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15 Novembre 2025 - 10:55
Ucraina, il terremoto degli appalti energetici travolge il cerchio magico di Zelensky
C’è una frase, captata in una delle 1.000 ore di intercettazioni accumulate dagli investigatori, che restituisce meglio di ogni analisi l’atmosfera del momento: “Non voglio finire con un avviso di sospetto”. Sullo sfondo si sentono mormorii, voci che parlano in codice – “Karlsson”, “Professor”, “Tenor” – e il racconto di una macchina oliata per estrarre il 10-15% da ogni appalto. È il cuore dell’operazione battezzata “Midas”, un nome eloquente per un’indagine che mette al centro la più strategica delle aziende ucraine, Energoatom, pilastro dell’energia nucleare di un Paese che ogni giorno fa i conti con i missili russi. E alle spalle di tutto si staglia la figura del presidente Volodymyr Zelensky, salito al potere promettendo di “tagliare le mani ai corrotti” e ora costretto a spiegare perché certi ingranaggi abbiano continuato a girare indisturbati proprio dove la trasparenza avrebbe dovuto essere totale.
Secondo la ricostruzione dell’Ufficio Nazionale Anticorruzione (NABU) e della Procura Specializzata Anticorruzione (SAPO), un gruppo ristretto di intermediari e funzionari avrebbe creato un sistema parallelo capace di influenzare decisioni cruciali di Energoatom e condizionare le catene di fornitura del settore energetico. Il meccanismo, documentato in quindici mesi di indagini, settanta perquisizioni e un’infinità di captazioni, prevedeva la richiesta di “commissioni” tra il 10 e il 15% del valore degli appalti, pena ritardi nei pagamenti o la perdita dello status di partner. Gli investigatori stimano un danno complessivo che potrebbe aggirarsi intorno ai 100 milioni di dollari.
Tra i sette indagati e i cinque arrestati emergono figure legate al mondo dell’energia: un ex consigliere ministeriale, un dirigente con responsabilità sulla sicurezza fisica di Energoatom, professionisti dell’intermediazione. La sigla NABU ha diffuso anche i soprannomi – “Karlsson”, “Professor”, “Tenor”, “Rocket” – che gli indagati usavano nelle conversazioni, confermando il profilo di un’organizzazione criminale strutturata, in grado di influenzare un’azienda con ricavi annui superiori ai quattro miliardi di euro. L’indagine è stata così invasiva da lambire persino presunte interferenze nelle nomine e negli organigrammi.
Le ricadute politiche non si sono fatte attendere. Il presidente Zelensky ha sostenuto pubblicamente l’operazione, ma nel giro di settantadue ore si sono verificate dimissioni e rimozioni eccellenti: il ministro della Giustizia (ed ex ministro dell’Energia) Herman Halushchenko e la ministra dell’Energia Svitlana Grynchuk hanno lasciato l’incarico, mentre Energoatom ha tentato di rassicurare l’opinione pubblica affermando che sicurezza e operazioni non sono state compromesse.
Sulla scena si è imposto un nome più degli altri: Tymur (o Timur) Mindich, imprenditore, co-proprietario di Kvartal 95 – la casa di produzione che rese celebre Zelensky prima dell’ingresso in politica – e figura percepita per anni come ponte tra media, business e istituzioni. Diverse testate ucraine e internazionali lo indicano come il presunto “regista” del sistema di protezione e influenza sugli appalti energetici. Mindich respinge ogni accusa, ma fonti investigative sostengono che abbia lasciato l’Ucraina nelle ore più calde dei blitz, rendendo probabile una procedura in contumacia. Nel frattempo emergono accenni a presunti interessi nel comparto dei droni, un filone ancora in verifica che rimanda ai rapporti non sempre nitidi tra complesso bellico-industriale e cerchi relazionali della politica.
Il caso Mindich pesa più di altri perché si inserisce in una critica che l’opposizione e parte della società civile sollevano da tempo: l’inclinazione del presidente a circondarsi di amici e collaboratori storici, un “cerchio magico” in cui la lealtà personale sembra a volte sovrapporsi o addirittura prevalere sull’interesse pubblico. In tempo di guerra, una commistione del genere diventa politicamente ed eticamente ancora più rischiosa.
Sul terreno dei numeri, i sondaggi riflettono bene questo malessere sottotraccia. Nei mesi successivi all’invasione russa, tra primavera ed estate 2022, la fiducia in Zelensky ha sfiorato livelli straordinari, spesso oltre l’80-90%. Tra 2023 e 2024 è iniziata la fisiologica discesa: prima al 63% (Rating Group, febbraio 2024), poi fino al 52% registrato dal KIIS tra dicembre 2024 e gennaio 2025. L’inizio del 2025 ha segnato una risalita – tra 57% e 74% a seconda delle rilevazioni e con un picco al 68% dopo il duro confronto alla Casa Bianca con Donald Trump a fine febbraio –, ma il trend resta distante dall’ondata emotiva del 2022. La vera novità è la volatilità: la fiducia ondeggia al ritmo dei rapporti con gli Stati Uniti, dell’andamento della guerra, delle crisi energetiche e degli scandali interni.
In questo contesto, il terremoto che investe Energoatom rischia di pesare più del solito: perché tocca direttamente il portafoglio e la sicurezza energetica dei cittadini, ma anche perché si innesta sulle critiche già vive riguardo alcune nomine e sui rapporti, talvolta complicati, tra la presidenza e le autorità anticorruzione.
Il dossier è particolarmente delicato perché nel luglio 2025 la Verkhovna Rada ha approvato – e Zelensky ha firmato – la legge n. 12414, che riduceva l’autonomia di NABU e SAPO, concentrando più potere nelle mani del Procuratore generale. La mossa ha scatenato le prime grandi proteste antigovernative dall’inizio della guerra: migliaia di persone in piazza a Kyiv, Lviv, Dnipro, Odesa con cartelli che recitavano “Questa è l’Ucraina, non la Russia”. L’Unione Europea ha chiesto spiegazioni: Ursula von der Leyen ha telefonato al presidente esprimendo “forti preoccupazioni”, mentre la commissaria all’Allargamento Marta Kos ha parlato apertamente di “grave passo indietro”. Anche Human Rights Watch e Transparency International Ucraina hanno messo in guardia: intaccare l’indipendenza di chi indaga sui livelli più alti dello Stato manda segnali pericolosi ai partner esteri.
Il 31 luglio è arrivata la retromarcia: il Parlamento ha approvato – e il presidente ha firmato – una nuova norma, proposta dallo stesso Zelensky, per ripristinare le garanzie di indipendenza di NABU e SAPO, introducendo anche misure di sicurezza interna come il poligrafo periodico per la gestione dei segreti di Stato. Un passo salutato come una “vittoria della società civile”, ma che ha lasciato ferite aperte: per alcuni, prova della capacità del presidente di ascoltare e correggersi; per altri, il sintomo di una tendenza a decidere prima e riparare solo quando la protesta esplode.
La priorità di Kyiv resta duplice: resistere all’offensiva russa e stabilizzare un sistema economico sotto pressione. In entrambi i casi l’energia è il perno: impianti e reti sono bersagli costanti, le riserve devono reggere l’inverno, il Paese ha bisogno di capitali esteri per riparare e rimodernare infrastrutture cruciali. Qui la credibilità anticorruzione diventa moneta vera: Bruxelles, l’IMF e la Banca Mondiale chiedono standard elevati e verificabili. Non a caso, subito dopo i blitz, il governo ha annunciato un’audit straordinaria su tutte le aziende di Stato, con focus su appalti e governance. Necessario, ma non sufficiente: se le indagini confermeranno una cattura privata di segmenti della macchina pubblica, nessuna revisione formale basterà a rassicurare i partner.

Quando il presidente ucraino era in Tv
Il caso Mindich, in questo quadro, diventa il punto di coagulo di una tensione strutturale. Non è soltanto la storia di un imprenditore legato alla stagione televisiva di Kvartal 95, ma il simbolo di un rischio che il Paese conosce bene: che reti personali e amicizie di lunga data si trasformino in canali d’influenza sulle aziende strategiche. Se la magistratura confermerà le accuse, la conseguenza politica sarà duplice: blindare davvero l’indipendenza delle authority e avviare una due diligence severa su nomine, consigliere e interfacce tra apparato pubblico e mondo degli appalti.
I sondaggi aiutano a leggere la traiettoria. Il picco di fiducia tra 2022 e inizio 2023 rispondeva al classico “rally around the flag”: un Paese aggredito che si stringe intorno al leader. Poi la guerra che si trascina, la mancata controffensiva del 2023, le difficoltà al fronte, i blackout e i sacrifici della mobilitazione hanno reso la curva più nervosa: 52-57% tra fine 2024 e inizio 2025, poi una risalita fino al 67-74% in marzo-maggio 2025. Ma la lezione rimane: la fiducia non è un assegno in bianco e ogni scandalo che tocca energia e difesa ha un impatto sproporzionato sulla psicologia collettiva.
Sul piano internazionale, l’Ucraina del 2025 vive sospesa tra l’incertezza degli aiuti statunitensi e il bisogno di blindare la rotta europea. Negli Stati Uniti, dopo il litigio pubblico alla Casa Bianca del 28 febbraio 2025, la fiducia interna in Zelensky è risalita – tra 67% e 69% nelle prime settimane di marzo – segno che nel Paese la risposta assertiva al nuovo corso di Washington è stata vista come difesa della sovranità. Ma a Bruxelles il metro è diverso: servono riforme, indipendenza delle authority, risultati giudiziari. È per questo che lo scandalo Energoatom non è solo una vicenda giudiziaria: è politica estera, integrazione europea, ricostruzione.
Paradossalmente, proprio questa inchiesta può trasformarsi in un test di credibilità. Se Kyiv dimostrerà di saper colpire in alto, di portare i casi a sentenza e di ripulire le aree grigie senza cadere nella tentazione del capro espiatorio, la crisi potrà diventare un punto a favore nelle trattative europee e nei mercati. Se invece prevarranno scaricabarile, nomine opache e riforme cosmetiche, lo scandalo “Midas” aderirà alla narrazione del “sistema amici” e diventerà un boomerang destinato a tornare ciclicamente nei sondaggi, nei negoziati e nella resilienza interna.
All’inizio della sua avventura politica, Volodymyr Zelensky promise “giustizia per tutti”. In tempo di guerra, quella promessa vale doppio. Le perquisizioni, gli arresti, le dimissioni e le verifiche straordinarie mostrano che gli strumenti per rispettarla esistono: una magistratura specializzata che lavora, una società civile vigile, partner internazionali pronti a sostenere. Ma mostrano anche che, finché la politica non si separa davvero dai legami personali e finché l’anticorruzione rimane percepita come un campo negoziabile, ogni successo militare rischia di essere eroso da una zavorra interna. Il presidente conserva ancora una fiducia significativa, tra il 60% e il 70% secondo le rilevazioni più recenti del 2025, ma è una fiducia più condizionata rispetto al 2022. La gestione del caso Energoatom-Mindich, delle nomine sensibili e dell’indipendenza delle authority dirà se quell’onda potrà tornare a crescere o se l’Ucraina dovrà abituarsi a una navigazione più incerta, tra trincee reali e trincee istituzionali. In gioco non c’è solo l’esito di un processo o la carriera di un ministro, ma la credibilità europea di un Paese che combatte per la sua democrazia – e per non vedere spenta, ancora una volta, la luce.
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