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11 Novembre 2025 - 11:32
Disabili dimenticati, anziani abbandonati, famiglie sole: la sanità piemontese è in crisi terminale
Ci sono giornate che fotografano alla perfezione lo stato di salute di una Regione. Quella in cui la Commissione Sanità del Consiglio regionale, presieduta dal vicepresidente Daniele Valle (Pd), ha dedicato ore di audizioni al nuovo Piano socio-sanitario 2025-2030, è una di quelle.
È successo ieri. Un corteo di associazioni, fondazioni, volontari e medici ha attraversato l’aula con un unico grido: basta parole, servono fatti. Ma in Regione sembrano aver già pronto il referto: “tutto sotto controllo”.
Peccato che il paziente — la sanità piemontese — stia ancora in prognosi riservata.
Chi ha seguito i lavori lo ha capito subito: l’aria era pesante, come nei pronto soccorso di cui si parla tanto e si visita poco.
Sono intervenuti Cittadinanza Attiva, Fondazione Promozione Sociale, Anffas Piemonte, Fand, Unione Italiana Ciechi, e decine di rappresentanti del mondo del volontariato e dell’assistenza.
Tutti diversi, tutti con esperienze e missioni differenti, ma uniti da una constatazione: la Regione sta scrivendo un piano che non tiene conto né delle persone né dei territori.
Le prime parole che hanno attraversato la sala sono state liste d’attesa. Quelle che in Piemonte ormai hanno assunto lo status di patologia cronica.
Un esame di routine può richiedere mesi, una visita specialistica anche un anno. E nel frattempo?
Chi può paga, chi non può aspetta. È questa, oggi, la vera frontiera tra ricchi e poveri. Altro che reddito o lavoro: la nuova disuguaglianza si misura in giorni d’attesa per una risonanza magnetica.
Le associazioni hanno messo sul tavolo numeri precisi.
Al 31 dicembre 2024, i minori in affidamento eterofamiliare a singoli e famiglie erano 822, di cui 676 giudiziali, mentre quelli in affidamento intrafamiliare a parenti erano 568 (417 giudiziali).
Dietro queste cifre, storie di bambini che lo Stato promette di “proteggere” ma che troppo spesso lascia in attesa di una famiglia, di un progetto, di un sostegno vero.
Eppure nel Piano 2025-2030 non si trovano nuove risorse per rafforzare le équipe, né piani per garantire continuità nei percorsi di affido.

Lo ha detto con chiarezza Frida Tonizzo del Tavolo regionale Affido: “L’affido è visto ancora come un allontanamento, invece che come un supporto”.
Una frase che da sola spiega il cortocircuito culturale e politico in cui il Piemonte si dibatte: si parla tanto di famiglie, ma si fa poco per sostenerle davvero.
A rincarare la dose Pierangela Peila di Telefono Rosa, che ha denunciato l’aumento delle richieste di aiuto da parte di donne disabili vittime di maltrattamenti e violenze.
Un tema che dovrebbe stare al centro del Piano, ma che viene citato quasi di sfuggita, come una nota a margine.
E poi c’è la questione, gravissima, delle differenze territoriali.
Nell’Astigiano, hanno denunciato i rappresentanti delle associazioni, molti anziani non autosufficienti pagano di tasca propria le rette intere delle strutture di ricovero, anche quando non dovrebbero.
Un’ingiustizia lampante che la Regione si limita a “monitorare”.
Sì, perché quando l’assessorato non sa cosa fare, la parola magica è sempre quella: monitoraggio.
Ma il monitoraggio non cura.
Non alleggerisce le liste d’attesa, non riapre i consultori chiusi, non restituisce dignità a chi deve scegliere tra la badante e la spesa.
Nel pomeriggio, la Commissione è passata alla seconda parte delle audizioni, presiedute dal presidente — ed ex assessore regionale alla Sanità — Luigi Icardi (Lega).
Il tono, se possibile, è diventato ancora più surreale.
A prendere la parola, questa volta, sono stati i rappresentanti del volontariato e del Terzo settore: Croce Rossa, Auser, Ampas, Antes.
Tutti hanno chiesto lo stesso: riconoscimento, integrazione, dignità.
Gente che ogni giorno accompagna anziani alle visite, porta farmaci, solleva il peso della solitudine e della burocrazia.
Ma nella Regione dei piani e delle riforme, il volontariato serve solo come foglia di fico per coprire le carenze strutturali.
Il presidente regionale della Croce Rossa, Vittorio Ferrero, è stato chiaro: “Serve una rete stabile tra realtà che operano nell’ambito dell’emergenza e del pronto soccorso”.
Tradotto: oggi quella rete non c’è.
Eppure la Regione continua a parlare di “sinergie” e “integrazioni”. Parole che suonano bene nei comunicati stampa, ma che non trovano riscontro nei corridoi degli ospedali.
Dal mondo medico è arrivato un altro campanello d’allarme.
Il presidente piemontese della Società Italiana di Igiene, Alessio Corradi, ha espresso perplessità sulla creazione di nuove figure dirigenziali — direttori sociosanitari e assistenziali — che rischiano solo di moltiplicare poltrone e confusione.
Ha chiesto invece di potenziare gli screening per prevenire le malattie legate all’invecchiamento.
Risposta della Regione? Nessuna.
Anche chi si occupa di dipendenze e salute mentale ha chiesto ascolto.
Ivana De Micheli (Acat Torino) e Marco Iudicello del Mauriziano hanno ricordato che il Piemonte non dispone di strutture per la disintossicazione da alcol in fase acuta.
Una carenza drammatica che costringe molti a rivolgersi fuori regione o, peggio, a rinunciare alle cure.
E dal Serd dell’Asl To4, la direttrice sanitaria Elisabetta Bussi Roncarini e la referente del progetto NeutravelOmbretta Farucci hanno evidenziato la necessità di investire nella riduzione del danno, voce già prevista nei nuovi LEA ma che la Regione ignora sistematicamente.
L’obiettivo è portare i servizi nei quartieri, nelle strade, tra le persone — ma per farlo servono soldi, e soldi non ce ne sono.
Il capitolo disturbi alimentari è un’altra ferita aperta.
La consigliera Monica Antonietto, presidente dell’associazione In punta di cuore, ha denunciato che nel Piano mancano riferimenti alla continuità delle cure per i pazienti che passano dall’età pediatrica a quella adulta.
Un vuoto che condanna centinaia di ragazzi e ragazze a interrompere percorsi terapeutici fondamentali.
E come se non bastasse, dal fronte della mediazione culturale, Blenti Shehaj dell’Associazione dei Mediatori Interculturali ha chiesto di introdurre la presenza di mediatori nella formazione dei medici e di istituire un Osservatorio regionale.
Richieste di puro buonsenso, cadute nel vuoto.
Infine, la voce più scomoda e insieme più lucida: quella del Comitato Piemontese per la Salute Mentale, con Nerina Dirindin, Teresa Nicolini, Nicola Iozzo, Beatrice De Luca e molti altri.
Hanno chiesto un aumento delle risorse e del personale, un miglioramento dell’orario dei centri, una formazione nuova per gli operatori, basata sul rapporto umano e non solo sulla somministrazione di farmaci.
In una parola: dignità.
Eppure, anche qui, il Piano tace.
Preferisce parlare di razionalizzazione delle risorse, ottimizzazione delle strutture, armonizzazione dei processi.
Parole fredde, burocratiche, lontane da chi vive ogni giorno la sofferenza psichiatrica.
Alla fine della giornata, la sensazione è stata chiara: il Piemonte continua a raccontarsi come modello di efficienza, ma dietro le quinte c’è un sistema in disfacimento.
Le associazioni chiedono ascolto, i cittadini chiedono cure, e l’assessorato guidato da Federico Riboldi risponde con un’altra audizione, un altro tavolo, un altro piano.
Riboldi può anche firmare documenti pieni di parole altisonanti e promesse di “prossimità”, ma la verità è semplice: il sistema sanitario piemontese è stanco, svuotato, e non regge più.
Non bastano nuove figure dirigenziali o slogan sulla “sanità vicina ai cittadini” per nascondere la realtà di pronto soccorso saturi, consultori chiusi, infermieri in fuga e pazienti abbandonati nei corridoi.
Il Piano 2025-2030 promette una sanità “più umana”.
Sì, peccato che le persone, di umano, vedano solo le attese e la rassegnazione.
E mentre la Regione si accapiglia su ruoli e titoli, la salute dei piemontesi resta — ancora una volta — una questione di fortuna.
Insomma: la montagna del Piano ha partorito l’ennesimo topolino burocratico.
Un documento pensato per riempire conferenze stampa, non per svuotare le liste d’attesa.
E quando l’assessore Federico Riboldi annuncerà trionfante che “il Piemonte guarda al futuro”, qualcuno dovrà pur ricordargli che prima di guardare avanti bisognerebbe occuparsi di chi, oggi, non riesce nemmeno a farsi visitare.
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