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12 Novembre 2025 - 18:08
Muro sulla Linea Blu: Israele scava, il Libano minaccia, l’Onu conta i barili
La scena, raccontano i cronisti locali, è insieme ordinaria e inquietante: betoniere che ribaltano blocchi di cemento, escavatori che aprono varchi nel terreno sassoso, soldati che osservano a distanza e quei cilindri verniciati d’azzurro — i “barili blu” dell’Onu — allineati davanti a un tracciato che separa, più che un confine, una lunga sospensione della storia. Accade nel settore centrale della Linea Blu, di fronte al villaggio libanese di Yarun e alla località israeliana di Yiron. Secondo media libanesi, Israele ha avviato la costruzione di un nuovo tratto di muro in un’area che Beirutconsidera “contesa”. Da Tel Aviv, la risposta è l’esatto contrario: il muro sarebbe “interamente dal lato israeliano”. Una disputa di metri e parole che pesa tonnellate sulla sicurezza di due Paesi già logorati da un anno di scontri a bassa intensità e da un fragile cessate il fuoco.

L’agenzia ANSA riferisce che i lavori sono stati documentati da media libanesi nel settore centrale della Linea Blu, in corrispondenza di Yarun e, sul lato opposto, Yiron. Il primo allarme è arrivato dal corrispondente di al-Manar, la tv legata a Hezbollah, Ali Shoeib. Il sito israeliano JNS cita una posizione ufficiale dell’IDF: il muro “si trova interamente sul lato israeliano” e “non oltrepassa” la Linea Blu, respingendo le accuse di sconfinamento. Testimonianze e immagini circolate su media libanesi e regionali collocano il cantiere davanti ad altri centri del sud, tra Maroun al-Ras e Aitaroun, e in prossimità di una nuova posizione militare israeliana nell’area di Jabal al-Batt. Una fonte UNIFIL, interpellata dal quotidiano libanese francofono L’Orient Today, ha spiegato — sulla base di foto dove si vedono i “barili blu” davanti al muro — che i lavori appaiono “a sud della Linea Blu”, dunque dal lato israeliano, pur ribadendo la richiesta che “le forze israeliane si ritirino da tutte le aree di territorio libanese dove sarebbero ancora presenti”. La presenza del cantiere è quindi confermata, ma la sua collocazione resta oggetto di una narrativa contrapposta. E proprio i “barili blu” sembrano, per una volta, avvalorare la versione israeliana.
La Linea Blu, lunga circa 120 chilometri, non è un confine internazionale ma una “linea di ritiro” tracciata nel 2000 dall’Onu per certificare il ritiro israeliano dal sud del Libano, in attuazione della risoluzione 425 del Consiglio di Sicurezza. Una parte del tracciato è marcata sul terreno con i famosi “barili blu”, ma non ovunque; in molti punti, le recinzioni e i muri costruiti dalle parti non coincidono con la linea di ritiro. Ogni attraversamento, via terra o in volo, costituisce una violazione della risoluzione 1701, adottata nel 2006 dopo la guerra tra Israele e Hezbollah. Negli ultimi mesi, il confine è tornato a sanguinare: una scia di raid, razzi e droni ha svuotato villaggi su entrambi i lati e incrinato il cessate il fuoco del 2024. Gli Stati Uniti hanno moltiplicato i contatti diplomatici per evitare un conflitto su larga scala, definito dal capo del Pentagono, Lloyd Austin, “catastrofico per entrambe le parti”.
Dal punto di vista israeliano, la costruzione di barriere lungo segmenti della Linea Blu non è una novità. Già nel 2018 l’IDF e la Direzione “Borders and Security Fence” del Ministero della Difesa avevano avviato tratti di muro in calcestruzzo alti fino a nove metri, con l’obiettivo di proteggere centri abitati e inibire infiltrazioni. In quel ciclo si parlò di un progetto da circa 1,7 miliardi di shekel, con segmenti prioritari vicino a Metula, Misgav Am e Rosh Hanikra. Dopo la scoperta dei tunnel transfrontalieri attribuiti a Hezbollah nell’operazione Northern Shield (dicembre 2018–gennaio 2019), la funzione di deterrenza fisica delle barriere è diventata un tassello essenziale della dottrina difensiva israeliana. L’UNIFIL ha confermato che almeno alcuni tunnel attraversavano la Linea Blu, qualificandoli come violazioni della 1701: un precedente che oggi rafforza la giustificazione di nuovi segmenti di cemento e acciaio.
Sul lato libanese, invece, autorità locali e media denunciano da mesi “opere unilaterali” israeliane lungo la Linea Blu e “violazioni” del territorio: incursioni, distruzioni di edifici e abbattimenti di boschi in villaggi come Yaroun, Aita al-Shaab e Maroun al-Ras. Per Beirut, il nuovo muro non è un episodio isolato ma l’ennesimo atto di una pressione crescente che mina la sovranità nazionale. Dispacci della National News Agency e media locali hanno segnalato segmenti di “muro di separazione” completati o in corso tra Yarin e Dhayra, con danni a proprietà private. Resoconti frammentari, scritti spesso in un contesto di propaganda bellica, ma che restituiscono la percezione libanese di una pressione “a tenaglia” fatta di cantieri, ingegneria e presenza militare.
La risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu è la cornice giuridico-politica che ha chiuso il conflitto del 2006 tra Israele e Hezbollah: prevede il cessate il fuoco, il dispiegamento ampliato di UNIFIL, la creazione di una zona tra la Linea Blu e il fiume Litani “libera da personale armato non statale”, il ritiro israeliano e il dispiegamento dell’esercito libanese nel sud. Ogni attraversamento della Linea Blu è considerato una violazione. Ma la stessa UNIFILammette che solo circa metà della linea è fisicamente marcata sul terreno: ed è su questo margine di incertezza che prosperano ambiguità, tensioni e reciproche accuse.
Mentre i mezzi da cantiere spingono blocchi di cemento, i telefoni della diplomazia non tacciono. Washington lavora da settimane a una “intesa” che metta in sicurezza il confine nord di Israele e consenta il rientro degli evacuati, riducendo il rischio di un conflitto aperto con Hezbollah. Il 6 novembre 2025, Lloyd Austin ha ribadito che un’escalation sarebbe “catastrofica”, sottolineando l’interesse americano per una soluzione diplomatica anche in correlazione con la riduzione delle operazioni israeliane a Gaza. Ma sul terreno, a giorni alterni, si registrano attacchi e contro-attacchi che tengono alta la temperatura militare e politica. In questo quadro, l’UNIFIL — missione rinnovata fino al 2026 — continua a svolgere il ruolo di cuscinetto e verifica, sollecitando entrambe le parti a coordinare ogni attività in prossimità della Linea Blu per evitare incidenti.
Nei momenti di massima tensione, Israele ha spesso accelerato la posa di barriere fisiche: nel 2015 e soprattutto nel 2018, tratti di muro alti fino a nove metri sono sorti tra Metula e Misgav Am, tra Rosh Hanikra e Shlomi, con la motivazione della protezione delle comunità locali. Beirut contestò da subito alcuni segmenti, ricorrendo al canale di reclamo UNIFIL. La scoperta e distruzione dei tunnel nel 2018 ha poi trasformato il muro in “sistema di sicurezza”, più che simbolo politico. Da allora, ogni nuovo blocco di cemento è anche un blocco di memoria.
Intanto, lungo la cintura di villaggi del Bint Jbeil District — Yaroun, Aita al-Shaab, Maroun al-Ras, Aitaroun — la geopolitica è quotidianità. Qui, uliveti e case sono stati rasi al suolo, boschi bruciati, comunità costrette alla fuga. Per chi resta, i cantieri di un muro offrono forse l’illusione di ordine; per chi vive dall’altra parte, sono il simbolo di una nuova frattura. La differenza tra “confine” e “linea di ritiro” è più che semantica: per Beirut, la Linea Blu non cancella rivendicazioni come quelle sulle Fattorie di Shebaa; per Israele, una recinzione “dietro” la linea è pienamente legittima, in nome della sicurezza. Il diritto internazionale, qui, offre cornici ma non soluzioni definitive. Finché manca una delimitazione di confine negoziata, ogni muro rischia di diventare una postilla geopolitica in cerca d’autore.
Il segmento in costruzione tra Yarun e Yiron è, in sé, un’opera di ingegneria militare. Ma la sua importanza supera di gran lunga i metri cubi di cemento: racconta la fragilità di un equilibrio che da quasi vent’anni si regge su una linea provvisoria e su una risoluzione più volte violata; svela l’asimmetria di potenza ma anche quella delle paure; mette a nudo quanto la sicurezza di uno sia percepita come minaccia dall’altro. Finché il confine resterà una linea provvisoria, ogni muro sarà una frase fatta e mai chiusa. E a pagare il prezzo, come sempre, saranno le comunità che vivono a ridosso di quei barili blu.
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