di Chikirou è segnata anche da critiche e inchieste. Nell’autunno 2024 è stata posta sotto indagine per “escroquerie aggravée” e “abus de biens sociaux” legati ai conti della campagna Mélenchon 2017 attraverso la sua società Mediascop. Lei respinge ogni accusa, LFI parla di “accanimento giudiziario-mediatico”, ma la vicenda rimane un’arma nelle mani degli avversari, che ne useranno ogni centimetro. A questo si aggiunge lo scontro del 2018 con Le Média sui compensi e la governance, e il dossier UE-Cina che nel 2025 le è costato critiche per un’impostazione ritenuta troppo benevola verso Pechino. Temi lontani dalla gestione delle scuole parigine, certo, ma sufficienti a costruire un profilo divisivo.
La sinistra lo sa: senza unità si parte zoppi. Ma il 2026 si apre con quattro poli – LFI, socialisti, ecologisti, comunisti – mentre la destra prova a capire se davvero può compattarsi intorno a Dati. Il primo turno sarà la grande selezione d’ingresso per il ballottaggio, il secondo imporrà la capacità di parlare oltre il proprio recinto. Qui si giocherà la scommessa della “Nuova Parigi Popolare”: attirare non solo gli scontenti dell’attuale amministrazione, ma quella vasta fascia di lavoratori dei servizi, giovani, dipendenti a reddito medio e artigiani schiacciati da affitti e costi fissi.
Se Chikirou dovesse sfidare Dati, la partita sarebbe una questione di mobilitazione di un blocco popolare-progressista; se invece incrocerà Grégoire, il discrimine sarà convincere che il cambio di passo non significa salto nel buio. In ogni caso, tutto ruoterà attorno a casa, metro e servizi: non è un caso che la sua prima uscita pubblica sia stata proprio sugli affitti e sulla scuola, i due simboli più concreti del vivere urbano.
Campagne come questa non si vincono solo con i numeri, ma con un tono. Chikirou non teme il conflitto, e questo è al tempo stesso la sua forza e il suo limite. La sua biografia racconta l’ascesa di una spin-doctor che diventa frontwoman, una figura che alcuni continuano a vedere solo come “la comunicatrice di Mélenchon”, dimenticando la rete costruita nei quartieri Est e la capacità di produrre consenso nei social. È proprio lì che si gioca la sua opportunità: usare il vantaggio competitivo della macchina insoumise senza rimanerne prigioniera. E, nel frattempo, continuare a muoversi in un mondo dove – ormai – tutti sembrano convinti che la politica urbana si faccia a colpi di hashtag, di case popolari e, soprattutto, di improvvisati “Mamdani” che sbocciano ovunque, da Brooklyn al boulevard Voltaire.
Nel merito, l’architrave programmatica di Chikirou si regge su tre pilastri:

La nuova architettura del voto a Parigi – con la distinzione tra consigli di arrondissement e rappresentanza diretta alla mairie centrale – riduce il “gioco di palazzo” che in passato decideva molta parte del dopo‑voto e premia le campagne capaci di aggregare coalizioni sociali prima ancora che coalizioni di partito. In questo schema, la scelta Chikirou funziona se:
Un punto cruciale è la differenza tra promessa e potere reale di un sindaco a Parigi:
Qui la differenza la fanno i dettagli: budget, cronoprogrammi, misurabilità dei risultati. Su questo terreno, la retorica social “alla Mamdani” deve diventare metriche e progetti edilizi già instradati entro 100 giorni dall’insediamento.
Edicola digitale
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.