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Shade attacca l’influencer Camilla De Pandis: “Fingere una disabilità per saltare la fila non è una bravata”

Il rapper torinese interviene sul caso del video girato agli Universal Studios: tra certificati falsi, responsabilità social e una riflessione personale maturata lavorando accanto a persone con disabilità

Camilla e Shade

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Sta facendo discutere il caso dell’influencer Camilla De Pandis, che il 29 ottobre ha pubblicato un video destinato a scatenare un’ondata di critiche. La creator – seguitissima tra i più giovani, con 1,6 milioni di follower su TikTok, 700.000 su Instagram e quasi 170.000 iscritti su YouTube – ha mostrato come lei e un gruppo di amici siano riusciti a evitare le lunghe file agli Universal Studios di Orlando presentando falsi certificati di disabilità. Un metodo che, nel filmato, viene mostrato con leggerezza e ironia, suscitando una reazione immediata da parte di altri creator, utenti e media.

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Il meccanismo sfruttato è quello dell’Attractions Assistance Pass, noto anche come Disability Pass, pensato per persone con disabilità fisiche o cognitive e valido per il titolare e fino a cinque accompagnatori. Nel video, De Pandis racconta di essere in 12 e di aver ottenuto due pass falsificando la documentazione. Un comportamento che stride con i numeri enormi del parco: secondo il portale Queue Times, quasi 10 milioni di visitatori solo nel 2023, con attese spesso interminabili per le attrazioni più popolari.

Sul fronte legale, diversi esperti hanno chiarito che la falsificazione di un certificato privato – come nel caso del Disability Pass – non rappresenta un reato penale, ma può configurare un illecito civile, aprendo la strada ad azioni risarcitorie qualora venisse provato un danno. La situazione cambia invece in caso di certificazioni pubbliche, come i permessi auto per disabili, per i quali scatterebbero responsabilità penali. Gli Universal Studios difficilmente avvieranno una causa, ma potrebbero comunque adottare provvedimenti interni, come il divieto di accesso o la revoca dei pass.

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A riaccendere il caso, però, è stato il rapper torinese Shade, che ha commentato la vicenda con un freestyle pubblicato sui suoi profili social. Un intervento duro, diretto, in cui l’artista ha criticato non solo la bravata in sé, ma soprattutto la decisione di condividerla pubblicamente: un messaggio, secondo lui, che normalizza comportamenti scorretti davanti a una community giovanissima. Shade ricorda che chi vive di visibilità ha una responsabilità doppia: il potere di condizionare il pubblico e il dovere di farlo in modo positivo.

Nelle sue storie Instagram, il rapper ha aggiunto una nota personale: a 19 anni, ha lavorato come educatore al fianco di persone con disabilità, assistendo un uomo di 47 anni con ritardo mentale. «Mi ha insegnato che ci si può dire “ti voglio bene” anche senza parole, e come prendersi cura di una persona con certi problemi», ha scritto, sottolineando quanto quell’esperienza abbia plasmato la sua sensibilità sul tema.

La conclusione è una riflessione che trascende il singolo episodio: sbagliare è umano, ma ciò che conta è la consapevolezza delle proprie azioni e il modo in cui si risponde agli errori. Nelle parole di Shade, il successo sui social non può autorizzare nessuno a superare i confini del rispetto: quello vero, dice, «non si misura con i follower», ma con i comportamenti nel mondo reale.

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