Cerca

Esteri

Ecco come USA e Europa stanno stritolando il petrolio di Mosca: una guerra di carte, navi bloccate e banche terrorizzate

Dalla sanzione totale a Rosneft e Lukoil alla morsa europea sulla flotta ombra: il greggio russo viaggia sempre meno, costa sempre di più e spaventa i suoi stessi clienti. Tra controlli, assicurazioni negate e porti che chiudono le porte, la guerra dei barili non si combatte con i missili, ma con i documenti

Ecco come USA e Europa stanno stritolando il petrolio di Mosca: una guerra di carte, navi bloccate e banche terrorizzate

Ecco come USA e Europa stanno stritolando il petrolio di Mosca: una guerra di carte, navi bloccate e banche terrorizzate

Sanzioni al motore energetico di Mosca: come Washington e Bruxelles stanno riscrivendo la geografia del petrolio russo. Per capire cosa sta accadendo basta una scena: all’ingresso del porto di Primorsk, nel Baltico, un vecchio tanker ondeggia aspettando l’autorizzazione. Il rimorchiatore gli fa cenno di rimanere fermo. Manca una semplice polizza assicurativa riconosciuta a livello internazionale. È un dettaglio che in tempi normali varrebbe meno di una telefonata. Oggi decide se una nave viaggerà o resterà bloccata. Se passerà il controllo o verrà respinta. Se il petrolio russo troverà un compratore o rimarrà in mare. È questa sproporzione tra un foglio di carta e un intero sistema economico che spiega meglio di qualunque analisi come la guerra in Ucraina abbia trasformato le assicurazioni marittime in armi geopolitiche.

Gli Stati Uniti hanno scelto di colpire non i margini, ma i pilastri del settore petrolifero russo: Rosneft e Lukoil. Il 22 ottobre 2025 il Dipartimento del Tesoro ha inserito entrambe nella lista SDN, quella in cui finiscono i soggetti considerati radioattivi per il sistema finanziario americano. Finora Washington si era limitata a misure settoriali; ora ha chiuso direttamente i rubinetti delle transazioni. Per un’azienda, una banca o una raffineria straniera il dilemma è semplice: o si mantiene l’accesso al dollaro, o si continua a trattare con quei due colossi. Le sanzioni secondarie non lasciano zone grigie. Chi facilita operazioni ritenute “significative” rischia a sua volta di essere colpito. È un avvertimento che corre più veloce del greggio.

Gli effetti si vedono anche lontano dalla Russia. Lukoil ha dichiarato forza maggiore sul grande giacimento iracheno di West Qurna-2 per pagamenti bloccati e fornitori sempre più esitanti. In Cina, dove le grandi aziende pubbliche erano diventate partner cruciali della Russia, è scattata una sospensione prudente: PetroChina, Sinopec, CNOOC e Zhenhua Oil hanno fermato gli acquisti via mare collegati ai soggetti sanzionati, lasciando aperti solo i flussi via oleodotto. Non è una scelta politica: è una decisione di sopravvivenza finanziaria. Nessuno vuole rischiare di entrare in conflitto con il sistema bancario americano. In India la reazione è stata simile: la raffineria HPCL-Mittal Energy ha interrotto le importazioni, mentre operatori come IOC valutano solo carichi giudicati “puliti”. Le scorte non mancano, il petrolio ruota, ma il rischio legale è diventato un fattore più pesante del prezzo.

A questa stretta si è aggiunta quella europea. Il 23 ottobre 2025 l’Unione ha approvato il suo 19º pacchetto di sanzioni, mettendo una data precisa allo stop del GNL russo nei contratti di lungo termine: 1º gennaio 2027. È un taglio netto che completa un processo avviato nel 2022. In parallelo, Bruxelles ha intensificato il contrasto alla cosiddetta flotta ombra, la rete di petroliere vecchie, spesso senza assicurazione IG P&I, che ha permesso alla Russia di aggirare price cap e divieti. La UE ne ha interdette altre 117, superando le 550 unità complessive. Una cifra che dà la misura di una trasformazione profonda: ciò che prima era tollerato come “pratica disordinata” ora viene trattato come un tentativo deliberato di eludere sanzioni.

L’impatto di questa pressione è evidente. Nel 2024 solo il 29,4% delle navi che trasportavano greggio russo aveva una copertura assicurativa riconosciuta, contro oltre il 90% delle navi impegnate su rotte non russe. Quelle senza assicurazione viaggiano più lentamente, rischiano controlli, incidenti e blocchi nei porti. Le autorità tedesche nello Stretto di Fehmarn, ad esempio, hanno aumentato le ispezioni e richiesto prove documentali più dettagliate, rendendo ogni tratto di mare un passaggio insidioso. Ogni nave che si muove senza un’assicurazione valida è un potenziale caso diplomatico, oltre che un costo crescente per chi la possiede.

grafica

Il price cap del G7, per mesi considerato irrilevante, sta tornando centrale proprio grazie a questa nuova stagione di controlli. Tra marzo e aprile 2025 i carichi trasportati su petroliere occidentali — e quindi soggetti al tetto — sono aumentati. Allo stesso tempo si è ridotto l’uso della flotta ombra, non per virtù improvvisa, ma perché diventa sempre più difficile trovare porti, assicuratori e broker disposti ad assumersi il rischio di sanzioni.

La conseguenza è che Cina e India, gli unici veri clienti capaci di assorbire i volumi russi, stanno diventando molto più selettivi. Non basta più uno sconto. Serve la certezza che quel barile non porti con sé problemi legali o finanziari. Ed è per questo che molti hanno ripreso a rifornirsi temporaneamente in Medio Oriente o in Africa. La Russia intanto guarda ai propri conti. Nel 2024 le entrate da petrolio e gas erano risalite a oltre 11,1 trilioni di rubli. Nel 2025 il quadro si è incrinato: a giugno il gettito è sceso del 33,7%; a ottobre le entrate petrolifere hanno registrato un -27%. Con una spesa militare che tocca il 6,3% del PIL, ogni calo pesa.

La decisione di colpire Rosneft e Lukoil con la designazione SDN non è un tecnicismo burocratico: obbliga partner e intermediari a rivedere contratti, ridiscutere pagamenti, chiudere linee di credito. Una finestra di “wind-down” è aperta fino al 21 novembre 2025, ma molti attori internazionali hanno già iniziato a ridurre la loro esposizione. La macchina del petrolio russo può continuare a funzionare, ma ogni bullone diventa più difficile da stringere.

Sul versante europeo, il bando al GNL dal 2027 è il punto di non ritorno. L’Europa imbocca definitivamente la strada del disimpegno, mentre preme perché anche la logistica marittima russa venga regolata e monitorata come mai prima: controlli più frequenti, navi interdette, bandiere di comodo meno accettate. Ogni ostacolo aggiunto significa costi maggiori per Mosca, che deve decidere se esportare meno o svendere. Entrambe le opzioni sono onerose.

Nei prossimi mesi, la partita non si giocherà tanto sulle nuove sanzioni, quanto sull’applicazione rigorosa di quelle già introdotte. La credibilità dei divieti si misura nelle ispezioni, nella prontezza delle banche nel rifiutare pagamenti sospetti, nel coraggio politico di porti e autorità marittime nell’alzare il livello delle verifiche. Cina e India continueranno a osservare in silenzio, scegliendo solo i carichi senza rischi. I mercati globali potrebbero oscillare, a seconda di quanto greggio russo resterà effettivamente disponibile. E la Russia dovrà trovare nuove risorse per sostenere un bilancio sempre più appesantito dalla guerra.

I numeri confermano questa traiettoria: la stabilità del 2024 è stata un’eccezione; il 2025 segna un deterioramento evidente, dovuto a sanzioni più incisive, logistica più costosa, sconti più grandi richiesti dai compratori e un rublo più forte. La flotta ombra, che doveva essere la soluzione, si sta rivelando un labirinto di problemi: navi vecchie, opacità societaria, incidenti in aumento e una pressione europea che non tende a diminuire.

Insomma, questa non è una guerra fatta di eserciti. È un logoramento quotidiano in cui ogni documento, ogni controllo e ogni miglio in più sulle rotte marittime pesa come un macigno. Gli Stati Uniti hanno colpito le fondamenta finanziarie delle principali società petrolifere russe, l’Europa ha complicato l’intera rete logistica, e i due grandi acquirenti asiatici si stanno spostando su terreni più sicuri. Non serve un colpo di grazia: basta il continuo attrito di regole, verifiche e timbri. È così che, nel silenzio del Baltico, una petroliera ferma in attesa di una polizza ci racconta il nuovo volto della geopolitica dei barili.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori