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Un anno nel carcere fantasma: l’Italia ha lasciato solo Alberto Trentini

Da oltre un anno il cooperante Alberto Trentini è detenuto a El Rodeo I senza accuse formali. Tra silenzi istituzionali, mediatori d’ombra e diplomazia in affanno, il suo caso diventa il simbolo di un sistema che usa l’incomunicazione come arma e gli ostaggi civili come leva politica

Un anno nel carcere fantasma: l’Italia ha lasciato solo Alberto Trentini

Un anno nel carcere fantasma: l’Italia ha lasciato solo Alberto Trentini

La porta di ferro si chiude con un tonfo breve, quasi educato. La luce filtra da una feritoia, due minuti d’acqua al giorno per lavarsi e per lavare la divisa, la latrina a un passo dalla branda di cemento. Così ex detenuti e rapporti indipendenti descrivono le celle di El Rodeo I, alla periferia di Caracas, un luogo che non è semplicemente un carcere ma un territorio sospeso, dove l’incomunicazione diventa una forma di potere. È qui che, secondo conferme incrociate, si trova da oltre un anno il cooperante italiano Alberto Trentini, arrestato il 15 novembre 2024 mentre viaggiava verso Guasdualito, nel cuore della regione di Apure. Per mesi nessuna notizia, nessun contatto con la famiglia, nessuna visita consolare, nessuna accusa formalizzata. Un “uomo sospeso” in un sistema penitenziario dove l’ordinario si intreccia con la gestione dell’intelligence e dove, come denunciano le organizzazioni per i diritti umani, la detenzione può trasformarsi in una zona d’ombra priva di garanzie elementari.

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Il 15 novembre 2024 Trentini, in Venezuela dal 17 ottobre per la ong Humanity & Inclusion, viene fermato a un posto di blocco durante uno spostamento da Caracas a Guasdualito. Fonti locali concordano nell’indicare agenti del Saime come autori del fermo e la successiva consegna del cooperante alla Dgcim, l’intelligence militare. Dopo di allora cala un silenzio totale. La Commissione interamericana dei diritti umani interviene il 7 gennaio 2025 con misure cautelari, parlando di rischio “grave e irreparabile” per la vita e l’integrità fisica del cooperante e chiedendo al Venezuela di chiarirne la posizione giuridica. Soltanto a marzo 2025 trapela, grazie a fonti sia venezuelane sia italiane, che Trentini si trova a El Rodeo I, a Guatire, nello Stato di Miranda. L’informazione viene rilanciata da Ansa e Repubblica. Fonti venezuelane riferiscono di due telefonate concesse alla madre tra maggio e il 26 luglio 2025, un contatto minimo che non cancella il buio precedente e non risolve la mancanza di visite consolari regolari, tuttora non documentate.

A settembre, il ministro degli Esteri venezuelano Yván Gil parla alla Cnn di una “azione legale in corso”, ma non fornisce elementi concreti, non chiarisce le imputazioni né lo stato del procedimento. Per mesi attorno a Trentini si evoca lo spettro della cospirazione o del “terrorismo”, accuse pesanti ma mai accompagnate da un atto formale o da notizie accessibili alla difesa. Una nebulosa che alimenta il sospetto di un uso politico della detenzione.

La struttura dove è rinchiuso Trentini, El Rodeo I, è citata da organizzazioni indipendenti come luogo dove isolamento, scarsità d’acqua, celle anguste e gestione ibrida tra agenti penitenziari e intelligence creano condizioni disumane. Human Rights Watch, nei suoi rapporti dopo le contestate elezioni del 2024, documenta sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie, violazioni del diritto alla difesa e la tendenza a criminalizzare cittadini stranieri, cooperanti inclusi. Nel 2025 decine di stranieri risultano detenuti in Venezuela, spesso con accuse vaghe e con modalità simili a quelle riscontrate nel caso dell’italiano.

In Italia, la macchina diplomatica parte lentamente. Nei due mesi successivi all’arresto, Palazzo Chigi e la Farnesina mantengono un profilo di discrezione assoluta. Il 15 gennaio 2025 il governo convoca l’incaricato d’affari venezuelano per protestare contro il silenzio. Lo stesso giorno il ministro degli Esteri Antonio Tajani minimizza pubblicamente, parla di un caso “non punitivo” e invita alla calma, rivendicando la riservatezza come metodo. Due giorni dopo si riunisce un tavolo interministeriale, vengono assicurati “tutti i canali attivi”, ma la percezione della famiglia e dell’opinione pubblica resta quella di un intervento tardivo. A febbraio e poi a luglio la madre di Alberto, Armanda, rivolge appelli diretti alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, parlando apertamente di “silenzio”, denunciando una distanza dolorosa tra le dichiarazioni istituzionali e i risultati concreti.

Nel frattempo altri Paesi ottengono progressi. La Colombia riesce a riportare a casa alcuni suoi cittadini. Gli Stati Uniti negoziano più liberazioni, incluso, a maggio 2025, l’ex aviere americano Joseph St. Clair, detenuto proprio a Rodeo I. L’immagine che ne esce è quella di un’Italia che resta ai margini mentre il Venezuela utilizza le detenzioni di stranieri come leva negoziale, una prassi già osservata in passato e oggi rafforzata da un quadro politico interno instabile.

In questo vuoto si muovono figure opache, mediatori di professione, faccendieri e presunti negoziatori privati. Secondo un’inchiesta de Il Fatto Quotidiano del 15 novembre 2025, soggetti attivi su entrambi i lati dell’Atlantico si sarebbero presentati alla famiglia e a conoscenti di Trentini vantando contatti con l’intelligence venezuelana e promettendo soluzioni rapide. Alcuni avrebbero perfino presentato un ricorso alla CidH senza alcun mandato, iniziativa fermata solo grazie all’intervento dell’avvocata Alessandra Ballerini. Un groviglio di canali paralleli che confonde la famiglia, indebolisce la trattativa ufficiale e alimenta narrazioni improprie in cui il cooperante viene inserito in dossier geopolitici che nulla hanno a che fare con il suo lavoro.

Neppure l’Europa appare in grado di imprimere una svolta. Vari Stati membri esercitano pressioni efficaci quando collegano il tema dei detenuti ad altri dossier sensibili, dalle sanzioni alle forniture energetiche. Ma nel caso Trentinil’interlocuzione Ue-Venezuela resta sterile: molte dichiarazioni di principio, pochissimi passi concreti. È un contrasto evidente rispetto al modello americano, dove emissari speciali, scambi politici calibrati e aperture su fronti strategici hanno prodotto risultati tangibili. L’Italia paga la mancanza di un inviato dedicato, di un’unica catena di comando e di leve negoziali capaci di incidere.

Questa vicenda, nelle parole delle organizzazioni per i diritti umani, è emblematica delle quattro fragilità del sistema venezuelano: l’incomunicazione prolungata, l’arbitrarietà delle imputazioni, la strumentalizzazione politica degli arresti e la disinformazione generata da intermediari non ufficiali. La CidH ha considerato il caso sufficientemente grave da richiedere un intervento urgente, mentre HRW sottolinea come molti detenuti stranieri siano rimasti per mesi senza accuse formali. A El Rodeo I, la commistione tra circuito penitenziario e apparati d’intelligence aumenta i rischi, moltiplica le zone non documentate, rende i detenuti vulnerabili agli abusi. Quando lo Stato procede lentamente, lo spazio lasciato ai mediatori privati diventa terreno fertile per informazioni distorte e iniziative che, invece di aiutare, complicano la situazione.

L’Italia, finora, ha convocato diplomatici, inserito il caso nell’agenda G7, attivato canali politici seguiti dalla Presidenza del Consiglio attraverso il sottosegretario Alfredo Mantovano, e dalla Farnesina con una linea ufficiale che continua a privilegiare la discrezione. Ma non risultano visite consolari periodiche né un iter giudiziario trasparente notificato alla difesa. Le richieste di un inviato speciale con poteri rafforzati sono rimaste senza seguito, così come le proposte di missioni parlamentari. Nel frattempo la madre di Alberto ribadisce pubblicamente che “la discrezione, da sola, non basta”. È una frase che riassume la distanza tra protocolli istituzionali e la realtà quotidiana di un familiare che riceve due telefonate in un anno, nulla di più.

Le esperienze di altri Paesi mostrano che la gestione di casi come questo richiede regole chiare, una sola catena di comando, una figura con un mandato pieno che impedisca la proliferazione di intermediari privati e che consenta di coordinare meglio la pressione multilaterale. In Venezuela, la detenzione di stranieri è diventata una moneta negoziale e la nebbia informativa che circonda Trentini è parte del problema: il messaggio all’esterno è quello di un Paese che può trattenere un cittadino europeo per oltre dodici mesi senza fornire un capo d’accusa formale.

La voce della famiglia resta il punto più umano e più vulnerabile della storia. “Ogni giorno di inerzia corrisponde a sofferenze indicibili”, ha ripetuto la madre di Trentini a luglio 2025. È un grido che ha mobilitato migliaia di persone, amministrazioni locali, parlamentari di diversi schieramenti. Ma il tempo, ora, è il vero nemico: perché nei casi di isolamento prolungato anche un gesto minimo – una telefonata aggiuntiva, una visita consolare, un controllo medico – può fare la differenza, preservando la resistenza psicologica del detenuto e impedendo che il vuoto venga riempito da faccendieri o da letture geopolitiche interessate.

Resta da chiarire lo stato giudiziario di Alberto Trentini, l’eventuale atto di imputazione, le ragioni per cui non sono state garantite visite consolari regolari, quali canali stia utilizzando il governo italiano e chi abbia agito senza mandato presso organismi internazionali. Senza risposte chiare, il rischio è che il suo caso rimanga intrappolato nella zona grigia dove i diritti si indeboliscono e la ragion di Stato cambia colore a seconda dell’interlocutore. Un anno dopo, mentre la porta di ferro di El Rodeo I continua a chiudersi con lo stesso tonfo breve, la domanda è una sola: quanto tempo può restare sospeso un cittadino italiano in un carcere straniero, senza accuse formali, prima che la diplomazia trasformi il silenzio in un’azione concreta?

Cronologia

  • 17 ottobre 2024: arrivo in Venezuela per Humanity & Inclusion.
  • 15 novembre 2024: arresto sulla rotta Caracas–Guasdualito; trasferimento nell’orbita Dgcim.
  • 7 gennaio 2025: la CidH concede misure cautelari.
  • 14–15 gennaio 2025: proteste diplomatiche italiane, convocazione del rappresentante venezuelano a Roma.
  • Marzo 2025: fonti Ansa e Repubblica confermano la detenzione a El Rodeo I.
  • Maggio e 26 luglio 2025: due telefonate alla madre, riferiscono media locali.
  • Settembre 2025: il ministro Yván Gil rivendica “azione legale in corso”.
  • 15 novembre 2025: a un anno dall’arresto, un’inchiesta ricostruisce depistaggi e trattative parallele.
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