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12 Novembre 2025 - 23:08
“Racconti di montagna”, a Lanzo debutta la rassegna del Cai con E.C. Bröwa
Martedì 11 novembre, nel salone ex ATL di Lanzo Torinese, ha preso ufficialmente il via la nuova rassegna culturale promossa dal CAI di Lanzo dal titolo “Racconti di montagna”. Un progetto pensato per raccontare e condividere storie, esperienze e emozioni legate al mondo alpino, che aspira a diventare un appuntamento fisso per gli amanti della montagna e della letteratura. Gli incontri, a cadenza bimestrale, si terranno alle ore 21 presso il salone di piazza Rolle e ospiteranno autori locali e nazionali che hanno fatto della montagna il cuore delle proprie narrazioni.
La serata inaugurale ha avuto come protagonista E.C. Bröwa, autore del romanzo “Quei giorni d’inverno”, intervistato con sensibilità e competenza da Francesca Rocci. Un dialogo intenso, scandito dal ritmo pacato delle storie di alta quota, in cui Bröwa ha accompagnato il pubblico in un viaggio tra freddo, neve e silenzi interrotti solo dal vento e dal respiro degli uomini che abitano la montagna.
Nel suo romanzo, infatti, due protagonisti – entrambi frequentatori abituali dell’ambiente alpino – si confrontano con la natura e con sé stessi, interpretando il paesaggio in modi diversi, a volte opposti. Una storia di freddo, di neve e di due uomini, come recita il sottotitolo, ma anche un racconto sulla solitudine, sulla resistenza e sulla forza dell’amicizia che nasce e si misura nei giorni più duri dell’inverno.
Il pubblico, numeroso e partecipe, ha seguito con attenzione l’incontro, ponendo domande e curiosità che hanno permesso all’autore di approfondire i temi del suo libro e di raccontare aneddoti legati alla genesi del romanzo e alle sue esperienze personali in montagna. L’atmosfera calda e raccolta del salone ha reso la serata un autentico momento di condivisione, nel segno di quella passione per la montagna che il CAI di Lanzo intende valorizzare anche attraverso la cultura.
La rassegna “Racconti di montagna” proseguirà nel 2026 con due nuovi appuntamenti già in programma:
martedì 20 gennaio con Gianni Castagneri, che presenterà “Pian della Mussa, la perla delle Alpi”, e martedì 10 marzo con Alessandro Mella, autore di “I falò proibiti ed altre storie”.
Due serate che promettono di proseguire nel solco tracciato da Bröwa: quello di una montagna che parla di uomini, di emozioni e di vita vera, lontano dai luoghi comuni e vicino al cuore di chi la vive ogni giorno.
Tra i boschi e le valli alte della Val Grande di Lanzo, dove il silenzio ha il suono del vento che corre tra gli abeti, della neve che cade lenta e dei passi che scricchiolano sul sentiero, E.C. Bröwa ha scelto di restare. È uno di quegli scrittori che non ha mai reciso il filo con le proprie radici: la montagna non è solo il paesaggio che abita, ma la materia viva di cui sono fatte le sue parole. È lì, tra le rocce, i torrenti e le borgate abbandonate, che la sua voce si è formata, trovando nella natura un linguaggio essenziale, duro e poetico al tempo stesso. “Vivo in montagna, dove spero di rimanere per sempre, poiché non potrei immaginarmi in un luogo diverso”, ha confidato in un’intervista, con quella semplicità che appartiene solo a chi conosce la montagna non per averla scalata, ma per averla vissuta ogni giorno.
Il suo è un nome d’arte, ma non una maschera. Bröwa è infatti il soprannome storico della sua famiglia nel patois delle Valli di Lanzo: un segno d’appartenenza più che uno pseudonimo, un modo per dire che le radici non si cancellano, ma si tramandano. Eward C. Bröwa, questo il suo nome completo, risiede a Chialamberto, un piccolo comune della Val Grande dove da generazioni è radicata la sua famiglia. Lì, circondato dai boschi e dai suoni puri della montagna, trova la sua ispirazione quotidiana. È un luogo appartato e autentico, dove la scrittura nasce dal contatto diretto con la terra, con l’acqua dei torrenti e con le voci antiche della valle.
Bröwa scrive per dare voce alla montagna e a chi la abita, per raccontare le vite che si intrecciano nei paesi dove l’inverno arriva presto e parte tardi, dove ogni gesto quotidiano diventa una forma di resistenza, e ogni stagione lascia cicatrici di neve o di sole sul volto della gente. La sua produzione letteraria è un lungo dialogo con la natura: libri come “L’albero”, “L’anima della montagna”, “Le nove Valli Gemelle” e “Di roccia, di acqua… e di umani” compongono un mosaico che unisce racconto, introspezione e memoria collettiva.
Non c’è esotismo, non c’è nostalgia artificiale: la montagna di Bröwa è concreta, faticosa, viva. Nei suoi testi si sente l’odore del muschio bagnato, il respiro dell’inverno, il passo lento degli uomini che sanno che la montagna non perdona, ma accoglie chi la rispetta.
Nel romanzo “Quei giorni d’inverno”, presentato di recente alla rassegna “Racconti di montagna” organizzata dal CAI di Lanzo, Bröwa racconta la vicenda di due uomini che si confrontano con la neve e con se stessi, in un duello più interiore che fisico. Il sottotitolo, “Una storia di freddo, di neve e di due uomini”, riassume in poche parole una filosofia: quella della montagna come specchio dell’esistenza. Lì dove l’aria è più sottile e il silenzio più assoluto, emergono le fragilità e le verità che la pianura nasconde. Ogni salita diventa una prova, ogni vetta una conquista temporanea, perché il giorno dopo si riparte, e la montagna, indifferente, resta.
Il suo stile è essenziale, limpido, privo di orpelli. Le frasi scorrono lente, come passi in salita. Ogni parola sembra nascere dal contatto diretto con la terra e con il cielo, dal respiro stesso del paesaggio. C’è qualcosa di ancestrale nella sua scrittura, un rispetto profondo per un mondo che molti osservano da lontano, ma che lui conosce dall’interno, con la confidenza di chi ne ha condiviso le fatiche e le bellezze.
E.C. Bröwa è, in fondo, uno degli ultimi narratori autentici della montagna vera: non quella delle cartoline patinate o dei racconti romantici, ma quella vissuta, quella che plasma l’uomo e lo misura, lo tempra e lo mette alla prova. Nei suoi libri si avverte la stessa tensione che anima chi cammina in silenzio sulla neve, sapendo che ogni passo, per quanto faticoso, è un modo per ritrovarsi.
E forse è proprio questo il segreto del suo successo: la capacità di raccontare la montagna non come un altrove, ma come una parte di sé.
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