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14 Novembre 2025 - 02:34
Giappone assediato: orso in aeroporto, tredici morti e polizia autorizzata a sparare
L’atterraggio sta per chiudersi, il carrello è già fuori, i passeggeri stretti nelle cinture mentre il pilota segue la centerline come su un binario. Poi qualcosa spezza la geometria perfetta della pista: un guizzo scuro, incerto, che sbuca dal bordo dell’asfalto e si lancia verso il centro della runway. È un cucciolo di orso, comparso senza preavviso nell’aeroporto di Hanamaki, prefettura di Iwate. In pochi secondi il pomeriggio ordinario diventa un’emergenza: lo scalo si blocca, le operazioni si fermano, e il rumore dei motori lascia spazio al ronzio delle radio di polizia e addetti aeroportuali. L’allarme parte da un lavoratore del sedime; pattuglie e squadre airside corrono tra fossi ed erbacce, ma dell’animale non rimane nulla se non la scia di panico che ha lasciato dietro di sé. È il 12 novembre 2025, ma la sensazione è quella di una sequenza già vista, parte di un copione che il Giappone conosce ormai a memoria: orsi che escono dai boschi e irrompono in spazi dove la natura non dovrebbe arrivare.
Secondo le ricostruzioni, l’avvistamento sarebbe avvenuto attorno alle 13:05. Il piccolo plantigrado avrebbe attraversato l’apron, poi la pista, per sparire verso le zone erbose ai margini del perimetro. La direzione decide una chiusura immediata, la pista resta interdetta fino alle 14:30, due decolli vengono ritardati, alcuni arrivi slittano. Nessun ferito, ma una domanda rimane sospesa: come ha fatto un cucciolo a superare una recinzione alta più di due metri, teoricamente impenetrabile? È un interrogativo che pesa, perché Hanamaki non è il primo scalo regionale vittima di intrusioni, e non sarà l’ultimo.
L’episodio richiama infatti quanto accaduto a Yamagata solo pochi mesi prima. Lì un orso nero asiatico, giovane e confuso, era comparso e ricomparso nel sedime per ore, fino a correre lungo la pista in pieno giorno il 26 giugno 2025. Dodici voli cancellati, ripetute chiusure e un’immagine rimasta impressa in tutto il Paese: un veicolo di servizio che, con i lampeggianti blu accesi, inseguiva l’animale sull’asfalto. L’ufficiale aeroportuale Akira Nagai aveva parlato di “stallo” e di una possibile chiusura fino a sera. Alla fine la pista aveva riaperto, l’orso invece era rimasto un fantasma tra i campi.
Non sono fatti isolati. Il Ministero dell’Ambiente registra da anni una crescita rapida e costante degli incontri uomo–orso. Tra aprile e novembre 2023 si sono contati 193 attacchi, con 212 persone ferite e sei morti: il dato più alto da quando esistono statistiche uniformi. Nell’anno fiscale successivo il numero sale a 219, stesso tragico bilancio di vittime. Nel 2025, complice un autunno povero di ghiande e un ecosistema sbilanciato, la tendenza peggiora ancora: gli esperti parlano del quadro “più grave dall’inizio delle serie storiche”. E mentre il Paese si confronta con un fenomeno che non è più solo faunistico ma sociale, oggi entra in vigore una decisione senza precedenti: il governo giapponese autorizza la polizia a utilizzare fucili ad alta potenza per abbattere gli orsi quando rappresentano un pericolo immediato. Le pistole di ordinanza non bastano, spiegano i funzionari, e l’urgenza parla da sola: da aprile gli orsi hanno ucciso tredici persone e quasi ogni giorno vengono segnalati ingressi nelle case, avvicinamenti alle scuole, apparizioni nei parcheggi dei supermercati.
Secondo le autorità, l’emergenza nasce da una combinazione di fattori: popolazione degli orsi in crescita esplosiva, un raccolto di faggiole disastroso, lo spopolamento delle aree rurali e il declino delle comunità venatorie che un tempo facevano da filtro naturale. Nelle prefetture di Akita e Iwate, le più colpite, giovedì è stata organizzata perfino una cerimonia dedicata alle unità antisommossa, chiamate ad assistere i corpi locali nella gestione degli incidenti. Le forze americane a Tokyo osservano la situazione con attenzione, al punto che l’ambasciata degli Stati Uniti ha emesso un avviso di “allerta fauna selvatica”, chiedendo ai cittadini di evitare passeggiate solitarie nelle zone con avvistamenti. Lo stesso giorno è stato temporaneamente chiuso uno zoo a Sapporo, dopo la comparsa di alcuni esemplari nelle vicinanze. Anche il governo britannico ha diffuso raccomandazioni analoghe.
Intanto l’episodio di Hanamaki conferma quanto la crisi stia diventando capillare: mercoledì un nuovo cucciolo è comparso vicino allo scalo, la pista è stata chiusa per oltre un’ora, due voli interni hanno accumulato ritardi, mentre la settimana precedente il governo aveva iniziato a dispiegare soldati nella regione di Akita, specificando che non saranno armati e non parteciperanno alle battute di caccia, ma supporteranno logistica, trasporti, prevenzione.
Negli aeroporti regionali il problema è particolarmente evidente. Piste circondate da boschi, aree agricole adiacenti, recinzioni che risalgono a decenni fa, basse densità di traffico che non giustificano investimenti da grande hub: è il contesto perfetto per intrusioni improvvise. A Hanamaki è in corso un progetto pilota con trenta telecamere che sorvegliano i corsi d’acqua, considerate le “autostrade” naturali degli orsi. Si parla di recinzioni anti-scavalcamento, sensori termici, radar e sistemi di riconoscimento automatico per allertare le squadre di intervento prima che un animale arrivi sulla pista.
La cronaca del cucciolo sbucato sull’asfalto, la sospensione delle operazioni, la caccia silenziosa nei fossi e la successiva scomparsa dell’animale valgono più di un titolo pittoresco. Raccontano un Paese che vive sul margine sottile tra wilderness e infrastrutture, tra natura che avanza e territori che arretrano. Non è solo questione di fucili più potenti o di recinzioni più alte: è la fotografia di un equilibrio che il Giappone sta perdendo, e che oggi basta un’ombra in movimento per far crollare. Perché un orso sulla pista può fermare un aeroporto, ma soprattutto ricorda a tutti che la natura, quando decide di entrare nelle nostre città, non chiede permesso.
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