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04 Novembre 2025 - 17:47
Matteo Chiantore, Francesco Comotto e Davide Luciani
IVREA. Con un colpo a sorpresa, e con la discrezione di chi sa che certe scelte fanno rumore, la Giunta comunale di Ivrea ha approvato una revisione profonda della macrostruttura organizzativa del Comune. La delibera, varata il 23 ottobre e destinata a entrare in vigore dal primo gennaio 2026, ridisegna la macchina comunale con l’obiettivo dichiarato di «conseguire una maggiore omogeneità tra i servizi all’interno delle aree di riferimento», ridefinendo competenze, denominazioni e responsabilità. Sulla carta, un’operazione di razionalizzazione. Nella realtà, una mossa politica che ha il sapore di resa dei conti.
La riorganizzazione colpisce in pieno l’Area Tecnica, il centro operativo del Comune. Fino a oggi la gestione di edilizia privata e urbanistica faceva capo a un responsabile di settore, il geometra Davide Luciani, che dal prossimo gennaio sarà spostato su ambiente, verde pubblico e manutenzioni. Le funzioni urbanistiche, invece, verranno accentrate nelle mani del dirigente Fabio Flore, a cui i tecnici dovranno fare direttamente riferimento. Tradotto dal burocratese: Luciani è stato messo da parte. Silurato. Allontanato.
"Fatto fuori" dal sindaco Matteo Chiantore e dall'assessore Francesco Comotto. In silenzio tutti gli altri esponenti di giunta, compreso Massimo Fresc.


Diceva Agatha Christie che un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova. E a Ivrea, ormai, gli indizi non si contano più. Tre, in particolare, bastano a disegnare il quadro di un rapporto sempre più complicato tra la giunta Chiantore e l’Ufficio tecnico.
Il primo episodio risale all’11 settembre, quando l’Area tecnica – a motoseghe già spente – emette l’ordinanza dirigenziale n. 116 per sospendere i lavori di abbattimento alberi nel parcheggio di via Di Vittorio, giudicandoli difformi dalle norme urbanistiche e non autorizzati. Peccato che tre mesi prima lo stesso ufficio, con una comunicazione firmata proprio da Luciani, avesse scritto che gli interventi rientravano in edilizia libera, purché venissero rispettate le prescrizioni del PRGC e sostituiti gli alberi rimossi con altri della stessa specie, alti almeno quattro metri. Il proprietario, Valter Martinetti, si era fidato e aveva agito. Risultato: sedici piante abbattute, un parcheggio rimasto a metà e un Comune che prima dice sì, poi dice no e infine manda tutto in Procura.
Il secondo episodio esplode in Consiglio comunale il 17 luglio, quando la consigliera Elisabetta Piccoli punta il dito contro il nuovo supermercato Tigros, ricordando che «il rendering mostrava un muro di cemento rosso alto dieci metri e lungo cinquanta». L’Ufficio tecnico, racconta, si era espresso due volte in senso contrario, ma il parere è stato ribaltato da una determinazione del segretario comunale Gerardo Birolo, basata su un parere legale dell’avvocato Andrea Castelnuovo, secondo cui il Comune avrebbe probabilmente perso un eventuale ricorso al TAR. Un parere definito magmatico, ma sufficiente per spingere la politica ad approvare. La Piccoli denuncia che il piano esecutivo convenzionato non è mai stato pubblicato, come invece la legge prevede per consentire ai cittadini di presentare osservazioni.
Domanda: chi aveva detto no? Risposta: Davide Luciani.
«Una mancanza grave – disse Piccoli in consiglio comunale – che mina la trasparenza». Anche il consigliere Paolo Noascone intervenne: «Tutto ciò che l’Ufficio tecnico aveva evidenziato è stato superato da un parere legale. E il parere legale è, per sua natura, di parte». A firmare il progetto, ironia della sorte, è Alberto Redolfi, ex assessore del PD e teorico dell’urbanistica “colta”.
Il terzo episodio risale ad aprile, con l’istituzione della Commissione consultiva paritetica, approvata con delibera di giunta e presentata come uno “strumento tecnico”. In realtà, all’articolo 5, si legge che «gli accordi prodotti costituiscono base giuridica vincolante per i procedimenti in corso». Non consigli, dunque, ma direttive obbligatorie. In aula la Piccoli parla di “forzatura pericolosa” e avverte che la mancata applicazione delle direttive della Commissione può determinare responsabilità disciplinari per i funzionari. Il segretario Birolo replica che si tratta di “circolari astratte”, ma la differenza non è affatto marginale: le circolari non vincolano nessuno, la Commissione sì. Un funzionario, fuori dall’aula, lo riassume con amarezza: «Se Luciani pensa che una casa non si possa costruire, arriva la Commissione e lui deve dire di sì. Altrimenti scatta la sanzione».
Tre episodi, tre tasselli di uno stesso mosaico: la progressiva marginalizzazione dell’Ufficio tecnico. Prima i pareri vengono smentiti in corsa, poi aggirati da avvocati, infine commissariati da organismi “consultivi” che consultivi non sono affatto. È un cambio di paradigma, la prova che la politica ha messo un piede – e forse due – dentro un campo che dovrebbe restare di competenza dei funzionari. Non è più la tecnica a dettare la linea, ma la politica, che scrive le regole, interpreta i regolamenti, corregge e, quando serve, smentisce se stessa.
Ed è qui che arriva la parte più amara. Perché non si tratta solo di alberi tagliati, muri di cemento o commissioni inventate dal nulla. Si tratta di fiducia. Quando un’amministrazione prima autorizza e poi revoca, quando ignora i suoi stessi tecnici, quando crea strutture parallele per piegare decisioni tecniche, il messaggio che arriva ai cittadini è devastante: il confine tra politica e amministrazione non esiste più. E quando quel confine sparisce, sparisce anche la credibilità delle istituzioni.
Insomma, Agatha Christie non avrebbe dubbi: un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, tre indizi fanno una prova. La prova che a Ivrea si è consumata l’ultima battaglia tra la giunta Chiantore e Davide Luciani. E, come sempre, a pagare il prezzo non saranno né i sindaci né i dirigenti, ma i cittadini e la fiducia nella buona amministrazione.
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