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“Il deserto non cancella tutto”: il caso Roman Novak, il finto re delle cripto trovato a pezzi negli Emirati

Promettevano trasferimenti di criptovalute da un continente all’altro, ostentavano supercar e jet privati. Ma dietro il lusso, secondo gli inquirenti, si nascondeva una truffa da 500 milioni di dollari. Rapiti, torturati e uccisi a Hatta: la parabola crudele di due illusionisti della finanza virtuale

NON CANCELLARE “Il deserto non cancella tutto”: il caso Roman Novak, il finto re delle cripto trovato a pezzi negli Emirati

Roman Novak e la moglie Anna sono stati uccisi a Dubai per le criptovalute da due reduci della guerra in Ucraina e da un ex poliziotto

Un parcheggio polveroso, un lago turchese incastonato tra le rocce di Hatta, un’auto che si allontana con due passeggeri convinti di andare a incontrare nuovi “investitori”. Poche ore dopo, un messaggio disperato: «Sono bloccato sulle montagne, vicino al confine con l’Oman; ho bisogno urgente di denaro». Poi, il silenzio. Un mese più tardi, nella sabbia, gli inquirenti ritrovano i resti di Roman Novak e della moglie Anna: per anni avevano ostentato supercar e jet privati sui social, vendendo il sogno di un’app capace di far scorrere criptovalute da un continente all’altro. Dietro l’abbagliante vetrina, secondo numerose testate, si celava una truffa da almeno cinquecento milioni di dollari. E alla fine, una gang li avrebbe rapiti, torturati e uccisi.

Il 2 ottobre 2025 è l’ultimo giorno in cui i Novak vengono visti vivi. Il loro autista li accompagna fino a un parcheggio vicino al lago di Hatta; da lì, i due salgono su un’altra vettura diretta – credono – a una riunione d’affari. Nei giorni seguenti i telefoni della coppia “agganciano” celle tra Hatta e l’Oman, per poi risultare brevemente attivi persino a Città del Capo, in Sudafrica, e spegnersi definitivamente il 4 ottobre. È in quelle ore che amici e parenti ricevono il messaggio di Roman, un appello concitato e pieno di paura. Le ricerche negli Emirati Arabi Uniti partono solo dopo la denuncia dei familiari.

Hatta

Hatta

La svolta arriva a inizio novembre, quando media russi e internazionali concordano sul ritrovamento dei resti smembrati della coppia nel deserto emiratino, dopo un mese di ricerche. In Russia vengono fermati diversi sospetti: tra loro, secondo varie testate, ci sono un ex investigatore diventato trafficante di droga e veterani del conflitto in Ucraina. Gli inquirenti del Comitato Investigativo russo ipotizzano che i presunti membri della banda abbiano affittato auto e locali, attirato le vittime in una villa di Hatta con il pretesto di un incontro con “investitori” e tentato di ottenere le chiavi dei loro wallet digitali. Quando non avrebbero trovato ciò che cercavano, il piano sarebbe degenerato nel duplice omicidio e nella distruzione delle prove.

Roman Novak, nato a San Pietroburgo, si era reinventato come fondatore di Fintopio, piattaforma per “trasferimenti rapidi” di criptovalute. Dietro il marchio curato, le luci dei party e la rete di influencer, c’era però una biografia giudiziaria pesante: nel 2020 un tribunale russo lo condanna a sei anni per frode su larga scala. Dopo aver beneficiato della libertà condizionale, si trasferisce a Dubai nel 2023, continuando a cercare capitali. A investitori russi, cinesi e mediorientali promette rendimenti vertiginosi legati a token e servizi digitali che, al dunque, “non esistevano” o erano irraggiungibili. In alcune offerte, la “sbloccabilità” degli asset era fissata proprio al 2025: l’anno della sua scomparsa.

Secondo la testata di San Pietroburgo Fontanka, i Novak vengono adescati con la scusa di un incontro con nuovi finanziatori e portati in una villa a Hatta. Lì, sarebbero stati sequestrati per costringerli a sbloccare un presunto tesoro in criptovalute. Quando i rapitori si accorgono che i wallet erano vuoti – o inaccessibili – avrebbero deciso di eliminarli e far sparire i corpi. Il Comitato Investigativo conferma questa cornice: il 2 ottobre appuntamento con “investitori non identificati”, arrivo con il driver personale, trasferimento su un secondo veicolo e sparizione. Nel frattempo, una rete di complici avrebbe noleggiato auto e immobili per il sequestro e la successiva gestione logistica.

In Russia, tra il 7 e l’8 novembre, fonti giudiziarie parlano di otto fermati. Tre sarebbero gli organizzatori, tra i 44 e i 53 anni: un ex poliziotto noto come Konstantin Shakht, affiancato da Yurij Sharipov e Vladimir Dalekin. Attorno a loro, “drop” assoldati via Telegram per eseguire compiti operativi: affitti, appostamenti, acquisti di coltelli. Uno dei complici sarebbe riuscito a fuggire in Georgia. L’indagine è ancora in corso: il fascicolo aperto a San Pietroburgo ipotizza l’omicidio di due persone (articolo 105 del codice penale russo), con la cooperazione delle autorità degli Emirati.

La notizia del ritrovamento dei resti nel deserto è stata confermata da più testate internazionali. Alcune collocano il recupero tra Dubai e Fujairah, altre parlano di contenitori e cassonetti in zona Hatta. Tutte versioni compatibili, ma ancora prive di riscontri ufficiali. È quindi corretto riferirle con cautela, in attesa di atti giudiziari.

La cifra che emerge da più fonti è quella di 500 milioni di dollari: sarebbe l’ammontare raccolto da Novak presso investitori internazionali per sviluppare Fintopio e progetti collegati. Gli investigatori russi avevano già documentato iniziative di fundraising aggressive e l’uso di contatti millantati – legami con sceicchi, billionaires, e persino con Pavel Durov di Telegram – per rendere più credibile l’operazione.

Sui social, Roman e Anna inscenano un lusso ostentato: supercar, jet privati, serate tra star e influencer, amicizie altisonanti. In certi casi Roman si presenta come “amico personale di Pavel Durov” o addirittura come membro del consiglio di Telegram, versioni più volte smentite da inchieste giornalistiche. In Russia, nel frattempo, emergono debiti per oltre 6,9 milioni di rubli, a conferma di un patrimonio reale ben lontano dalla ricchezza esibita online.

Secondo ciò che trapela dagli atti, la banda avrebbe esternalizzato alcune fasi del piano: noleggi, sorveglianze e acquisti affidati a complici reclutati online, ignari del disegno complessivo. L’obiettivo era ottenere le chiavi dei wallet e le seed phrase, per riscuotere rapidamente somme non tracciabili. Quando il “cash-out” fallisce, la violenza esplode. I corpi vengono distrutti, le tracce cancellate e disperse in più emirati. I dettagli variano tra le fonti, ma lo schema resta coerente: esca finanziaria, sequestro, estorsione digitale e infine omicidio.

Il caso Novak è un manuale crudele sul lato oscuro dell’“oro digitale”: la retorica della libertà finanziaria che diventa trappola. Il prodotto è sempre lo stesso: “trasferimenti immediati, cross-border, low fee”. La promessa: “token” che si sbloccheranno nel futuro. La leva: lusso, celebrità, networking. L’esito: capitali irrecuperabili e vite distrutte. In questa vicenda non fallisce solo il controllo degli investitori, ma la percezione stessa del rischio: l’idea che l’innovazione basti da sola a sostituire la responsabilità.

Intanto le autorità russe e quelle emiratine collaborano. Il Comitato Investigativo di San Pietroburgo apre il fascicolo per omicidio e annuncia un coordinamento con gli Eau, riconoscendo la natura transnazionale del delitto e il rientro in patria dei sospetti. Alcune testate parlano di possibili estradizioni, ma per ora l’azione penale si concentra in Russia, con rogatorie verso Dubai.

Della cronologia restano solo poche date: il 2 ottobre l’appuntamento a Hatta, il 4 ottobre gli ultimi segnali dei telefoni, a inizio novembre il ritrovamento dei resti, e il 7 novembre gli arresti. Tutto il resto è ancora da verificare: l’ammontare reale dei fondi, la geografia precisa del delitto, la catena di comando della banda, il recupero di eventuali asset digitali.

Il caso offre anche una lezione semplice e spietata. Se un progetto promette rendimenti straordinari o “sblocchi futuri” non verificabili, la prima reazione dev’essere diffidenza. La due diligence non è burocrazia, ma l’unico antidoto alle illusioni digitali. Il lusso ostentato è un inganno cognitivo: confonde apparenza e sostanza. Nessun wallet vale qualcosa se non puoi dimostrarne il contenuto e la provenienza.

Nel deserto dove i Novak hanno trovato la fine, la sabbia copre presto le tracce. Ma non potrà mai coprire la catena di errori, illusioni e violenza che ha portato due truffatori presunti – o conclamati – a incontrare truffatori di segno opposto: uomini convinti di poter fare fortuna su chiavi private che, stando a più ricostruzioni, non aprivano alcun tesoro. È il cortocircuito finale: il miraggio dell’oro digitale contro il vuoto di un wallet.

E in quel vuoto resta anche Anna, troppo spesso ridotta a comprimaria nelle cronache. Eppure partecipava alla costruzione dell’immagine di famiglia “vincente” e lasciava dietro di sé due figli piccoli. Dopo la scomparsa, il padre vola a Dubai per prenderli con sé. È un dettaglio che riporta la vicenda dal livello dell’intrigo globale a quello della tragedia domestica.

Nei prossimi mesi, l’inchiesta dovrà chiarire ruoli, prove e responsabilità, ma una verità già emerge: la finzione regge finché nessuno chiede la prova. La banda avrebbe chiesto la frase-seed; gli investitori avrebbero dovuto chiedere, prima, un bilancio. Il deserto, in questa storia, è solo lo sfondo. Il vero vuoto è altrove.

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