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14 Novembre 2025 - 11:58
Striscione shock di CasaPound a Porta Susa nel decennale del Bataclan
Dieci anni dopo l’assalto al Bataclan, Torino si ritrova al centro di un gesto destinato a far discutere. Nella notte tra mercoledì e giovedì, esattamente alle 21.16, l’ora in cui il commando jihadista entrò nella sala concerti parigina uccidendo 90 persone, CasaPound ha affisso uno striscione provocatorio nei pressi della stazione di Porta Susa.
L’azione, rivendicata dal movimento neofascista, è stata accompagnata da una nota dai toni durissimi, in cui il Bataclan diventa pretesto per un attacco diretto agli immigrati di seconda generazione. Un messaggio che vuole essere politico, divisivo e volutamente incendiario, inserito in una città che negli ultimi mesi ha già vissuto momenti di tensione sul tema dell’integrazione.
Nel comunicato diffuso dopo l’affissione, CasaPound sostiene che la narrativa sull’immigrazione come “arricchimento culturale” sarebbe una menzogna, e punta il dito su una “mancata volontà di integrazione”. Al centro delle accuse ci sono proprio i figli degli immigrati, identificati come la categoria più pericolosa in relazione al terrorismo internazionale. Una tesi che il movimento ripete da anni e che torna a emergere nel decennale del Bataclan, presentata come monito sull’Europa contemporanea.

Nella loro ricostruzione, gli attentati compiuti da jihadisti nati e cresciuti sul suolo europeo sarebbero la prova di una deriva culturale insita in alcuni percorsi migratori. Da qui la critica ai “flussi incontrollati”, descritti come origine di violenza e devianza. Lo striscione, spiegano, avrebbe lo scopo di riportare attenzione su un rischio che definiscono “una bomba sociale”.
La scelta del luogo – uno degli snodi ferroviari più importanti della città – e soprattutto dell’orario, studiato per coincidere con l’inizio della strage, suggerisce una strategia comunicativa che punta a massimizzare l’impatto mediatico. Un’operazione che rientra nella tradizione del movimento della “tartaruga frecciata”, abituato a utilizzare anniversari simbolici per lanciare messaggi aggressivi su sicurezza, immigrazione e identità.
Il gesto, però, arriva in un contesto delicato. Da settimane il dibattito pubblico italiano si intreccia con tensioni internazionali, polarizzazione politica e un clima culturale sempre più esasperato. E il tema delle seconde generazioni – spesso al centro di discussioni più ideologiche che pragmatiche – rischia di trasformarsi di nuovo in terreno di scontro quotidiano.
Il silenzio delle istituzioni, almeno nelle prime ore successive all’affissione, aggiunge un ulteriore livello di complessità. Nessuna presa di posizione ufficiale, nessuna condanna o commento immediato: un vuoto che rischia di favorire l’eco delle narrazioni più radicali. Torino, città che storicamente ha fatto della convivenza multiculturale una delle sue cifre identitarie, viene così catapultata in un dibattito che ha ben poco di locale.
L’anniversario del Bataclan è un momento di memoria collettiva, ma anche un terreno su cui la politica prova spesso a ridefinire il proprio vocabolario. CasaPound, con il suo striscione e le sue parole, tenta di spostare l’attenzione dal ricordo delle vittime a un’agenda fatta di contrapposizioni radicali. Spetta ora alla città decidere se accettare questa provocazione come parte del dibattito pubblico o se rispondere con una discussione più ampia, razionale e fondata sui dati, non sulle semplificazioni.
In attesa di reazioni istituzionali, resta un fatto: la notte del decennale del Bataclan Torino ha assistito all’ennesimo gesto simbolico di un movimento che ha costruito la propria presenza sulla tensione costante. E il rischio, come spesso accade, è che il dibattito finisca per concentrarsi più sulla provocazione che sulla complessità reale del tema che pretende di affrontare.
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