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Onde assassine a Tenerife: travolti sul molo, tre morti e quindici feriti

Una turista olandese di 79 anni muore a Puerto de la Cruz dopo essere stata trascinata in mare da un’onda improvvisa. In poche ore quattro incidenti lungo le coste dell’isola, con i soccorsi in azione da nord a sud. Gli esperti: «La più tragica giornata degli ultimi dieci anni»

Onde assassine a Tenerife: travolti sul molo, tre morti e quindici feriti

Onde assassine a Tenerife: travolti sul molo, tre morti e quindici feriti

All’inizio si vede solo schiuma. Il frangersi è lontano, ipnotico, quasi innocuo. In pochi passi, però, l’acqua diventa orizzonte, poi muro, poi impatto. Il colpo arriva sul molo di Puerto de la Cruz, nel nord di Tenerife: una cresta grigia, improvvisa, travolge chi si era avvicinato per “vedere meglio”. Poi solo concitazione, urla, corpi trascinati via, e i soccorritori che si buttano in mare. A fine giornata il bilancio dell’isola è netto e crudele: tre vittime e quindici feriti in diversi punti della costa. Le immagini del molo fanno il giro del mondo, fissando per sempre la sequenza della tragedia.

Secondo il Centro di Coordinamento delle Emergenze delle Canarie (CECOES–112), gli incidenti si sono susseguiti in poche ore lungo tutto il perimetro dell’isola, dal nord roccioso al sud battuto dai venti. Il mar de fondo, quel moto ondoso lungo e profondo generato da tempeste lontane, ha costruito un treno d’onde capace di moltiplicare l’energia sulla battigia e sui moli. L’onda che ha travolto dieci persone a Puerto de la Cruz, nel primo pomeriggio, non è stata la più alta, ma la più infida: ha colpito di sorpresa, proprio mentre alcuni si erano spinti avanti per filmare il mare in burrasca. Una turista olandese di 79 anni è morta per arresto cardiaco, nonostante i tentativi di rianimazione. Altri nove sono rimasti feriti, tre in condizioni gravi.

Ma non è stato l’unico episodio. A Granadilla de Abona, sulla spiaggia di El Cabezo, un uomo è stato trovato in mare: i soccorsi non hanno potuto salvarlo. A La Guancha, nel nord, un 43enne è caduto in acqua mentre pescava; anche per lui non c’è stato nulla da fare. A Roque de las Bodegas, sei turisti francesi sono stati travolti da un colpo di mare: uno di loro è stato evacuato in elicottero con traumi moderati, gli altri hanno riportato ferite lievi. Tutto è avvenuto mentre sull’isola era in vigore la “preallerta” per fenomeni costieri, con avvisi chiari: “Non avvicinatevi ai moli, non cercate foto o video a ridosso delle onde.”

onde

Eppure, la tentazione è stata più forte. La sequenza filmata sul molo racconta la dinamica con precisione chirurgica: una prima onda “sporca” bagna la banchina, alcuni arretrano, altri restano. Poi arriva il colpo buono, più alto, più compatto, che si arrampica sul parapetto e trascina in acqua chi non ha fatto in tempo a fuggire. In pochi minuti la Polizia Locale, i passanti e il personale di Salvamento Marítimo si gettano nei recuperi, mentre le squadre del Servicio de Urgencias Canario (SUC) e i mezzi del GES raggiungono la zona. Le manovre di rianimazione sulla donna olandese proseguono a lungo, ma senza esito.

Molti dei coinvolti non erano bagnanti, ma turisti arrivati con una nave da crociera, desiderosi di immortalare la forza dell’oceano. Una curiosità che si è trasformata in tragedia. Il Comune di Puerto de la Cruz ha espresso cordoglio e promesso una revisione delle misure di sicurezza sui moli storici, luoghi di passeggio e belvedere che diventano, nei giorni di mare grosso, trappole perfette. Il dibattito locale si è riacceso con forza: barriere mobili, segnaletica più visibile, chiusure temporanee dei tratti più esposti. Tutto giusto, tutto già sentito. Ma il punto resta sempre lo stesso: si sottovaluta la potenza del mare.

Il mar de fondo non è una semplice mareggiata. È un’onda che viaggia per centinaia di chilometri, un treno d’energia che parte da tempeste lontane e arriva sulle coste con una forza intatta. Quando incontra fondali che risalgono bruscamente, come accade nel nord di Tenerife, si solleva, si ingrossa e rompe con violenza improvvisa. È questo il meccanismo delle cosiddette sneaker waves, le onde “traditrici” che arrivano più alte delle altre e sorprendono anche gli osservatori esperti.

Nelle ore del 9 novembre 2025, l’arcipelago usciva da giorni di vento instabile e mare irregolare. L’AEMET, l’Agenzia meteorologica spagnola, aveva diramato avvisi gialli e arancioni per tutta la fascia costiera. Ma come spesso accade, quando il cielo si apre e l’aria sembra più calma, la percezione del rischio si azzera. E così, la prima onda, quella che “bagna”, diventa un richiamo irresistibile. La seconda, quella vera, trascina via.

I numeri raccontano da soli la giornata nera: tre morti, quindici feriti. Una turista olandese, un pescatore di 43 anni, un uomo trovato senza vita nel sud dell’isola. Sei francesi feriti a Roque de las Bodegas. Una statistica che, dietro le cifre, nasconde volti, famiglie, destini spezzati. I soccorritori parlano di un’operazione incessante, con elicotteri, ambulanze, pattuglie di Guardia Civil e Policía Nacional mobilitate per ore. Gli ospedali di riferimento — il Hospital Universitario de Canarias, il Hospital del Norte, il Hospiten Bellevue e il Nuestra Señora de la Candelaria — hanno ricevuto feriti da tutta l’isola.

Il video, intanto, rimbalza sui social. In poche ore diventa virale: decine di migliaia di condivisioni, titoli sui media internazionali, dibattiti su prudenza e irresponsabilità. Eppure, dietro lo scandalo digitale, resta una verità semplice: la spettacolarizzazione del pericolo è ormai parte del turismo di massa. Il desiderio di immortalare “l’onda perfetta” o la “foto al limite” sta creando, ogni anno, nuovi casi simili in tutto il mondo.

Per il divulgatore Sebastián Quintana, fondatore della piattaforma “Canarias, 1.500 km de costa”, quella del 9 novembre è stata “la giornata più tragica degli ultimi dieci anni” per numero di annegamenti e feriti causati da colpi di mare. Le sue parole riassumono lo stato d’animo di un’arcipelago che vive del mare ma ne paga anche il prezzo.

Oggi le autorità promettono verifiche, indagini di rito, nuove misure. Ma in fondo tutti sanno che il rischio non si elimina con un cartello. È una questione di percezione, di educazione, di cultura. Tenerife è un’isola turistica, aperta, bellissima, dove la linea fra il mare e la passeggiata è sottile. Chi viene dal continente non immagina che l’oceano possa cambiare volto in pochi minuti. Una calma apparente che illude e, quando il fondale si alza, tradisce.

Il clima che cambia non aiuta. Le mareggiate intense sono più frequenti, le fasi di marea sempre più estreme, le condizioni ibride — vento, residuo d’onda, corrente — più comuni. Le sneaker waves non sono più una curiosità, ma una variabile strutturale delle coste atlantiche. Non c’è bisogno di forzare letture apocalittiche: basta guardare le cronache.

Il giorno dopo, sugli schermi scorrono ancora le immagini del molo. I fiori portati dai cittadini, le bandiere a mezz’asta, il cordoglio ufficiale. Gli ospedali aggiornano i bollettini, la Guardia Civil raccoglie testimonianze, e il Comune valuta nuove recinzioni. Ma il video, quello che ha fatto il giro del mondo, resta la vera lezione. In quei pochi secondi si vede tutto: la curiosità, l’imprudenza, la forza della natura e la fragilità dell’uomo.

Sappiamo con certezza che sabato 9 novembre 2025 a Tenerife sono morte tre persone e quindici sono rimaste ferite a causa di onde anomale. Sappiamo che a Puerto de la Cruz dieci persone sono cadute in mare e che una di loro, una turista olandese, non è tornata a casa. Il resto è dettaglio tecnico, utile per le statistiche ma inutile per la coscienza.

Il mare, dicono i soccorritori, non perdona la presunzione. Non c’è nulla di eroico nel fare un passo più vicino all’onda. Lo è, semmai, tornare indietro. Perché la distanza di sicurezza, in fondo, non è una linea di nastro rosso: è la differenza tra un racconto e un bollettino.

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