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14 Novembre 2025 - 09:46
Gianandrea Gaiani, direttore della rivista online Analisi Difesa e tra i massimi esperti italiani di strategia militare.
Le Forze Aerospaziali Russe avrebbero colpito “il principale centro di intelligence radioelettronica dell’Ucraina e un aerodromo militare nella regione di Khmelnytskyi”. La notizia è stata diffusa lo scorso martedì, 11 novembre, dall’agenzia di Stato TASS, ma l’origine delle informazioni risulta più articolata: il Servizio di Sicurezza Federale russo (FSB), in un primo comunicato, ha dichiarato di aver sventato un piano dei servizi segreti ucraini e britannici per dirottare un MiG-31 armato con un missile ipersonico Kh‑47M2 Kinžal, mentre il Ministero della Difesa russo, in un secondo comunicato diffuso poche ore dopo, ha annunciato di aver condotto un attacco di precisione contro un centro SIGINT e l’aerodromo di Starokostiantyniv.
I due episodi - un sabotaggio sventato e un presunto raid punitivo - sono stati poi fusi dai media russi in un’unica narrazione, presentata come un’azione di risposta immediata di Mosca alla “provocazione occidentale”. Testate come Izvestia e TopWar hanno infatti collegato i due comunicati, sostenendo che l’attacco sia stato “la diretta conseguenza del piano ucraino-britannico neutralizzato dall’FSB”.
Secondo la versione diffusa da TASS, il piano di sabotaggio prevedeva di reclutare un pilota russo, offrirgli denaro e cittadinanza britannica, e far atterrare il MiG-31 in un Paese della NATO, “dove sarebbe stato esaminato o distrutto per simulare un atto di aggressione russa”.
Una ricostruzione che, almeno per ora, non trova alcuna conferma da fonti indipendenti. L’agenzia Reuters ha riportato la dichiarazione dell’FSB specificando che “non è stato possibile verificare in modo indipendente la versione dei fatti”. Nel frattempo, sui canali di Open Source Intelligence (OSINT), si registrano, nella stessa fascia oraria, allarmi aerei e decollo di MiG-31K dal territorio russo, ma nessuna immagine satellitare o video conferma impatti effettivi né a Brovary, sede del presunto centro SIGINT (Signal Intelligence Center), né sull’aerodromo di Starokostiantyniv, base storica dell’aviazione ucraina.

MiG-31 russo che trasporta un missile ipersonico Kinžal.
La ricognizione satellitare indipendente di Planet Labs, aggiornata alle ultime 24 ore, non mostra crateri o danni visibili nell’area indicata. Anche il Ministero della Difesa ucraino non ha rilasciato alcuna nota ufficiale sull’episodio, mentre Londra e la NATO si limitano al silenzio.
In assenza di conferme indipendenti, l’episodio sembra inserirsi nella doppia narrazione tipica del conflitto russo-ucraino: da un lato la versione dell’FSB, che parla di un sabotaggio sventato, dall’altro la rivendicazione del Ministero della Difesa russo, che lo presenta come pretesto per un’azione “preventiva”. Un doppio registro che sottolinea come, in questa guerra, le operazioni militari e quelle dell’informazione si sovrappongano, e come ogni comunicato ufficiale - o silenzio - diventi parte di una più ampia strategia di comunicazione.
Per comprendere appieno il significato di questo episodio, abbiamo chiesto un’analisi a Gianandrea Gaiani, direttore della rivista online Analisi Difesa e tra i massimi esperti italiani di strategia militare.

Dottor Gaiani, la Russia sostiene di aver colpito con missili ipersonici Kinžal un centro d’intelligence radioelettronica a Brovary e un aerodromo militare a Starokostiantyniv. Nessuna fonte indipendente però conferma. Quanto è credibile questa versione?
“Nessuno diffonde mai informazioni sui propri obiettivi colpiti, soprattutto se sono militari. Un raid su un aeroporto lascia in genere segni visibili. La base aerea di cui parlano i russi è quella dove ci sono gli aerei più importanti ed è già stata colpita più volte in passato: è quella dove l’Ucraina schiera i Suchoj Su-24M che imbarcano gli Storm Shadow e, secondo alcune fonti, anche gli F-16. Le ricognizioni satellitari possono confermare o smentire un attacco, ma bisogna capire se sia realmente avvenuto, se sia stato annunciato senza essere eseguito o se manchino immagini perché la pubblicazione è vietata trattandosi di un sito militare”.
Le immagini satellitari di Planet Labs non mostrano danni nei siti indicati. È possibile che un attacco con armi ipersoniche non lasci tracce?
“In passato è già accaduto che, in caso di obiettivi militari, un Paese colpito eviti la diffusione delle immagini dei danni. Planet Labs e altre fonti non mostrano tracce di un attacco con armi ipersoniche: questo può significare che la versione russa non sia veritiera oppure che non si vogliano rendere pubblici elementi che lo confermerebbero. È possibile che, soprattutto se supportato da molti alleati, un Paese cerchi di impedire la pubblicazione delle immagini dei siti colpiti. È successo anche in passato: durante gli attacchi iraniani contro basi israeliane, ad esempio, non furono diffuse molte immagini satellitari dei danni. D’altra parte, la maggior parte delle fonti satellitari è occidentale e quindi non pienamente indipendente”.
Perché Mosca avrebbe scelto proprio un centro SIGINT come obiettivo?
“Un centro SIGINT contribuisce direttamente alle capacità di intelligence ucraine e, secondo i russi, ospita anche personale NATO. Parliamo dunque di un obiettivo militare di alto valore strategico. In passato sono già stati colpiti comandi e centri d’intelligence in cui, sempre stando alla versione russa, era presente personale dell’Alleanza”.
FSB sostiene di aver sventato un piano ucraino e britannico per dirottare un MiG-31 armato con un Kinžal. È realistico?
“Ucraini, NATO e angloamericani avrebbero tutto l’interesse a corrompere un pilota russo: è già successo in passato. Se davvero si fosse tentato di reclutare il pilota di un MiG-31, l’obiettivo non sarebbe stato organizzare un’operazione sotto falsa bandiera, come sostiene Mosca, ma ottenere il missile ipersonico Kinžal, che oggi nessun sistema di difesa occidentale è in grado di intercettare e che sarebbe estremamente utile studiare. La ricostruzione russa di un complotto ucraino e britannico mi sembra poco credibile: è più plausibile che si volesse entrare in possesso del Kinžal, non del velivolo. Un precedente esiste: un pilota di elicottero russo fu corrotto con denaro e promessa di cittadinanza, portò il suo velivolo in territorio ucraino e, secondo varie fonti, venne poi ucciso in Spagna dai servizi russi. Se davvero fossero stati offerti tre milioni di dollari e un passaporto occidentale, è evidente che l’interesse non era condurre un’azione false flag (falsa bandiera, ndr.), ma mettere le mani su un missile intatto. Il MiG-31 è un vecchio caccia sovietico aggiornato; il suo valore strategico risiede proprio nel trasporto del Kinžal. Studiare da vicino un’arma ipersonica sarebbe un vantaggio enorme per gli angloamericani, che stanno sviluppando dei loro missili ipersonici, ma stanno anche cercando di sviluppare dei sistemi di difesa aerea in grado di intercettarli, cosa che attualmente non è possibile”.
Il Cremlino accusa apertamente il Regno Unito. Mosca sta cercando di ridefinire il conflitto come uno scontro diretto con la NATO?
“La Russia non ha alcun interesse ad allargare il conflitto alla NATO. Chi avrebbe convenienza a un coinvolgimento più diretto dell’Alleanza sono gli ucraini, che chiedono armi capaci di colpire in profondità la Russia e che, per complessità tecnica, non potrebbero impiegare senza personale NATO sul posto. Gli Storm Shadow forniti da Regno Unito e Francia ne sono un esempio: richiedono tecnici e militari dell’Alleanza in Ucraina per essere utilizzati. È anche la ragione per cui la Germania non ha mai fornito i Taurus. L’ex cancelliere Scholz lo disse chiaramente: per fornire quei missili sarebbe stato necessario inviare tecnici e militari tedeschi in Ucraina, un’operazione vietata dalla Costituzione e che avrebbe coinvolto direttamente la Germania nel conflitto, aumentando il rischio di escalation. In questo contesto, la Gran Bretagna appare tra i Paesi più determinati a spingere per un ruolo più diretto dell’Alleanza, e scenari di operazioni sotto falsa bandiera aumentano il rischio di un coinvolgimento NATO. Ma non è Mosca a cercare l’escalation: per i russi la priorità resta vincere in Ucraina, che nella loro ottica serve a scongiurare una guerra con la NATO. E sul terreno, infatti, avanzano lentamente ma in modo costante”.
Il Kinžal è stato presentato da Putin come un’arma impossibile da intercettare. Eppure Kiev sostiene che i Patriot americani ne avrebbero abbattuti alcuni: quanto è credibile questa versione?
“Gli ucraini hanno più volte sostenuto di aver intercettato dei Kinžal con i sistemi Patriot, ma le immagini dei relitti mostrati non appartenevano a missili ipersonici: erano missili da crociera, molto più lenti e con un profilo di volo completamente diverso. Finora non esiste alcuna prova concreta dell’abbattimento di un Kinžal. Tra l’altro, gli ultimi dati, riportati anche da media statunitensi, indicano un forte calo dell’efficacia dei Patriot contro missili balistici convenzionali, come gli Iskander: il tasso di intercettazione sarebbe sceso dal 34 al 6 per cento. È quindi difficile immaginare che possano fermare un’arma ipersonica. I Kinžal, inoltre, vengono utilizzati con grande parsimonia: ne esistono pochi e sono riservati a obiettivi strategici di alto valore. La Russia sa che, allo stato attuale, nessun sistema occidentale è in grado di intercettarli, e finora nessuna evidenza indica il contrario”.
Parliamo di guerra dell’informazione: quanto conta oggi la comunicazione militare rispetto alle operazioni sul terreno?
“Le operazioni sul campo restano quelle che determinano chi avanza e chi arretra. La guerra dell’informazione può servire a mascherare sconfitte, amplificare successi o orientare il racconto pubblico, ma non decide l’esito di una battaglia. Il suo peso è soprattutto politico: è utile a motivare le opinioni pubbliche interne, non a cambiare l’andamento del fronte. Un esempio è il bombardamento mediatico che da 2 mesi a questa parte subiamo sulla presenza dei droni sui cieli del Nord Europa, tra l'altro, sui cieli dei paesi più, diciamo, bellicosi nei confronti della Russia: ogni giorno russi e ucraini abbattono decine, a volte centinaia di velivoli, eppure sembra che i Paesi NATO non riescano a neutralizzare quelli che sorvolerebbero i loro cieli. È un messaggio che alimenta la percezione di una minaccia imminente, più che una reale fotografia delle operazioni. La guerra dell’informazione serve infatti a rafforzare narrazioni politiche: convincere l’opinione pubblica che i russi sarebbero pronti a invadere l’Europa o, al contrario, far credere che Kiev possa vincere questa guerra. Non a caso, nelle ultime settimane si è parlato poco del collasso delle roccaforti ucraine sul fronte: evidenziare quelle difficoltà sarebbe controproducente per chi sostiene che l’Ucraina sia in grado di ribaltare la situazione. Un altro esempio è la campagna del 2022 sulle presunte gravi malattie di Putin, che avrebbe dovuto morire nel giro di pochi mesi: una narrativa pensata per influenzare l’opinione pubblica russa, poi smentita dai fatti. La propaganda è un’arma che in guerra viene sempre usata: non cambia l’esito delle operazioni sul campo, ma può incidere sulle percezioni politiche e, di conseguenza, sulla volontà di alcune nazioni di continuare a sostenere l’Ucraina. In Europa non abbiamo un problema reale di disinformazione russa: su centomila notizie che circolano ogni giorno, forse una proviene da Mosca, spesso attraverso le ambasciate. La stragrande maggioranza delle informazioni che riceviamo è invece di matrice filo-ucraina, perché media e politica diffondono quasi esclusivamente quella narrativa. Il punto, però, è che questa propaganda è stata costruita male: l’opinione pubblica le crede sempre meno, così come non dà più peso ai continui allarmi della NATO che ci vorrebbe tutti sotto tiro dei russi o coi russi pronti a parcheggiare i loro carri armati nei nostri giardini”.
Anche sulle perdite dei militari russi vi è disinformazione?
“Anche qui, continuare a dire che i russi subiscono perdite spaventose ogni volta che conquistano 1 km di territorio, diventa difficile farlo, soprattutto se si fanno valutazioni militari. I russi hanno una capacità, un volume di fuoco, una superiorità in termini di mezzi, di potenze di potenza di fuoco aerea, di artiglieria, di droni e anche di numero di soldati che è schiacciante nei confronti degli ucraini, in alcuni casi 8, 9 a 1 addirittura e, generalmente, chi esprime maggiore potenza di fuoco non è quello che subisce più perdite. Il problema delle perdite ce l'hanno gli ucraini. Infatti, i russi continuano ad arruolare 350, 400 mila volontari all'anno volontari, che vanno a combattere, si arruolano volontari con questi contratti annuali rinnovabili e gli ucraini, invece, devono reclutare la gente a forza per strada. E gli ucraini si nascondono, scappano all'estero per non farsi arruolare. È un dato che parla da sé. La propaganda non può contraddire il buon senso troppo a lungo: se si ripete che Mosca è allo stremo, che combatte con i badili o che ruba chip dalle lavatrici e poi sul terreno continua ad avanzare, la narrazione perde credibilità. Vale lo stesso per la presunta “minaccia russa”: se per anni si annuncia un’invasione imminente che non si verifica, l’opinione pubblica finisce per non crederci più, come sta accadendo oggi in Europa. Non è la propaganda russa a risultare vincente in Occidente; è la nostra a perdere efficacia. La propaganda di Mosca funziona soprattutto in Russia, mentre qui semplicemente sempre meno persone si fidano della narrazione filo-ucraina. È una questione di buon senso: se si grida continuamente al lupo e il lupo non arriva, quando davvero si presenta nessuno presta più attenzione. Non sorprende quindi che in molti Paesi europei cali il sostegno al riarmo e cresca lo scetticismo verso l’idea di un’aggressione russa. Il problema, insomma, non è che gli europei credano alla propaganda del Cremlino, ma che non credono più alla nostra”.
BOX informativo: Chi è Gianandrea Gaiani?
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.
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