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Esteri
08 Novembre 2025 - 10:22
Donald Trump
All’alba, i tecnici montano i ponteggi intorno al Nasrec Expo Centre di Johannesburg. Sui pannelli campeggia, in caratteri cubitali, il motto della presidenza sudafricana del G20: “Solidarity, Equality, Sustainability”. A poche ore dalla stampa del programma ufficiale, sullo schermo di Truth Social compare un messaggio del presidente Donald Trump: “Nessun rappresentante del governo degli Stati Uniti parteciperà al G20 in Sudafrica”. Quel post di poche righe basta a ridisegnare la cornice geopolitica del primo G20 ospitato sul continente africano. Gli Stati Uniti, pilastro del gruppo sin dalla nascita, non prenderanno parte al vertice del 22-23 novembre 2025. Una scelta pesante, motivata da Trump evocando “assassinii”, “massacri” e confische di terre contro i bianchi sudafricani, gli afrikaner: una narrativa vecchia, ora tradotta in atto diplomatico.
Venerdì 7 novembre 2025, Donald Trump annuncia che “nessun responsabile americano” parteciperà al G20 di Johannesburg. In un primo momento aveva lasciato intendere che avrebbe inviato il vicepresidente J.D. Vance, ma anche questa ipotesi è sfumata: boicottaggio totale. Secondo la Casa Bianca, il motivo sarebbero presunte persecuzioni contro gli afrikaner, con richiami a omicidi nelle aree rurali e a una stagione di espropri mirati. Il governo sudafricano reagisce con fermezza: “nessun genocidio, nessuna campagna contro i bianchi”. Il boicottaggio arriva dopo settimane di tensione: a fine ottobre Washington ha annunciato un drastico taglio ai rifugiati ammessi per il nuovo anno, fino a 7.500, con “priorità” ai sudafricani bianchi. Una decisione che ha suscitato polemiche dentro e fuori dagli Stati Uniti.
Nel linguaggio di Trump, l’immagine di un Sudafrica che “confisca terre” e perseguita i bianchi non è nuova. A maggio 2025, ricevendo alla Casa Bianca il presidente Cyril Ramaphosa, Trump aveva mostrato una video-compilation di episodi di violenza, presentati come prova di un presunto “genocidio degli afrikaner”. Le autorità sudafricane avevano smentito punto per punto, definendo quelle sequenze fuori contesto e ribadendo che la riforma agraria prevista dalla Costituzione consente l’esproprio senza indennizzo solo in casi eccezionali — terreni abbandonati, negoziazione fallita, interesse pubblico — non una confisca indiscriminata.

MATAMELA CYRIL RAMAPHOSA PRESIDENTE REPUBBLICA SUD AFRICA
Nei mesi successivi, il capo della polizia sudafricana e vari ministri hanno accusato la Casa Bianca di “mistificare i dati”. Secondo la South African Police Service (SAPS), gli omicidi in ambito agricolo sono una minima frazione del totale e coinvolgono lavoratori, residenti e proprietari di diversa provenienza. Nel trimestre ottobre-dicembre 2024, gli omicidi rurali sono stati dodici, uno con vittima un proprietario; tra gennaio e marzo 2025 i casi sono scesi a sei. Numeri che smentiscono qualsiasi idea di persecuzione razziale.
Il Sudafrica ha un serio problema di violenza e sicurezza rurale — lo riconoscono tutti, governo e opposizione — ma parlare di “genocidio dei bianchi” non trova riscontro nei tribunali né nelle statistiche. Una decisione giudiziaria del marzo 2025 ha bollato come “mito” questa teoria; gli analisti ricordano che gli omicidi in zone agricole rappresentano meno dello 0,2% del totale annuo, e che la motivazione prevalente resta il furto o la rapina. Non si tratta dunque di negare l’angoscia di comunità colpite da crimini brutali, ma di distinguere i fatti dalle strumentalizzazioni politiche.
La stretta americana sui rifugiati, con un tetto di 7.500 ingressi e una corsia preferenziale per i bianchi sudafricani, segna un precedente inedito: un criterio di selezione etnico esplicito, giustificato con presunte discriminazioni contro gli afrikaner. Le organizzazioni per i diritti dei rifugiati hanno parlato di “deriva selettiva” contraria allo spirito del sistema d’asilo. Per Pretoria, è un’ulteriore stigmatizzazione del Paese. Gli analisti locali osservano che la mossa alimenta la polarizzazione interna, irrigidisce il dialogo sulla riforma agraria e indebolisce chi cerca compromessi tra equità storica, proprietà e investimenti. A livello regionale, rischia di pesare sulla cooperazione su energia, sanità e migrazioni, oltre che sulla rinegoziazione dell’accordo AGOA.
La riforma agraria rimane una ferita aperta: la disuguaglianza nella proprietà della terra è un’eredità pesante dell’apartheid. La Expropriation Act prevede l’esproprio senza compensazione solo in casi delimitati, ma l’applicazione deve essere trasparente e giudicabile. Le opposizioni, come la Democratic Alliance, temono effetti dissuasivi sui capitali esteri; il governo replica che tutto avviene entro i confini della Costituzione. Intanto la sicurezza rurale reclama soluzioni concrete: più presidi, cooperazione con le comunità agricole e uso di tecnologie.
Cyril Ramaphosa ha risposto con toni fermi ma misurati: “Il Sudafrica non sarà intimidito; difendiamo la nostra Costituzione e lo Stato di diritto”. Ha ribadito che, nonostante gli strappi, Pretoria intende mantenere canali diplomatici aperti. Già a febbraio aveva minimizzato l’assenza del segretario di Stato Marco Rubio alla riunione dei ministri degli Esteri del G20, ricordando che gli USA restano parte della “troika” G20 (Brasile-Sudafrica-USA, presidenze 2024-2025-2026). Nel frattempo, il Dipartimento per le Relazioni Internazionali e la Cooperazione (DIRCO) prosegue i preparativi: accrediti, logistica, sicurezza. Il messaggio è chiaro: il G20 si farà, con o senza Washington.
L’assenza americana cambia la dinamica di un vertice già complesso: riforma delle istituzioni finanziarie, debito, clima, intelligenza artificiale, sicurezza alimentare. Senza la prima potenza mondiale al tavolo, il G20 rischia di ridurre le sue ambizioni, ma non la sua rilevanza. UE, Cina, India, Brasile, Arabia Saudita e Unione Africana possono spingere per accordi settoriali in attesa del passaggio di consegne del 2026 agli Stati Uniti. Un paradosso, considerando che Trump sogna di ospitare il prossimo vertice al Trump National Doral Miami, resort di famiglia. Mentre oggi boicotta Johannesburg, domani punta a fare del G20 una vetrina americana. Da qui gli appelli di Ramaphosa e di altri leader a non disertare il summit africano.
Il taglio dei rifugiati e la priorità per i bianchi sudafricani rientrano nel più ampio riposizionamento dell’amministrazione Trump su immigrazione e diritti umani. I critici parlano di strumentalizzazione: usare la sicurezza rurale sudafricana per dare coerenza a un’agenda anti-migranti e anti-DEI (diversità, equità, inclusione). Anche le parole di Marco Rubio, che accusa il G20 di “agenda antiamericana”, vanno in questa direzione. Dal lato sudafricano, la mossa viene letta come ritorsione per la causa intentata da Pretoria alla Corte internazionale di giustizia sul conflitto mediorientale e per l’allineamento con il Sud globale su clima e debito. I diritti umani, insomma, appaiono selettivi: evocati per giustificare scelte di politica estera.
Il caso sudafricano mostra come, nell’epoca delle guerre culturali, i dati rischino di diventare comparse. Le statistiche SAPS e le sentenze smontano la narrativa del “genocidio”, ma il racconto politico resta più rumoroso della realtà. Il compito del giornalismo, come della diplomazia, è distinguere la sicurezza rurale — problema vero — dalla sua manipolazione. In gioco non c’è solo la dignità di una comunità, ma l’affidabilità del multilateralismo. Se il G20 vive del compromesso, l’assenza di un attore chiave ne riduce la forza, ma non la necessità.
Il Sudafrica si presenta al mondo con un obiettivo preciso: dimostrare che l’Africa può essere sede e motore di una diplomazia efficace. Gli Stati Uniti, per questa volta, hanno scelto un’altra strada. Il 22-23 novembre 2025, a Johannesburg, si vedrà se il G20 saprà produrre risultati tangibili. Il resto si deciderà dopo, quando l’“assenza” americana di oggi dovrà fare i conti con la “presenza” reclamata per il 2026. Gli Stati Uniti restano un partner cruciale per il Sudafrica — energia, sanità (programma PEPFAR), manifattura — e il boicottaggio pesa: indebolisce la troika G20, complica gli accordi multilaterali e apre spazio a potenze come Cina e India. Sul piano economico, le tensioni hanno già portato volatilità su rand e mercati. Ora tutto dipenderà dalla capacità di Pretoria di rassicurare i partner e dalla volontà del mondo di non lasciare vuoto quel posto al tavolo.
All’alba del 22 novembre, Johannesburg sarà una città blindata. I ponteggi del Nasrec Expo Centre rifletteranno la luce dell’estate australe, ma in quella vetrina mancherà un volto: quello della prima potenza mondiale. Il G20 andrà avanti lo stesso, perché il mondo non aspetta chi si ritira. E forse, in questo, sta la sua vera rivoluzione.
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