Cerca

Attualità

Caso Garlasco: Venditti voleva arrestare Sempio, poi la svolta. Perché?

Venti giorni di silenzio e un’archiviazione-lampo: il mistero del 2017. La famiglia Poggi: “Ogni nuova ombra è una ferita che si riapre”

Caso Garlasco: Venditti voleva arrestare Sempio, poi la svolta. Perché?

Cosa successe davvero in quei venti giorni del 2017, tra la richiesta di intercettazioni su Andrea Sempio e la decisione improvvisa di archiviare tutto? È questa la domanda che oggi, mercoledì 5 novembre 2025, torna a scuotere il caso Garlasco, con nuovi dettagli emersi da un’inchiesta di Panorama e ripresa da La Verità. Perché quei giorni — quindici di ascolti, cinque di silenzio, e poi una chiusura lampo — rischiano ora di riscrivere la storia giudiziaria di uno dei delitti più controversi degli ultimi vent’anni.

Nel febbraio 2017 la Procura di Pavia, guidata all’epoca da Mario Venditti, oggi indagato per corruzione e peculato nell’ambito del cosiddetto sistema Pavia, si stava muovendo in direzione opposta a quella che poi avrebbe intrapreso. Il 2 febbraio, insieme alla collega Giulia Pezzino, Venditti aveva ottenuto dal gip Fabio Lambertucci l’autorizzazione a una serie di intercettazioni telefoniche e ambientali su Sempio e su altri soggetti ritenuti “di interesse investigativo”. Le operazioni, attive dal 4 al 22 febbraio, dovevano servire — secondo gli atti — a “completare le richieste di misura coercitiva” e a “identificare eventuali complici”. Tutto, insomma, lasciava intendere un’imminente svolta.

E invece no. Il 23 febbraio 2017, appena terminate le intercettazioni, i pm chiesero il “ritardato deposito” delle registrazioni, motivandolo con la necessità di non “pregiudicare ulteriori attività in corso”. Ma tre settimane dopo, il 15 marzo, lo stesso ufficio che stava preparando misure cautelari chiese l’archiviazione del fascicolo. Nessuna spiegazione, nessun rapporto conclusivo, nessuna valutazione pubblica delle conversazioni captate. Il tutto, raccontano oggi fonti investigative, “lasciò perplessi anche alcuni degli inquirenti che avevano seguito le indagini”.

Otto anni dopo, la Procura di Brescia — che indaga su Venditti e su altri magistrati pavese nell’ambito di un’inchiesta più ampia — ipotizza che quella decisione non fu soltanto un errore di valutazione. Secondo l’ipotesi accusatoria, Venditti avrebbe ricevuto tra 20 e 30 mila euro da Giuseppe Sempio, padre di Andrea, in cambio di un favoreggiamento giudiziario: la chiusura del procedimento e l’occultamento di alcune prove.

L’indagine bresciana, che negli ultimi mesi ha portato al sequestro di pc, smartphone e tabulati telefonici, ricostruisce un flusso di pagamenti sospetti e la presenza di appunti riconducibili a “VENDITTI GIP ARCHIVIA X 20-30 €” trovati in un taccuino sequestrato a casa di un imprenditore vicino alla famiglia Sempio. Gli investigatori stanno ora verificando se quelle sigle corrispondano a un vero scambio di denaro o se si tratti di appunti privi di valore probatorio.

Ciò che appare è che Andrea Sempio, già sentito come testimone ai tempi del processo Stasi, era tornato indagato per omicidio nel 2017, e che le intercettazioni su di lui — mai rese pubbliche — sarebbero state interrotte appena prima di un presunto “passaggio cruciale”. Alcuni tecnici del centro operativo che curò le registrazioni hanno riferito che le linee furono disattivate “senza spiegazioni operative” e che il materiale raccolto “non risultava integralmente trascritto”. Dettagli che oggi assumono un peso nuovo, mentre la magistratura tenta di capire chi abbia deciso lo stop e perché.

Se questa ipotesi dovesse trovare conferma, il delitto di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007 nella villetta di famiglia a Garlasco, rischierebbe di entrare in una nuova, clamorosa fase. Non soltanto perché il nome di Sempio — amico del fratello di Chiara — tornerebbe sotto i riflettori, ma perché si incrinerebbe ulteriormente la credibilità della macchina giudiziaria che, dopo anni di processi, aveva portato alla condanna definitiva di Alberto Stasi nel 2015.

Il caso Garlasco, già simbolo di errori investigativi e di giustizia divisa, si riapre dunque in un contesto inedito. Stavolta il banco degli imputati non è un sospettato, ma chi indagava. E le accuse — se provate — delineerebbero un sistema di interferenze, omissioni e rapporti opachi all’interno della procura pavese, in cui fascicoli delicatissimi venivano “pilotati” attraverso scambi di favori e utilità.

In questi giorni, la famiglia Poggi ha espresso “sconcerto e amarezza”, sottolineando che “ogni nuova ombra è una coltellata alla memoria di Chiara”. I legali di Venditti parlano invece di “accuse fantasiose, prive di riscontri” e di “un attacco mediatico che tenta di riscrivere la storia con il senno di poi”. Ma gli inquirenti non sembrano intenzionati a fermarsi: stanno riesaminando le registrazioni del 2017, cercando nei frammenti audio e nei tabulati le risposte che allora — per ragioni mai chiarite — non vennero cercate o non si vollero trovare.

Così, diciotto anni dopo quel ferragosto di sangue, Garlasco torna sinonimo di dubbi. Non più soltanto sull’identità dell’assassino di Chiara Poggi, ma sul funzionamento di una giustizia che oggi deve giudicare se stessa. Le domande, del resto, restano le stesse di allora: chi sapeva, chi tacque, e perché? Ma a renderle più inquietanti è la sensazione che, tra intercettazioni sparite, archiviazioni lampo e soldi che circolano nell’ombra, la verità non sia mai uscita davvero da quella villetta di via Pascoli — dove tutto cominciò, e dove forse, ancora, tutto torna.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori