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Zelensky taglia le teste: via due ministri travolti dallo scandalo Energoatom

Il presidente ucraino chiede le dimissioni dei titolari di Giustizia ed Energia, annuncia sanzioni e promette una bonifica profonda nel cuore del sistema nucleare. In gioco non c’è solo la legalità: è la fiducia di un Paese in guerra che rischia di spegnersi nei blackout

Zelensky taglia le teste: via due ministri travolti dallo scandalo Energoatom

Zelensky taglia le teste: via due ministri travolti dallo scandalo Energoatom

Il presidente ucraino chiede le dimissioni dei due titolari di dicastero, annuncia sanzioni contro due persone coinvolte e promette una bonifica profonda nell’energia. In gioco non c’è solo la legalità: è la credibilità del Paese sotto attacco e alla prova dei blackout.

Una capitale che alterna luci e buio, quartieri dove i generatori ronzano mentre gli allarmi aerei tagliano la notte. È in questa cornice che Volodymyr Zelensky rompe gli indugi e mette sul tavolo la carta più politica che ha: la fiducia. “È una questione di fiducia”, dice, chiedendo l’uscita di scena dei ministri della Giustizia e dell’Energia e annunciando un decreto di sanzioni contro due persone indicate nelle carte degli inquirenti sul caso Energoatom, la compagnia nucleare statale. Una mossa che scuote Kyiv nel mezzo di blackout e nuovi attacchi russi contro le infrastrutture, e che punta a spezzare l’idea — politicamente devastante — che nel cuore del sistema energetico ucraino resistano ancora “schemi” opachi mentre il Paese combatte una guerra esistenziale.

Nel mirino del presidente finiscono il ministro della Giustizia Herman Halushchenko e la ministra dell’Energia Svitlana Grynchuk. Il primo, già titolare dell’Energia fino a luglio, è stato sospeso dal governo ed è indagato nell’ambito di un’inchiesta che ruota attorno a presunte tangenti e mazzette legate a contratti nel comparto nucleare; la seconda si è messa a disposizione del Parlamento per consentire un rapido avvicendamento politico. Zelensky chiede esplicitamente le dimissioni di entrambi, invitando la Verkhovna Rada ad approvare la scelta “per ragioni di affidabilità del governo” mentre il procedimento penale seguirà il suo corso.

Secondo le autorità anticorruzione, l’indagine — che negli atti interni porta il nome in codice di Operazione Midas — riguarda un presunto sistema di tangenti per circa 100 milioni di dollari su appalti ed accordi collegati a Energoatom. Nella rete degli investigatori sono finite cinque persone arrestate e sette indagate a vario titolo per corruzione, abuso d’ufficio e possesso di beni sproporzionati: tra loro un imprenditore descritto come possibile “regista” dell’operazione, un ex consigliere del ministro dell’Energia e un dirigente della società nucleare. Le attività ispettive — intercettazioni e perquisizioni — sarebbero durate quindici mesi, con circa mille ore di ascolti e settanta perquisizioni in tutta l’Ucraina.

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Gli inquirenti indicano come figura-chiave il businessman Timur Mindich, imprenditore dei media ed ex socio in affari nell’universo di Kvartal 95, la casa di produzione da cui è nato il percorso pubblico dello stesso presidente. Un dettaglio politicamente sensibile, perché tocca l’orbita più vicina al capo dello Stato, che però rivendica la necessità di “non fare sconti a nessuno”. È un passaggio che Zelensky vuole rendere simbolico: il segnale che nessuna fedeltà personale può valere più della fiducia istituzionale.

Mentre il presidente chiede al governo di formalizzare le dimissioni dei due ministri e ai deputati di ratificarle, sul fronte operativo si registrano i primi avvicendamenti. La premier Yuliia Svyrydenko ha comunicato la sospensione di Halushchenko e il passaggio ad interim delle funzioni alla viceministra Liudmyla Suhak, con delega all’integrazione europea. È un gesto di continuità amministrativa che evita vuoti di potere in un settore vitale per la sopravvivenza del Paese.

Zelensky annuncia inoltre che firmerà un decreto per applicare sanzioni a due persone coinvolte nell’inchiesta: il provvedimento passerà dal Consiglio per la Sicurezza e la Difesa Nazionale (NSDC) su proposta del gabinetto dei ministri, un percorso già attivato più volte in tempo di guerra per colpire individui e reti economiche considerate una minaccia. Il messaggio è chiaro: la magistratura farà il suo corso, ma il governo deve agire subito. Parallelamente, è stato deciso lo scioglimento del consiglio di sorveglianza di Energoatom e un audit completo della governance, con l’obiettivo di ricostruire da zero i meccanismi di controllo e di apertura ai partner internazionali. Kyiv punta a un nuovo board trasparente, in dialogo con il G7, per blindare procedure e controlli in un settore che rappresenta la spina dorsale della resilienza civile sotto i missili russi.

In tempi normali, un’inchiesta di questo peso sarebbe già un terremoto politico. In tempo di guerra, è un rischio sistemico. La rete elettrica ucraina è da mesi bersaglio costante delle forze russe, che colpiscono centrali e snodi nevralgici per fiaccare la resistenza civile. Il risultato sono blackout a macchia di leopardo, interruzioni programmate, ospedali e scuole che dipendono dai generatori. Sapere che, dentro quel sistema sotto assedio, qualcuno avrebbe speculato sui contratti mina la fiducia pubblica e alimenta la propaganda del Cremlino. Per questo Zelensky parla di “questione di fiducia” e di necessità di una reazione rapida, visibile, inequivocabile.

Ma il significato dello scandalo va oltre i confini nazionali. La lotta alla corruzione è uno dei criteri fondamentali su cui Unione Europea e Stati Uniti valutano il percorso di riforme ucraine e la capacità del Paese di avanzare verso l’integrazione euroatlantica. Ogni segnale di opacità rischia di rallentare aiuti e investimenti; ogni segnale di pulizia e reazione immediata, al contrario, rafforza la credibilità internazionale. È questa la cornice in cui si inserisce il pacchetto di misure immediate su Energoatom e la richiesta di dimissioni dei ministri.

Secondo la NABU e la Procura Anticorruzione (SAPO), il cuore dello schema illecito consisterebbe in sovrafatturazioni e tangenti su contratti della filiera nucleare, per un flusso stimato di circa 100 milioni di dollari. Le prove raccolte includono intercettazioni, pedinamenti e analisi documentali; negli audio diffusi, gli interlocutori usano codici per riferirsi a pagamenti e “coperture”. Le misure cautelari già eseguite riguardano cinque arresti e sette iscrizioni a registro per corruzione e arricchimento illecito. Tra gli indagati spiccano un ex consigliere ministeriale e un dirigente di Energoatom.

Il nome di Timur Mindich, imprenditore dei media considerato il perno del sistema, accende riflettori politici delicatissimi: la sua vicinanza in passato all’ambiente di Kvartal 95 — lo stesso da cui proveniva Zelensky — trasforma l’indagine in una prova di trasparenza per l’intero vertice del potere. Gli inquirenti sostengono che avrebbe esercitato pressioni illecite sul ministro, accusa che la difesa nega. L’effetto, però, è lo stesso: costringe il presidente a muoversi su un crinale tra lealtà personale e responsabilità pubblica.

Dal canto suo, Halushchenko ha definito la sospensione “una scelta civile e appropriata” e ha promesso di difendersi nelle sedi giudiziarie, dichiarando di non aggrapparsi alla poltrona. Zelensky, intanto, ha chiesto alla premier Svyrydenko di assicurare che le dimissioni vengano presentate “nel modo più rapido possibile”, invitando i deputati della Verkhovna Rada a sostenerle. È un copione studiato: creare una cesura netta tra la gestione politica, che richiede velocità, e l’accertamento giudiziario, che necessita di tempo e garanzie.

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Le autorità e la stessa Energoatom garantiscono che le operazioni tecniche della rete nucleare proseguono regolarmente, un aspetto essenziale per sostenere la popolazione durante l’ondata di attacchi russi all’infrastruttura energetica. Non è solo un fatto amministrativo, ma un tema di sicurezza nazionale: l’energia, in Ucraina, è parte della strategia di guerra.

Tra le imprese pubbliche, Energoatom è la più strategica. Fornisce una quota decisiva dell’elettricità nazionale e assicura la stabilità della rete nei mesi più critici, quando i consumi crescono e le centrali termiche vengono colpite. Un suo indebolimento, anche solo reputazionale, può tradursi in minori investimenti, in diffidenza dei partner europei e in maggiori costi di finanziamento. Da qui la decisione del governo di ordinare un audit completo e di creare un nuovo organo di controllo in sinergia con i Paesi del G7: un gesto rivolto al mercato e ai cittadini, che deve mostrare che la “pulizia” promessa dal presidente non è solo una parola.

Nel braccio di ferro contro la corruzione, Kyiv si gioca molto più di una crisi di governo. Si gioca la credibilità stessa come Stato riformatore in piena guerra. Bruxelles e Washington osservano con attenzione ogni passo su trasparenza, procurement e governance. La decisione di Zelensky di chiedere la sostituzione immediata dei ministri, accompagnandola a sanzioni mirate e alla ristrutturazione della governance di Energoatom, è un messaggio di fermezza. L’obiettivo è separare nettamente la politica dalle responsabilità penali, ridurre i conflitti d’interesse e accelerare la pulizia in un settore che non può permettersi zone grigie.

La società civile ucraina, dal Maidan in poi, ha dimostrato una sensibilità anticorruzione profonda. Le dichiarazioni patrimoniali dei funzionari, la trasparenza amministrativa e la pressione dell’opinione pubblica sono diventate parte dell’identità nazionale. E nel pieno di una guerra che distrugge infrastrutture e vite, la richiesta di integrità non si affievolisce: cresce, perché ogni abuso pesa il doppio. Zelensky, che usa la parola “fiducia” come parola-chiave del suo intervento, sa che la fiducia è un capitale fragile: si perde in un giorno, si ricostruisce con gesti concreti.

C’è un filo sottile tra garantismo e responsabilità politica, e il presidente ha deciso di camminarci sopra. Non anticipa i verdetti della giustizia, ma previene il rischio che ministeri-chiave restino guidati da figure finite al centro di un’inchiesta che tocca il nervo scoperto del Paese. L’energia, in Ucraina, non è solo una questione economica: è una questione di sopravvivenza, di sicurezza nazionale, di resistenza. Ripulirla e renderla trasparente è un atto di guerra tanto quanto difendere il fronte.

Mentre Kyiv si prepara a un inverno ancora più duro, la scelta di accelerare sulle dimissioni, commissariare la governance di Energoatom e colpire con sanzioni mirate i presunti protagonisti di Midas consegna un messaggio a tre destinatari: alla cittadinanza — nessuno è intoccabile —; ai partner internazionali — le riforme non possono aspettare —; e agli aggressori — l’Ucraina non lascerà varchi nel cuore della sua infrastruttura più sensibile. Sta ora alla Verkhovna Rada, ai magistrati e alla macchina statale tradurre in fatti questo impegno, perché in un Paese in guerra la differenza tra annunci e risultati si misura ogni giorno nella luce che si accende quando qualcuno preme un interruttore.

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