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07 Novembre 2025 - 19:49
Elon Musk incassa il sì degli azionisti: via libera al maxi–bonus da 1.000 miliardi per la nuova Tesla dell’intelligenza artificiale
Il boato esplode prima ancora che la frase finisca: “Approved.” Ad Austin, nello stabilimento-cattedrale di Tesla, in Texas, la platea si trasforma in un coro ipnotico — “Elon! Elon!” — mentre sul palco sfilano robot umanoidi. L’assemblea annuale approva il pacchetto di compensi più colossale mai concepito per un amministratore delegato: fino a 1.000 miliardi di dollari in azioni, potenzialmente destinati a Elon Musk in un arco pluriennale, ma solo se saranno raggiunti obiettivi finanziari e industriali senza precedenti. Il verdetto arriva il 6 novembre 2025: oltre il 75% dei votanti dice sì. Scrosci di applausi, urla di giubilo, ringraziamenti dal palco e una dichiarazione d’intenti: “Non è un nuovo capitolo, è un nuovo libro.” È la Tesla del futuro, quella dell’intelligenza artificiale e della robotica.
Non è un episodio isolato ma il culmine di una metamorfosi annunciata: Tesla non vuole più essere solo una “casa automobilistica”, ma una piattaforma software-centrica in cui AI, robotaxi e il robot umanoide Optimus diventino i veri motori di crescita. Dal palco, Musk rilancia la sua visione: “Raggiungere un’abbondanza sostenibile.” E aggiunge, con la consueta iperbole: i robot potranno perfino “eliminare la povertà.” Retorica visionaria? Forse. Ma è chiaro l’obiettivo: orientare capitali, talenti e narrativa verso la nuova missione industriale.
Il maxi-premio non è un assegno in bianco: è un piano costruito su traguardi progressivi, economici e operativi. I documenti indicano soglie di capitalizzazione a gradini di 500 miliardi, fino a una valutazione record di 8,5 trilioni di dollari, con il primo obiettivo fissato a 2.000 miliardi rispetto agli attuali 1,5. Sul fronte industriale, Musk punta a produrre 20 milioni di veicoli l’anno, una rete di 1 milione di robotaxi e altrettanti Optimus venduti, con margini e utili mai visti nel settore. Ogni doppio traguardo attiva circa l’1% del capitale aggiuntivo, fino a un massimo del 12%. Valore potenziale lordo: 1.000 miliardi; stimato netto: 878. Tutto dipenderà dal prezzo del titolo e dai risultati reali.

Ad Austin, la regia è parte del messaggio. Musk sale sul palco tra robot danzanti e luci stroboscopiche. È la rappresentazione plastica della nuova Tesla: non solo auto, ma un ecosistema di intelligenza artificiale fondato su hardware proprietario, software, servizi in abbonamento (come Full Self-Driving) e la futura rete di Cybercab, quando la tecnologia e le norme lo permetteranno. Gli azionisti scommettono sulla continuità: meglio accettare la diluizione che rischiare di perdere il fondatore e catalizzatore di innovazione.
Le motivazioni del sì si riassumono in tre parole: retention, visione, consenso. Il consiglio d’amministrazione sostiene che il premio serve a trattenere Musk in una fase cruciale di transizione verso l’AI. Per molti investitori, il “fattore Musk” è parte integrante del valore di Tesla: legarlo al timone, con obiettivi stringenti, massimizza le prospettive di lungo periodo. La macchina comunicativa ha fatto il resto, mobilitando la base retail e convincendo anche parte dei grandi fondi.
Ma non tutti applaudono. Il fondo sovrano norvegese, Glass Lewis e ISS votano contro, denunciando rischi di concentrazione di potere e di governance debole. Il precedente del Delaware pesa: nel 2024 la Corte aveva bocciato il piano da 56 miliardi del 2018, definendolo “inconcepibile” e privo di indipendenza. La decisione di spostare il baricentro in Texas è anche un modo per blindare il controllo di Musk e proporre un nuovo schema, più trasparente negli obiettivi ma ancora più titanico nelle cifre.
Nel cuore del progetto c’è l’intelligenza artificiale. Optimus, il robot umanoide, è il simbolo della strategia: da piattaforma industriale a potenziale alleato domestico. Il Cybercab promette di trasformare la mobilità in un servizio on-demand, mentre Musk evoca una “gigantic chip fab” per costruire chip AI proprietari e ridurre la dipendenza da fornitori esterni. Il business model punta tutto sulla transizione dai margini di vendita “una tantum” ai ricavi ricorrenti da software. Ma senza via libera dei regolatori, la piena monetizzazione dell’autonomia resta lontana.
Sul piano industriale, il 2025 è un anno di contrasti: nuovi record produttivi, ma anche margini sotto pressione. L’energy storage cresce e diventa un pilastro del fatturato, mentre la domanda globale di auto elettriche rallenta per effetto della concorrenza cinese e della fine degli incentivi. Da qui la spinta a reinventarsi come impresa tecnologica, non più come semplice produttore di veicoli.
Musk, nel frattempo, rivendica l’obiettivo del 25% di potere di voto, sostenendo che solo così può “sentirsi a proprio agio” nel guidare un colosso AI-centrico. Gli oppositori parlano di deriva autocratica, i sostenitori di leadership visionaria. Il voto di Austin sancisce la seconda visione: Musk come fondatore–condottiero, giudicato dai risultati più che dalle regole.
La campagna per il sì è stata una delle più imponenti nella storia della corporate America: dirette live, materiali per gli investitori, pressione costante sui social. Il consenso finale — oltre il 75% — legittima la scelta ma non spegne i dubbi. Gli advisor avvertono: dopo Tesla, tutti i board dovranno giustificare compensi miliardari con risultati altrettanto straordinari.
E la giustizia? Il fantasma del Delaware aleggia ancora. Il piano del 2018 è stato annullato e i nuovi schemi, sebbene redatti in Texas, potrebbero finire di nuovo sotto il vaglio dei tribunali. Il nodo resta lo stesso: equilibrio tra incentivi e indipendenza.
Dal punto di vista finanziario, la logica è estrema ma coerente: pay for performance. Se Tesla davvero raggiungerà gli 8,5 trilioni di capitalizzazione e centinaia di miliardi di utili, la quota extra di Musk apparirà quasi proporzionata. Se invece i target resteranno un miraggio, la diluizione si ridurrà e il premio evaporerà. Per gli azionisti, la scelta è stata chiara: meglio rischiare con Musk che senza di lui.
L’orizzonte ora è carico di promesse e incognite: Cybercab dal 2026, un nuovo Roadster, Optimus nelle fabbriche prima che nelle case, e una catena del valore tutta da costruire, dai chip all’automazione domestica. Nei prossimi mesi, contano i fatti: progressi misurabili del FSD, robot in linea di produzione, partnership sui semiconduttori, stabilità dei margini.
Sotto lo spettacolo resta la sostanza: gli azionisti hanno affidato a Elon Musk una missione proporzionata solo alla sua ambizione. Se vincerà la scommessa, i 1.000 miliardi non saranno più un premio eccessivo, ma la misura di un impero tecnologico reinventato. Se fallirà, resteranno solo applausi, robot danzanti e un’epopea industriale scritta a metà. Ma per ora, ad Austin, il racconto è compiuto: la folla acclama, i robot salutano e Musk sorride. Il giorno dopo, come sempre, comincia la realtà.
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